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N. 21 - Settembre 2009
(LII)
GLI EROI DEI DUE MONDI
4 desaparecidos dalla Sicilia
di Simona Caltabiano
Salvatore
Privitera
nato
a
Granmichele
Ct,
Vincenzo
Fiore
nato
a S.
Mauro
Castelverde
(Pa),
Giovanni
Camiolo
nato
a
Valguarnera
En,
Claudio
di
Rosa
nato
a
Piazza
Armerina
En.
Sono
i 4
desaparecidos
siciliani
che
ritroviamo
nei
lunghi
elenchi
delle
vittime
della
dittatura
argentina
che
dal
1976
al
1983
ha
provocato
la
sparizione
di
30.000
persone
di
cui
297
di
origine
italiana
e 44
di
cittadinanza
italiana.
La
presenza
italiana
in
Argentina
era
antica
e
capillarmente
diffusa.
Il
Plata
fu
fin
dall’800,
una
delle
mete
preferite
dai
connazionali
che
decisero
di
lasciare
il
belpaese
e
cercare
fortuna
all’estero.
Dopo
una
breve
interruzione
dei
flussi
migratori
durante
gli
anni
venti
e
trenta
per
la
politica
autarchica
adottata
dal
fascismo,
le
ondate
migratorie
ripresero
nell’immediato
dopoguerra.
Tra
gli
anni
quaranta
e
sessanta
circa
cinquecentomila
italiani
giunsero
nella
Repubblica
latinoamericana.
L’orientamento
della
classe
dirigente
peronista
era
favorevole
all’arrivo
dei
cittadini
europei.
Essi
in
quanto
manodopera
specializzata
potevano
portare
avanti
il
processo
di
industrializzazione
già
in
atto.
Furono
proprio
i
“tanos”
(il
nomignolo
che
avevano
acquisito
gli
italiani
in
Argentina)
a
portare
le
idee
socialiste
e
anarchiche
nel
tessuto
politico
e
sociale
argentino.
Proprio
per
questo
gli
italiani
sono
stati
una
delle
popolazione
più
colpite
dalla
repressione
dei
Generali
argentini.
La
storia
dei
nostri
4
siciliani,
eroi
dei
due
mondi
alcuni
per
vocazione
altri
per
caso,
è
simile
a
quella
di
tanti
emigrati
italiani
che
partiti
nell’immediato
dopoguerra
da
un
sud
Italia
poverissimo
con
in
tasca
solo
il
sogno
americano,
alcuni
come
Vincenzo
Fiore
proprio
con
la
paura
di
vivere
in
Italia
un‘altra
guerra,
sono
invece
stati
inghiottiti
nella
tragedia
della
dittatura
argentina.
Salvatore
era
un
medico,
denunciava
le
carenze
strutturali
delle
istituzioni
sanitarie.
Nel
1973
viene
incarcerato
con
l’accusa
di
aver
preso
parte
all’
attentato
ad
una
caserma.
Nel
1979,
grazie
al
fratello
e
alle
pressioni
del
governo
italiano,
viene
scarcerato
e
ritorna
in
Italia.
Salvatore,
comunque,
l’anno
successivo
rientra
in
Argentina,
per
continuare
la
lotta
contro
la
dittatura.
Poco
tempo
dopo
viene
di
nuovo
incarcerato
e da
allora
di
lui
si
perde
ogni
traccia.
Vincenzo
era
un
operaio
della
Peugeot,
attivista
del
sindacato,
il
23
settembre
del
1977
un
gruppo
di
persone
composto
da
12
unità
delle
forze
armate
e
della
polizia
argentina
in
abiti
civili,
si
presentò
a
casa
della
famiglia
Fiore
a
Quilmes,
con
la
scusante
di
cercare
informazioni
sulla
collocazione
di
una
bomba
nella
fabbrica
Peugeot
di
Berazateghi,
nei
pressi
di
Buenos
Aires,
dove
lavorava
il
giovane
emigrato
siciliano.
Quando
Vincenzo
rientrò,
accadde
ciò
che
nessuno
avrebbe
mai
potuto
immaginare:
fu
immediatamente
arrestato
e,
tra
lo
stupore
di
tutti,
portato
via.
Quella
fu
l’ultima
volta
che
la
sua
famiglia
lo
vide.
Giovanni
Camiolo
era
un
muratore,
Claudio
Di
Rosa
un
operaio
rapito
il
22
marzo
del
1977
all’età
di
25
anni.
Purtroppo
su
questi
ultimi
le
notizie
sono
poche
e
frammentarie.
Di
fronte
a
queste
elencazione
di
storie
e di
dolore
è
difficile
capire
il
perché
giovani
uomini
e
giovani
donne
con
l’unica
colpa
di
esercitare
i
propri
diritti
di
lavoratori
venivano
rapiti
chiusi
in
caserme
carcere
come
quello
dell’Esma,
costretti
a
dormire
tra
le
urine
ammassati
come
gli
animali,
obbligati
a
rimanere
in
piedi
giorno
e
notte
finchè
non
si
accasciavano
per
la
stanchezza
e
solo
per
questo
eliminati.
Il
Generale
iberico
Manuel
Saint
Jean,
governatore
della
provincia
di
Buenos
Aires,
spiegò
così
la
logica
farneticante
della
repressione
all’indomani
del
golpe:
"Prima
uccideremo
tutti
i
sovversivi,
poi
i
collaboratori,
quindi
gli
indifferenti
e da
ultimo
i
timorosi".
Il
grande
autore
argentino
Ernesto
Sabato
nella
prefazione
del
"Nunca
mas"
la
definì
una
repressione
generalizzata
e
demenziale.
Una
vera
e
propria
caccia
alle
streghe
in
cui
le
vittime
predestinate
dei
militari
argentini
però
avevano
un
profilo
ben
determinato.
La
maggior
parte
dei
desaparecidos
infatti
erano
giovani
tra
i 15
e i
trentacinque
anni,
la
parte
più
produttiva
e
vitale
della
società.
La
repressione
fu
soprattutto
urbana,
infatti
il
cuore
pulsante
del
paese
erano
le
città.
Ma
soprattutto
diversamente
dallo
sterminio
nazista
provocato
da
motivazioni
xenofobe,
la
persecuzione
argentina
fu
provocata
da
motivazioni
di
classe.
La
categoria
più
colpita,
infatti,
sono
stati
gli
operai
come
tre
delle
nostre
quattro
vittime
siciliane.
La
repressione
nelle
fabbriche
fu
durissima.
Le
tute
blu
venivano
considerati
una
categoria
sospetta
anche
se
non
militanti
in
nessuna
Associazione
di
categoria.
A
settembre
un
altro
Generale,
Emilio
Massera,
sarà
processato
in
Italia,
dopo
che
le
famiglie
di
alcuni
desaparecidos
di
origine
italiana,
nel
1998,
delusi
da
anni
di
ingiustizie
e
amnestie
per
gli
aguzzini
dei
loro
figli,
hanno
fatto
ricorso,
grazie
alle
comuni
origini
italiane,
alla
nostra
giustizia.
Già
lo
scorso
anno
i
capi
del
centro
di
detenzione
clandestina
dell’Esma
erano
stati
condannati
dalla
corte
di
Assise
di
Roma
per
gli
omicidi
di
Angela
Maria
Aieta
e
Susanna
Pegoraro,
ora
tocca
al
generale
Masera
che
si è
da
poco
sui
giornali
proclamato
innocente
essere
giudicato
per
i
suoi
crimini.
Una
dittatura
quella
argentina
che
sfugge
a
qualsiasi
schema
interpretativo
tradizionale.
La
potremmo
definire
la”
dittatura
invisibile”.
I
carnefici
sono
invisibili
salvati
dalle
diverse
amnestie
della
democrazia
meneniana,
le
vittime
di
questa
assurda
dittatura
sono
invisibili,
non
sono
né
morti
né
dispersi.
Addirittura
per
loro
è
stata
coniata
una
forma
giuridica
particolare
“
Assen
pour
desaparecion
forzada”.
In
poche
parole
per
la
giustizia
lo
sono
assenti.
Le
loro
vite
sono
rimaste
intrappolate
nel
buco
nero
della
politica
che
non
riesce
a
mettere
fine
con
la
parola
giustizia
a
questa
annosa
vicenda.
Ma
soprattutto
è
stato
assente
il
giudizio
morale
della
società
civile
mondiale
che
si è
chiuso
in
un
silenzio
omertoso.
Ancora
dopo
tanti
anni
i
corpi
di
Salvatore,
Vincenzo,
Giovanni
e
Claudio
non
sono
stati
ritrovati.
Le
famiglie
non
hanno
una
tomba
su
cui
piangere
i
loro
cari.
Sono
rimasti
solo
le
loro
storie
di
eroi
invisibili
di
una
tragedia
dimenticata.
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