N. 15 - Marzo 2009
(XLVI)
L’Eschaton
e le Quattro Età
Escatologia
olimpica e società
greco-arcaica
di Lawrence M.F.
Sudbury
Sebbene le sue origini
possano essere fatte risalire alla notte dei tempi, la
religione greca si sviluppò e concretizzò nella sua
forma definitive nel corso di circa un migliaio di anni,
a partire dai tempi di Omero (probabilmente IX o VIII
secolo a.C.), fino al regno dell’imperatore Giuliano (IV
secolo d.C.). Durante questo periodo, la sua influenza
si estese dalla Spagna all’Indo e capillarmente in tutto
il bacino del Mediterraneo, in particolare dopo la sua
adozione (sebbene con una “lettura” leggermente diversa)
da parte dei Romani.
La caratteristica più evidente di tale religione era
l’adozione di una molteplicità di divinità
antropomorfiche, tutte sottomesse ad un dio supremo, il
cui culto, che non prevedeva testi sacri, era regolato
da preti che non formavano un clero regolare. L’unica
osservanza richiesta ai fedeli era di credere
nell’esistenza degli dei e di fare sacrifici in loro
onore.
Insomma, si trattava di una religione di una semplicità
estrema e dalle richieste limitatissime: il non credere
negli dei portava al rischio di rappresaglie da parte
loro (e per questo, probabilmente, la lista dei greci
dichiaratamente atei è cortissima) ma nessun essere
umano era per questo autorizzato a forzare la mano
all’“ateo” o al “miscredente” per indurlo alla
conversione, dal momento che il concetto di “ortodossia”
era praticamente incomprensibile per i Greci.
Già questi elementi ci parlano di una religiosità che,
sin dalla sua origine, per alcuni versi, diventava un
corollario della vita sociale e politica, ma che solo
parzialmente ne era parte integrante, non per questo,
comunque, diventando meno importante per l’esistenza del
singolo.
A partire già dal VI secolo a.C., poi, tutto il corpus
mitologico greco viene sottoposto ad un sempre più
stringente vaglio critico razionale, che rende piuttosto
evidente come, in particolare a livello etico, fossero
sempre più le considerazioni sociali e politiche ad
influenzare quelle religiose e non viceversa: i Greci,
ovviamente, credevano nelle loro divinità esattamente
come gli uomini contemporanei credono nelle loro, ma il
culto era improntato sostanzialmente a un “do ut des”
con gli dei (non solo gli dei maggiori, ma anche quelli
locali) per ottenere aiuto e protezione a livello
sociale, della polis, contro guerre ed epidemie ed è in
questo quadro che vanno intese anche le numerose
festività urbane in onore di divinità particolari,
patrone di questo o quel centro.
Probabilmente proprio a questo rapporto piuttosto
“mercantile” nei confronti della religione si deve
imputare l’impressionante capacità sincretica della
spiritualità ellenica, che non disdegnava minimamente,
in caso di necessità estrema, di indirizzare preghiere e
di offrire sacrifici a qualsiasi dio, anche “importato”
da culture differenti.
Anzi, con ogni probabilità, fu questa tendenza
all’osmosi religiosa che risultò essere alla base della
nascita della stessa religione olimpica.
In realtà, sulle sue origini remote le opinioni degli
studiosi sono quanto mai discordanti. Così, secondo
l’antica ma ormai completamente screditata “teoria
scritturale”, tutte le leggende mitologiche
deriverebbero da narrazioni bibliche mal interpretate,
modificate e dissimulate; secondo la “teoria storica”,
tutte le figure mitologiche sarebbero in origine state
esseri umani concreti su cui in seguito sono fiorite
leggende iperboliche; secondo la “teoria allegorica” gli
antichi miti erano unicamente allegorie di eventi
fattuali e secondo la “teoria fisica” gli dei erano
personificazioni di elementi naturali. Di fatto, però,
la teoria più comunemente accettata è quella, appunto,
che vuole la nascita della religione greca come sintesi
di sistemi religiosi precedenti, amalgamati ed
omogeneizzati a formare un nuovo sistema di pensiero. La
ricerca di quali possano essere stati questi sistemi
precedenti ha, comunque, diviso ulteriormente gli
esperti, andando da apporti indo-arii e sanscriti a
riprese da miti del vicino oriente o delle civiltà
pre-elleniche (Creta, Micene, Tebe, etc.).
è molto
probabile, che, proprio sulla base della fondamentale
caratteristica sincretica, a-ortodossa e basilarmente
socio-politica della mentalità religiosa greca, le
differenze di vedute in questo senso stiano
semplicemente a significare focalizzazioni particolari
su aspetti tutti comunque concorrenti nella fase
iniziale allo sviluppo del corpus mitologico essenziale
e primario da cui tutte le diramazioni e aggiunte
successive deriverebbero: su un substrato pelasgico, si
potrebbero essere inserite, con l’arrivo dei popoli
ellenici da nord, le figure mitologiche di matrice
indo-europea (è, in effetti, impossibile non vedere le
similitudini tra le attribuzioni a Zeus e quelle del dio
indiano Dyaus, già a partire dal nome) che trovavano
maggior corrispondenza con divinità consolidate
pre-esistenti (ad esempio il dio celeste cretese, le cui
caratteristiche passano direttamente al “padre degli
dei” greco).
A partire dal loro nucleo di base, qualunque fosse la
sua origine, risulta comunque chiaro che, nel corso del
tempo i miti greci siano fortemente cambiati per
adattarsi all’evoluzione della loro cultura di
riferimento e, attraverso la loro rielaborazione
letteraria, come notato già da Gilbert Cuthbertson, si
siano modificati in relazione a linee di sviluppo
marcatamente segnate da considerazioni politiche. Di
conseguenza, se, attraverso la rielaborazione epica, la
mitologia religiosa greca ha avuto la possibilità di
strutturarsi in cicli definiti e di dotarsi di una sua
logica interna, è altrettanto vero che le continue
addizioni e manipolazioni a cui è stata sottoposta
rendono quasi impossibile districare, a partire dal V-IV
secolo a.C., il substrato puramente
“religioso-spirituale” dagli elementi spurii di
carattere storico-politico.
Questo dato ci induce, alla ricerca di un nucleo
primario da cui estrapolare la concezione escatologica
originale della spiritualità greca, a ritornare indietro
nel tempo, fino a quel periodo “infantile” della
mitologemetica ellenica, rintracciabile, come detto,
attorno al VII secolo a.C..
In questo periodo, due grandi nomi emergono chiaramente
come padri letterari della concezione spirituale greca:
Omero ed Esiodo. Se il primo, con l’Iliade e l’Odissea,
può a buon titolo dirsi l’iniziatore della capacità di
sviluppo di grandi cicli, è al secondo che dobbiamo, con
i suoi Teogonia e Le Opere e i Giorni, il resoconto più
completo della costruzione mitologica classico-arcaica.
Ebbene, in relazione al nostro tema d’analisi
escatologico, proprio in Esiodo troviamo la prima grande
teorizzazione delle cosiddette “Quattro Età”, cioè dei
quattro grandi periodi dell’umanità, ciascuno terminante
con un evento apocalittico definito: l’“Età degli Dei”,
che include il periodo teogonico e cosmogonico; l’“Età
degli Dei e dei Mortali”, relativo al periodo di
interazione tra dei, semidei e esseri umani; l’“Età
degli Eroi”, in cui l’attività divina sulla Terra è più
limitata ed in cui emergono le grandi figure
epico-eroiche e l’“Età degli Uomini”, che, iniziata con
il grande spartiacque della “guerra di Troia”, appare
come una età in cui gli dei sembrano sempre più
disinteressarsi del contatto con le loro creature e in
cui regna, a causa della “rottura del vaso di Pandora”,
la malvagità e la decadenza.
Come detto, a ciascuna di queste età, che Esiodo, in Le
Opere e i Giorni, definisce anche come “Età dell’Oro”
(sotto la guida di Crono), “Età dell’Argento”, “Età del
Bronzo” ed “Età del Ferro” (sotto la guida di Zeus),
corrisponde una sorta di apocalisse parziale o totale,
allo stesso tempo causa ed effetto della mutata temperie
spirituale e socio-politica che causa l’evolversi dei
differenti periodi.
Analiziamo un po’ più in dettaglio le “Quattro Età” e i
loro eschaton.
Durante la prima Età, già esistevano esseri umani che,
sotto il commando di Crono, signore del cielo, vivevano
come dei, senza tristezza, senza dover lavorare e senza
invecchiare e, sebbene fossero mortali, la morte li
coglieva dolcemente nel sonno. La terra, anche senza
essere coltivata, produceva frutti in abbondanze ed essi
avevano tutto ciò di cui potevano necessitare: la
primavera era eterna, fiumi di latte e nettare fluivano
ovunque e le querce stillavano miele. Nessuno era
obbligato a nulla, ogni essere umano aveva fede e si
comportava rettamente, cosicché nessuna legge era
necessaria: gli uomini vivevano in pace sulle loro
terra, amati dagli dei e senza paura di alcuna
punizione. Non vi erano città, spade, elmi, nessuno
dichiarava guerra agli stranieri e nessuno navigava per
mare, non esisteva la proprietà privata e tutti
condividevano i frutti della natura.
Il mondo era diviso in regioni, ciascuna guidata da un
dio differente che teneva gli uomini in armonia, così
come i pastori divini guidavano gli animali, che non si
attaccavano l’un l’altro. Come non esistevano gli stati,
così non esistevano neppure le famiglie e, dal momento
che gli uomini scaturivano dalla terra senza alcuna
memoria del passato, nessuno aveva mogli e figli.
La terra ruotava in senso contrario, così il clima era
sempre temperato, per cui gli uomini vivevano all’aria
aperta senza doversi neppure coprire con vestiti e ogni
essere ringiovaniva con il passare del tempo.
Questo stato edenico terminò quando Crono fu vinto dal
figlio Zeus, che, preso il potere, temendo che gli
uomini sarebbero insorti contro di lui e a favore del
suo predecessore, li sterminò tutti, dando inizio alla
seconda Età, quella dell’argento.
In questa nuova Età gli dei olimpici diedero vita ad una
nuova razza umana, meno nobile e per nulla simile né
fisicamente né moralmente alla precedente.
In questo periodo, Zeus accorciò le primavere e completò
l’anno nelle quattro stagioni che conosciamo, così gli
uomini per la prima volta dovettero cercarsi dei ripari
e costruirsi case e i primi semi di grano vennero
piantati.
Sempre durante questa fase, i bambini venivano cresciuti
dalle madri per circa cento anni e per tutto questo
tempo giocavano nelle loro case, ma una volta divenuti
adulti vivevano poco tempo e con grande tristezza a
causa della loro immaturità, che li portava a farsi del
male l’un l’altro e a non servire minimamente gli dei.
Proprio per questo loro comportamento, Zeus si adirò
della loro puerilità e spazzò via con una ondata di
fuoco anche questa nuova progenie, dando luogo alla
terza Età, quella del bronzo.
In questo periodo, il nuovo genere umano, che nasceva
dai frassini, si sviluppò più duro e pronto all’uso
delle armi, ma non ancora empio.
La generazione, terribile e forte, ancora una volta
differiva totalmente dalla precedente: amava la guerra e
la violenza, non si nutriva di pane e aveva cuori duri
come diamanti, si rivestiva di corazze di bronzo, così
come di bronzo erano anche le case in cui viveva e tutti
i suoi strumenti, poiché il ferro non esisteva ancora.
Gli uomini di questa epoca si distrussero con le loro
mani, dilaniandosi in guerre continue senza lasciare
tracce, anche se altri dicono che furono cancellati
dalla grande inondazione da cui si salvarono solamente
Deucalione e Pirra, che riformarono il genere umano. A
questo punto alcuni autori inseriscono una frattura che
distingue Età del Bronzo ed Età degli Eroi (portando le
Età complessive a cinque), mentre secondo altri le due
Età formano un continuum.
In ogni caso, al di là delle distinzioni tassonomiche,
tutti concordano sul fatto che la nuova umanità
sviluppata da Deucalione e Pirra fosse molto più nobile
e giusta della precedente e che fosse formata da eroi
semidivini, ma che il susseguirsi di guerre quali quella
tebana e quella troiana portasse comunque ad una
estinzione totale che sfociò nello sviluppo di una
quarta (o quinta) età, quella presente, detta “Età del
Ferro”, caratterizzata da una intrinseca malvagità.
In questa ultima età, gli uomini sono angariati dalla
fatica e dalla tristezza, la modestia, la verità e la
fede hanno abbandonato il mondo, sostituite dai
complotti, gli imbrogli, le trappole, la violenza e lo
sfrenato amore per il profitto. La terra, un tempo
possesso comune, viene segnata da confini di proprietà
perché gli esseri umani vogliono sempre più
possedimenti, non tanto per il proprio sostentamento,
quanto per accaparrarsi le ricchezze nascoste in essi
dagli dei. Oltre al ferro, questa epoca è segnata
dall’oro e dalla brama di averne sempre più e ferro e
oro insieme diventano la causa di guerre continue e
saccheggi tra le genti. Così l’ospite non può più
fidarsi di chi lo accoglie, i fratelli si odiano, i
mariti e le mogli cercano di uccidersi a vicenda: tale è
l’empietà di tutti che persino Astrea, l’ultima degli
immortali, decide di abbandonare la terra.
A questo punto, tutto è perduto e il processo
degenerativo è senza ritorno.
Così, secondo le parole di Esiodo, “Questa stirpe non
vorrà ricambiare gli alimenti ai vecchi genitori; il
diritto per loro sarà nella forza ed essi si
distruggeranno a vicenda le città. Non onoreranno più il
giusto, l'uomo leale e neppure il buono, ma daranno
maggior onore all'apportatore di male e al violento; la
giustizia risiederà nella forza delle mani; non vi sarà
più pudore: il malvagio, con perfidi detti, danneggerà
l'uomo migliore e v'aggiungerà il giuramento. La Gelosia
malvagia, maledica e dallo sguardo sinistro, s
'accompagnerà con tutti i miseri umani. Allora dalla
terra dalle larghe contrade, in bianchi veli,
nascondendo il bel corpo e lasciando i mortali, la
Coscienza e la Nemesi andranno verso l'Olimpo, al popolo
degli Immortali; ma gli affanni luttuosi resteranno ai
mortali, né vi sarà difesa contro il male.”
Eccoci, dunque, all’eschaton finale (forse finale, dal
momento che, nella concezione ciclica del tempo
tipicamente arcaico-ellenica, una nuova rigenerazione è
sempre possibile), un eschaton che gli esseri umani,
lasciati a se stessi con il ritiro degli dei dal mondo,
si auto-infliggono attraverso una serie di guerre e di
massacri indiscriminati.
Cosa possiamo dire di questro quadro escatologico
determinato dalle “Quattro Età”?
Anche senza soffermarci eccessivamente sull’interessante
riproposizione di un elemento apocalittico connesso al
diluvio all’interno dell’”Età del Bronzo”, elemento che,
comparendo in pressoché ogni narrazione escatologica del
mondo antico, non può che farci pensare ad una
riproposizione mitologizzata di un evento storico
concreto o, al più, ad una chiaro passaggio
mitologemetico tra culture mediorientali e cultura
ellenica, l’elemento che più spicca è come l’eschaton, o
la serie di eschaton, proposto nel quadro del mito delle
“Quattro Età” ci parli, come si diceva, di una società
fortemente laicizzata in cui l’evoluzione
storico-politica influenza la vita religioso-spirituale
e non viceversa.
Ce ne possiamo rendere conto piuttosto evidentemente da
due elementi, l’uno più strettamente storico, l’altro
più apertamente psico-sociale.
Per quanto riguarda l’aspetto storico, al di là dalla
costante penetrazione per osmosi di elementi
spiritualmente altri e alla loro omogeneizzazione, che
rimanda direttamente alle teorie di Margaret Murray
sull’inglobamento “diplomatico” di divinità di popoli
conquistati da parte di popoli conquistatori e che,
conseguentemente stabilisce, per quanto riguarda
l’attitudine mentale greca, una netta supremazia della
fluidità politica rispetto alla monoliticità dogmatica,
sono le emergenze dei più recenti studi archeologici a
dare sostegno, seppur indiretto e liberato da tutte le
sovrastrutture mitologiche, alla storicità della
cronologia evolutiva esiodea.
Molti archeologi, infatti,
sulla base dei ritrovamenti legati agli insediamenti
urbani particolarmente della Grecia sud-orientale e
della Penisola Anatolica, concordano pienamente
nell’affermare, riguardo al periodo proto-ellenico,
un’alternanza di periodi di unità sociale tra vari
gruppi tribali e di periodi di tensioni sociali diffuse
che sfociarono in guerre violentissime, con una sorta di
andamento “sinusoidale” che vede un primo periodo di
coesione etnica primaria legata al fenomeno del recente
stanziamento post-migratorio (un periodo che, grosso
modo, potremmo far corrispondere, dopo la fase
mitico-edenica in senso stretto dell’“Età dell’Oro”,
all’“Età dell’Argento”) sfociare in un periodo di
frattura della coesione e di divisione bellicosa dei
clan rivali (prima “Età del Bronzo”), seguita da
trattati di alleanza e paci instabili (seconda “Età del
Bronzo”) e da una nuova ondata di guerre tra le polis
formate dalla divisione causata dalla serie di guerre
precedenti (passaggio all’“Età del Ferro”).
La mitizzazione operata sulla base di eventi fattuali e
la loro risoluzione in chiave simbolica con eschaton
parziali danno ragione di una inclusione del profano nel
sacro e non viceversa, in quella che risulta la chiave
di lettura della comparsa di un sistema escatologico
compiuto nel pensiero occidentale: disancorando il
pensiero politico da quello religioso e, anzi, rendendo
quest’ultimo aperto all’accoglimento a posteriori di
istanze storiche, nel tentativo di dare ragione della
loro esistenza, si lascia mano libera ad un meccanismo
di pensiero di sublimazione ordinativa del caotico che
è, a detta di Boyer e Drewermann, il senso ultimo della
costruzione mitologico-escatologica, anche se, a
differenza di costruzioni successive, nel quadro di
sviluppo di un eschaton personale molto vago e, in
periodo arcaico, affatto retributivo, tipico proprio
dello sviluppo greco, non si giunge ad un tentativo di
finalizzazione dell’esistente verso un ritorno edenico
(in un orbita che, nel sistema ellenico, a differenza,
ad esempio, del sistema biblico, caratterizzato da un
ben minor grado di laicità, si presenta non come
circolare, da eden a eden, ma come ellittico, dal nulla
che va connotandosi in forma edenica al nulla totale).
In ambito psico-sociale, questo sviluppo verso una
nullificazione completa dell’esistente dà il via ad una
serie di riflessioni di civiltà successive sul
progressivo decadimento del mondo, in ambito ellenico
visto senza remissione. Se, come detto, siamo di fronte
ad un processo ordinativo del reale, ma non retributivo,
potremmo pensare ad una sorta di meccanismo nullificante
del senso stesso dell’eschaton: perché pensare ad una
“fine dei tempi” che non raddrizza i torti subiti e non
riporta il caos nel suo giusto alveo naturale? In
realtà, però, questa mancanza di “retribuzione dei
giusti”, non solo ci dice ancora una volta di quanto
laica, empirica e legata al reale fosse la mentalità da
cui tutta la mitologia greca si dipana, ma anche di come
essa fosse, al contrario di quanto sembrerebbe,
profondamente ordinativa e, in ultima analisi, su un
piano più alto, non del singolo ma sociale (e, ancora
una volta, dobbiamo rilevare come il sociale influenzi
il sacro e non viceversa), anche per molti versi
globalmente retributiva in termini di pena.
Per comprendere questo punto, dobbiamo rifarci agli
studi sociologici di sviluppo della società ellenica,
una società che, nel suo progressivo passaggio da rurale
ad urbana, da coesa a dispersa, da sociale a individuale
e individualista (si pensi agli apporti in questo senso
di gran parte dei filosofi dell’età pre-classica e
classica), muta profondamente e, in fin dei conti, anche
rapidamente e finisce per non elaborare il trauma della
scelta di una determinata direzione, rimanendo sospesa
tra reale e “possibile perduto”, riguardo al quale non
avviene alcun tipo di “elaborazione del lutto”. Proprio
per questo, tale “possibile perduto” finisce per
riemergere in forme simboliche di “nostalgia edenica” e,
soprattutto, di “pessimismo cosmico”: il passato perduto
si va dunque configurando come la perfetta “Età
dell’Oro” mitizzata a cui si contrappone il presente
contraddittorio, duro, malvagio, le cui prospettive non
possono che essere viepiù negative fino alla
dissoluzione nichilistica, pena per la perdita di una
socialità negata dalla scelta individualista (è
significativo che tutti i “peccati” esiodei che portano
all’eschaton “prossimo venturo” siano, in definitiva,
peccati non personali, ma di mancanza di capacità
sociale).
Non a caso questa tendenza “autopunitiva” scomparirà con
il passaggio dei nuclei mitologemici greci ad una
cultura come quella latina in cui, in fase repubblicana,
non si è compiuta ancora una scelta individualista
desocializzante e l’idea stessa di eschaton non avrà più
senso di essere fino al periodo tardo-imperiale, quando,
con il mutare della situazione, riemergerà per altre vie
nei culti misterici.
Riferimenti
bibliografici:
J.D.
Mikalson, Ancient Greek Religion, Blackwell 2004
S.Price, Religions of the Ancient Greeks, Cambridge
University Press 1999
T.Bulfinch, Bulfinch's Greek and Roman Mythology,
Greenwood Press 2004
F.M.Mueller, Lectures on the Origin and Growth of
Religion as Illustrated by the Religions of India,
Longmans, 1878
A.Winterbourne, When the Norns Have Spoken, Fairleigh
Dickinson Univ. Press 2004
M.Reinhold, Essentials of Greek and Roman Classics: A
Guide to the Humanities, Barron's Educational Series
1949
W.Burkert, Greek Religion: Archaic and Classical,
Blackwell Publishing 2002
J.E. Harrison, Themis: A Study of the Social Origins of
Greek Religion, Merlin Press 1963
G. Cuthbertson, Political Myth and Epic, Michigan State
University Press 1975
K. Dowden, The Uses of Greek Mythology, Routledge 1992
R.M. Frazer,The Poems of Hesiod, University of Oklahoma
Press 1983
Esiodo, Le Opere e i Giorni, ed. M.L. West, Hesiod Works
& Days, Oxford University Press, 1978
Murray, The God of the Witches, NuVision Publications
2005
M. Diana, Angoscia e Libertà. Psicologia del Profondo e
Religione nell’Opera di Eugen Drewermann, Centro
Scientifico Editore 2002
P.S.Boyer, When Time Shall Be No More: Prophecy Belief
in Modern American Culture, Belknap Press 1994
H.Van Wees, N. Fisher, Archaic Greece: New Approaches
and New Evidence, The Classical Press of Wales 1998
A.Oliverio Ferraris, La ricerca dell'Identità, Giunti
2002
A.Lewis-Hardling, The Edenic Dream, Huntington 1996
|