N. 27 - Marzo 2010
(LVIII)
l'esercito dei precari
nuove "prospettive" di vita
di Laura Novak
Ormai
è
lotta
quotidiana,
e lo
dico
con
non
poco
rammarico.
Un
giorno
vai
a
lavoro,
come
tutti
i
giorni
negli
ultimi
quasi
dieci
anni,
e la
sorpresa
è
dietro
l’angolo…chiunque
penserebbe
ad
un
licenziamento.
Forse
il
male
minore
nella
crisi
professionale
che
ha
colpito
molti
individui
nell’ultimo
anno.
Il
peggiore
si
chiama
Cassa
Integrazione.
La
mattina
seguente
ti
svegli
e ti
chiedi:
che
faccio
oggi?
Cerco
lavoro.
No
aspetta,
non
posso
perchè
sono
ancora
una
cosiddetta
occupata…
Cosa
fare?
La
partenza
numero
uno
è,
prima
di
tutto,
cercare
di
sbrogliare
una
matassa
senza
speranza:
la
burocrazia.
Nel
dorato
mondo
del
sociale
e
della
consulenza,
in
cui
tutto
è
immerso
nella
sfera
economica,
tutti
sanno
tutti,
ma
davvero
nessuno
sa
nulla.
In
un
susseguirsi
sfinente
di
opinioni,
assistenze
e
comunicazioni
le
istituzioni
fanno
apparire
la
strada
della
Cassa
Integrazione
la
strada
dorata
percorsa
dalla
riccolina
e
cantereccia
Dorothy
nel
mondo
del
mago
di
Oz.
Si
parte
quindi
con
sorriso
di
speranza,
dicendosi:
meglio
questo
che
essere
licenziati….
Errore
fatale…
Dopo
pochissimi
giorni
in
cui
cerchi
di
mantenere
uno
stile
di
vita
simile
ad
una
persona
normale,
con
un
lavoro
ed
una
vita
sana,
ti
rendi
conto
che,
se
per
la
burocrazia
sei
una
miracolata
privilegiata,
in
attesa
di
soldi
regalati
e
legata
ad
un
semplice
patto
con
lo
Stato,
in
pratica
sei
una
disoccupata,
svogliata
e
sull’orlo
della
disperazione.
Fra
tutti
i
suggerimenti
che
ti
piombano
addosso,
in
sostanza
non
sai
quale
sia
davvero
più
vicino
alla
realtà
dei
fatti.
Questo
semplice
patto
tra
il
lavoratore
cassa
integratore
e lo
Stato
prevede,
senza
dilungarsi
in
regole
e
corollari,
nella
totale
disponibilità
ed
impegno,
durante
il
periodo
di
vacanza
forzata,
d’orario
e di
forza
in
corsi
di
formazione
indetti
dalla
regione;
il
tutto
per
rendere
la
tua
formazione
professionale
più
specializzata
possibile:
più
tempo
sarai
in
cassa
integrazione,
più
corsi
dovrai
presenziare.
La
funzione
della
riqualificazione
professionale
sarebbe
quella
di
rendere
al
mondo
del
lavoro,
terminato
il
periodo
della
cassa
integrazione,
un
soggetto
diverso,
attivo
e
rinnovato,
teso
al
nuovo
sistema
professionale,
in
continua
evoluzione
alla
costante
ricerca
di
individui
specializzati.
I
corsi
hanno
quindi,
come
obiettivo,
quello
di
dare
al
lavoratore
una
qualifica
professionale
ben
precisa,
netta
e
decisa,
e di
conseguenza
una
doverosa
conoscenza
tecnica,
che,
mentre
molti
altri
pagano,
il
lavoratore
cassa
integrato
ha,
tramite
sovvenzione
della
regione,
a
titolo
gratuito…
Mi
verrebbe
da
dire:
ma
che
fortuna…
La
scelta
spazia
tra
corsi
per
parrucchiere,
manicure,
piercing,
Internet,
programmi
per
contabilità,
design
di
interni,
lingue
straniere,
programmazione
Web
ecc…
Non
ci
sarebbe
stato
male
anche
un
corso
per
pittura
artigianale
che
ne
so,
magari
dei
nani
da
giardino…
Ma
il
lavoro???
Ovviamente
durante
il
periodo
di
Cassa
Integrazione
il
divieto
più
restrittivo
concerne
proprio
il
lavoro…o
meglio,
si
può
lavorare,
ma
solo
con
contratti
a
termine,
che
comportano
al
sospensione
dell’ammortizzatore
sociale.
L’esigenze
però
di
una
famiglia
composita
e
con
mutuo
o
affitto
da
pagare
non
può
però
arrestarsi
davanti
alla
burocrazia
ed a
i
suoi
divieti…ed
ecco
che
riecheggia
l’eco
del
lavoro
cosiddetto
nero.
Il
rischio
è
molto
alto,
soprattutto
per
il
lavatore
che,
nell’eventuale
di
essere
scoperto,
perderebbe
il
diritto
alla
Cassa
Integrazione.
L’unica
chance
sembra
quindi,
per
molti
di
noi,
quella
di
cercare
un
contratto
a
termine…
L’aspetto
più
delicato
della
cassa
integrazione
è
ovviamente
l’erogazione
monetaria
Se
arrivano
dopo
mesi
e
mesi,
circa
700
euro
al
mese,
allora
sì
potremo
considerarci
fortunati.
A
questo
punto
sembrano
doverosi
due
conti
semplici
semplici.
Il
prospetto
della
mia
vita
da
Cassa
integrata
dovrebbe
apparire
più
o
meno,
in
questo
modo:
mattina
di
lunedì,
martedì,
mercoledì,
giovedì
e
venerdì
tazza
di
caffé,
sciacquo
veloce
e
via
con
un
motorino
di
cui
non
posso
fare
manutenzione
e
sempre
a
secco
di
benzina,
da
una
parte
all’altra
della
mia
città
per
il
mio
bel
corso
di
formazione…
Il
pomeriggio
in
verità
dovrebbe
essere
completamente
a
mia
disposizione….potrei
darmi
al
cucito,
al
bricolage,
alla
danza
del
ventre
o al
volontariato…ma
mai,
mai
al
lavoro.
Nel
frattempo
dal
mio
portafoglio
continuano
ad
uscire
ogni
mese
€
500
di
affitto,
circa
€
150
di
benzina
e €
200
di
spesa
alimentare.
Ed
ecco
che
i
conti
non
tornano…
€
700
- €
850
= -
€
150
Ecco
che
una
sera,
nell’immaginarmi
così,
ho
deciso
che
la
Cassa
Integrazione
sarebbe
meglio
se
la
facesse
chi
pensa
che
sia
un
bel
periodo
per
riposarsi
o
riflettere.
E
così
mi
sono
messa
alla
ricerca
di
un
nuovo
lavoro.
Una
giungla
d’asfalto
ed
ipocrisia,
tra
traffico
e
stress,
uomini
e
donne
che
ti
vedono
ma
non
ti
guardano,
mentre
continuano
a
chiederti
sempre
le
stesse
cose:
cosa
tu
voglia
essere
da
adulto,
se
sei
disponibile
ad
ogni
genere
di
lavoro,
ma
proprio
ogni
genere
e se
sei
disponibile
ad
una
notevole
flessibilità
oraria.
La
sorpresa
più
grande
l’ho
avuta
nell’apprendere
l’esistenza
di
un
contratto
lavorativo
di
un
giorno….
Le
persone
più
fortunate
che
riescono
ad
evitare
e
svincolarsi
da
improbabili
contratti
al
limite
dello
sfruttamento,
riesco
ad
ottenere
un
contratto
a
termine
di
un
mese.
Con
la
doverosa
necessità
di
fare
bene
i
soliti
conti…
Per
riuscire
ad
ottenere
un
mese
di
contratto
ho
speso
circa
300
€
tra
telefonino,
raccomandate
per
richiedere
la
sospensione
dalla
Cassa
Integrazione,
fotocopie
di
documenti,
e
benzina
per
andare
avanti
e
indietro
per
i
vari
colloqui.
Colloqui
che,
solitamente,
si
sono
svolte
sempre,
ma
dico
sempre,
in
queste
ultime
giornate
di
lunghissime
piogge…uno
perfino
durante
quella
caotica
giornata
di
neve
a
Roma…l’unica
in
quel
momento
tanto
“temeraria2
da
sfidare
2
millimetri
di
neve
con
una
vespa
dalla
ruote
sgonfie.
Il
resto
di
Roma
era
in
panico,
chi
correva
a
montare
le
catene
di
neve,
chi
aveva
il
diritto
di
annullare
impegni
di
lavoro…compresa
la
persona
con
cui
avrei
dovuto
sostenere
il
colloquio!
Ed è
così
che
alla
fine
della
giornata
in
piena
crisi
isterica
mi
tornano
in
mente
le
parole
di
mia
madre:
cercare
lavoro
è un
vero
lavoro…
Ed
ogni
tanto
la
mia
mente
si
sposta
dalla
mia
persona
e
ricorda
tutte
le
persone
che
lavorano
ogni
giorno
al
mio
fianco
da
molti
anni.
Una
madre
di
famiglia,
con
20
anni
di
esperienze
lavorativa
alle
spalle,
ed
una
splendida
bambina
di 4
anni
a
casa,
che,
con
molta
probabilità,
dovrà
rinunciare
alla
piscina
con
le
sue
amichette
di
asilo;
un
giovane
neo
padre,
con
una
madre
malata
ed
una
famiglia
da
mantenere,
una
donna
appena
sposata,
con
un
marito
precario
ed
il
sogno
di
diventare
madre,
una
ragazza
con
un
mutuo
da
pagare,
single
e
senza
genitori
che
la
possano
accogliere
nei
momenti
di
sconforto.
E
poi
una
ragazza
come
me,
con
la
laurea
così
vicina,
tanti
debiti
e
dei
genitori
acciaccati
dal
tempo
che
avanza,
con
un
oneroso
affitto
da
pagare,
immersa
in
una
città
dai
prezzi
folli,
con
il
progetto,
ormai
accantonato
in
un
cassetto,
di
condividere
la
vita
con
il
proprio
compagno,
anche
lui
disoccupato.
Nell’ultimo
periodo,
così
come
negli
ultimi
anni
i
dipendenti
delle
più
grandi
industrie
italiane,
Fiat
in
prima
istanza,
sono,
a
buon
titolo,
su
tutte
le
pagine
dei
giornali,
rivendicando
con
forza
e
coraggio
di
pensiero,
il
loro
diritto
al
lavoro
dignitoso,
continuativo.
Le
rivendicazioni
sono
le
stesse
da
anni:
nessun
lavoratore
dovrebbe
mai
essere
vittime
sacrificale
di
scelte
aziendali
mutevoli
e
subdolamente
pilotate.
Ma
chi,
come
me,
lavorava
per
una
piccola
azienda
non
ha
tanto
rilievo
sociale
da
apparire
sulle
testate
dei
tg o
dei
quotidiani.
E
continua
la
nostra
marcia
nel
silenzio.
Le
piccole
aziende,
le
imprese
a
conduzione
familiare,
così
come
le
piccole
botteghe
o le
attività
commerciale
continuano
il
loro
lungo
percorso
verso
la
chiusura
o
nel
migliore
dei
casi
la
svendita.
Ed è
così
che
la
crisi
più
profonda
si
avventa
sulla
piccola
economia;
lontani
dai
grandi
numeri
a
risentire
di
più
dell’onda
d’urto
della
crisi
economica
dell’ultimo
anno
sono
i
microcosmi
familiari.
Microcosmi
dove
il
bireddito
è un
lusso
per
pochi
ed
il
lavoro,
la
sua
esigenza
primaria
e la
sua
preziosità,
diventa
un
soffocante
ed
opprimente
cappio
al
collo
con
cui
cercare
di
convivere
dignitosamente.
La
nostra
è
una
marea
umana
in
costante
aumento,
un
esercito
di
precari,
disoccupati,
lavoratori
saltuari,
frustrati
e
frustati,
laureati
senza
arte
o
mestiere,
abbandonati
nel
vortice
della
corrente.
Eppure
le
ultime
parole
che
ho
sentito
pronunciare
dal
mio
datore
di
lavoro,
prima
di
chiudermi
alla
spalle
le
porte
dell’azienda,
sono
state:
“dovresti
pagarmi
tu
per
farti
dare
quasi
800
€ al
mese
e
non
fare
un
….
tutto
il
giorno”…
Il
silenzio
spesso
vale
più
di
mille
parole.