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N. 115 - Luglio 2017 (CXLVI)

et nos cedamus amori
Gli schemi iconografici dell'eros nell'immaginario vascolare attico
di Alessandra Romeo

 

Due dei temi più affascinanti della produzione vascolare attica sono il corteggiamento e il sesso. Le scene erotiche di corteggiamento presentano un determinato schema iconografico: si distinguono, infatti, un eromene (ρώμενος), il giovane amato, un eraste (ραστής), l’uomo amante, e i doni offerti da quest’ultimo.

 

I rapporti omosessuali non erano considerati deprecabili ed erano un passaggio fondamentale nella crescita sociale di ogni individuo di sesso maschile. La pederastia, cioè l’amore di un adulto per un adolescente, dai 12 anni fino ai 20 circa, al di fuori dell’ambito familiare, aveva un valore pedagogico e iniziatico per i futuri cittadini ateniesi.

 

Per capire l’importanza rivestita dai doni, esemplificativa è la kylix di Amasis ABV 156.80, datata al 550 a.C. e conservata al Museo del Louvre (inv. A479). Il vaso mostra una scena di corteggiamento in cui sei coppie si scambiano doni amorosi. Esse non sono esclusivamente etero, infatti sono formate sia da giovani e donne, rese in bianco, sia da eraste ed eromene.

 

I doni rappresentati sono molteplici (corone, aryballoi, fiori, cervo, gallo, gallina, cigno, lepre, daino e pantera) e ognuno di loro ha un significato bene preciso: appartengono al mondo di Eros e simboleggiano il desiderio e la capacità sessuale. 

 

Per esempio, lepre e pantera definiscono entrambe il corteggiamento come una sorta di caccia erotica in cui la lepre è la tipica preda del cacciatore e la pantera la predatrice per eccellenza: un esempio è la kylix vicina alla maniera del Pittore di Heidelberg, datata al 540 a.C. e conservata al Museo del Louvre (inv. F85bis), in cui eromene ed eraste sono stretti in un erotico abbraccio alla presenza di una pantera e di una lepre.

 

Non rare sono le immagini più esplicite, nelle quali si consuma l’atto sessuale o vi è l’offerta di doni da parte dell’eraste e il lasciarsi toccare il corpo e le parte intime da parte dell’eromene. Esempi sono la kylix ARV² 384.4 del Pittore della Gabbia, datata al 500.475 a.C. e conservata al Museo Nazionale di Tarquinia (inv. 701), e la kylix ARV² 459.4 di Makron, datata al 490 a.C. e conservata al Staatlike Museem di Berlino (inv. F2291), nelle quali l’eraste tocca i genitali dell’eromene.

 

In queste scene non appaiono le donne, se non in veste di etère. L’etèra (ταίρα) è la cortigiana, una compagna del piacere, rappresentata in genere nuda e presente in raffigurazioni di corteggiamento e di banchetti.

 

Nel pensiero moderno un elemento del corteggiamento è il bacio (φλημα, filema), ma gli esempi nell’iconografia antica sono rari. Esempi di bacio erotico, tuttavia non ancora consumato, sono su due affascinanti frammenti di coppa, datati al 525-475 a.C., del Pittore del Bacio: il primo (ARV² 177.1) è conservato nell’Antikensammlung di Berino (inv. F2269), e il secondo (ARV² 177.2), è conservato al Metropolitan Museum di New York (inv. 07.286.50). In entrambi i casi protagonisti sono un uomo e una donna.

 

Legato alla sfera sessuale era anche un gioco simposiaco: il kóttabos. Esso fu uno dei giochi con valenza erotica più conosciuti dell’antica Grecia e largamente rappresentato nella produzione vascolare.

 

Lo scopo del gioco era di colpire un bersaglio con le gocce di vino rimaste sul fondo della coppa (kylix), dedicando il gesto alla persona desiderata. In cambio al vincitore spettava un premio: una mela, dei dolci, una coppa o il bacio della persona a cui era dedicato il lancio.

 

Secondo le fonti antiche fu la Sicilia la patria di questo gioco e da lì si diffuse rapidamente nel mondo greco fino al III secolo a.C. La tecnica era relativamente semplice: si infilava un dito nell’ansa (elemento caratteristico in ogni vaso in cui è rappresentato il gioco) e poi, con un rapido scatto del polso e allargando e flettendo le dita, i residui di vino che restavano nella kylix erano gettati verso un bersaglio attraverso la stanza.

 

Uno splendido esempio è la kylix del Pittore di Kleophrades (ARV² 193.2), datata al 500 a.C. circa e conservata al Metropolitan Museum di New York (inv. 56.171.62).

 

A seconda del tipo di bersaglio, il gioco poteva assumere svariate forme, due le più conosciute: il Kóttabos kataktós e il Kóttabos en lekáne.

 

Nel primo caso il bersaglio consisteva in un piatto (plastinx) sistemato in equilibrio orizzontale in cima ad un’alta asta. Una volta colpito dal vino, questo cadendo urtava una padellina (manés) posta a metà asta provocando un enorme fracasso.

 

Esso è raffigurato ad esempio nel cratere a calice apulo del IV secolo a.C., conservato al Museo Civico di Archeologia Ligure (inv. 1142) e nel cratere a campana lucano, datato al 425-375 a.C. e conservato allo State Hermitage Museum di San Pietroburgo (inv. W781).

 

Una variante di questa forma è raffigurata su una kylix di Apollodoros (490 a.C.), sulla quale il bersaglio ha le fattezze di un uccello con la testa a forma di fallo, a sottolineare ancor più la valenza erotica del gioco, posizionato su un piccolo tripode, a sua volta adagiato su un piatto.

 

Nel Kóttabos en lekáne, invece, bersaglio erano delle navicelle o cupolette che fluttuavano in un bacino (lekáne) pieno di acqua posto in mezzo ai convitati. Per vincere bisognava farle rovesciare.

 

Il gioco si basava, dunque, sulla rottura dell’equilibrio del bersaglio, a simboleggiare il vacillare di un innamorato di fronte alla persona desiderata e, infatti, ciascun lancio era ad essa dedicato. La formula di rito era “soi + nome dell’amato”: ad esempio, nella hydria di Phintias ARV² 23.7, conservata nell’Antikensammlungen di Monaco (inv. J6) e datata 550-500 a.C., si legge soi tendi Euthymidei (“per te questo, Euthymides”).

 

Il legame con la sfera sessuale ed erotica è riscontrabile anche nelle immagini in cui è inserito il temine kalós (“bello”), introdotto nell’iconografia intorno al 510-480 a.C., in riferimento alla bellezza corporea che esse mettono in mostra.

 

È presente in scene di caccia, di palestra, di simposio, di guerra, di corteggiamento, di corsa in armi, di danza armata (la cosiddetta pirrica), dove spesso i protagonisti sono nudi, ma quest’ultima caratteristica non è sempre una condizione necessaria.

 

In genere era riferito a giovani o adolescenti ed è presente secondo le seguenti formule: da solo (καλός), per esempio nella pelike ARV² 246 del Pittore dell’Anfora di Monaco del 500-475 a.C. e conservato al Staatlike Museem di Berlino (inv.4560); dopo il nome del giovane al quale è riferito, come nella coppa ARV² 119.2 di Elpinikos del 525-475 a.C. e conservata alla City Art Gallery & Museum di Manchester (inv. AA24), in cui si legge Elpinikos kalós (“Elpinikos [è] bello”); nella formula ho pais kalós (“il fanciullo [è] bello”), ad esempio nella kylix ARV² 95.130 del Pittore di Epeleios, conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Adria (inv. 22178) e datata al 525-475 a.C., in cui un giovane atleta nudo solleva dei pesi.

 

Rare, infine, le iscrizioni riferite alle ragazze e alle donne. Se presente, tuttavia, il termine al femminile è kalé (“bella”). Un esempio è la coppa del Pittore di Brygos ARV² 371.24, datata al 500-475 a.C. e conservata al British Museum (inv. E68), in cui è raffigurata una scena di simposio e in cui spicca una donna che tiene tra le mani una kylix sulla quale è ben visibile il termine.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

AA. VV., La città delle immagini. Religione e società nella Grecia antica, (trad. it. a cura di A. Pandolfo), Edizioni Panini 1986, pp. 33 ss.

ABV: J.D. Beazley, Attic Black-Figure Vase-Painters, Oxford 1956.

ARV²: J.D. Beazley, Attic Red-Figure Vase-Painters, 2nd edition, Oxford 1963.

A.   Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, Utet, Torino 2015, pp. 149; 595.

P. GrimalEnciclopedia della Mitologia (trad. it. di P.A. Borgheggiani; ed. it. a cura di C. Cordié), Garzanti, Milano 2005, pp. 108-110; 542-543.

F. Lissarrague, L’immaginario del simposio greco, Roma-Bari 1989, pp.81-83, fig. 68.

A. Mafrici, Magia del mito greco: La prima notte di nozze di Zeus e di Era durò trecento anni, Gangemi Editore, Roma 2008, p. 129.

S. Mazzarino, Kottabos siculo e siceliota, in Rend. Acc. Lincei Sc. Mor. s. 6, 15, 1939, pp. 357-378.

D. Musti, Il Simposio nel suo sviluppo storico, Laterza, Roma-Bari 2016.



 

 

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