contemporanea
ERNST JÜNGER, SOLDATO DELL’ANIMA
L’AVVENTURA DI UN UOMO
di Alessio Guglielmini
È abbastanza arduo individuare un filo
conduttore nei (quasi) 103 anni lungo i
quali si dipana la vita di Ernst Jünger,
tuttavia se dovessimo sceglierne uno,
citeremmo forse l’avventura intrapresa
dalla sua anima tra le varie stagioni
della sua densissima esistenza. Non
perché Jünger non sia una presenza
reale, ma perché è soprattutto lo
snodarsi del suo pensiero, della sua
scrittura filosofica, del suo senso del
mito e della storia a fargli
attraversare, non certo impunemente, le
notevoli traversie del Novecento tedesco
ed europeo.
In occasione della Prima Guerra
Mondiale, Jünger è patriota ed eroe al
fronte. Questo coinvolgimento è dovuto a
una percezione nobilitante
dell’esperienza del soldato. Nel 1913 il
giovane Ernst è già arruolato nella
Legione straniera. Allo scoppio della
Grande Guerra porta questa attitudine al
rischio nelle file dell’esercito
tedesco. Viene ferito 14 volte e
decorato con le più alte onorificenze.
La cronaca estetica e spirituale di
quella vicenda, Nelle tempeste
d’acciaio, è simmetrica al rigurgito
nazionalista che alimenta gli slogan del
partito nazionalsocialista. Jünger
diventa nel giro di poco oggetto del
desiderio della propaganda hitleriana,
anche se l’indipendenza dello scrittore
viene confermata dalla crescente
freddezza nei suoi confronti di alcuni
gerarchi, tra cui Goebbels.
Giorgio Galli ipotizza tuttavia che
Jünger svolga un ruolo di estrema
influenza presso l’élite al comando. Il
suo romanzo breve Sulle scogliere di
marmo (1939) sarebbe espressione del
dibattito che anima i membri dei circoli
segreti che ispirano la filosofia del
Reich e che sono incerti sulla piega che
sta prendendo la politica di Hitler. Sul
fatto che la figura del Forestaro del
romanzo sia ricalcata sul profilo di
Hitler non sussistono dubbi, così come
emblematica è la fine che tocca agli
oppositori del Forestaro stesso: appesi
a un uncino, come accadrà ad alcuni dei
congiurati impiccati nell’estate del ‘44
dopo l’attentato di von Stauffenberg a
Rastenburg.
Jünger durante la Seconda Guerra
Mondiale è anche l’ufficiale colto e
cosmopolita che a Parigi frequenta gli
intellettuali francesi, soprattutto nei
giovedì letterari che si tengono a casa
di Florence Gould. Sono proprio i diari
di quegli anni, pubblicati con il nome
suggestivo di Irradiazioni, a
dare la misura di tali incontri, alcuni
eccellenti e sintomatici dell’intreccio
culturale-ideologico di quel periodo.
Mezzo secolo dopo, nelle interviste
rilasciate a Franco Volpi e Antonio
Gnoli e giunte a noi con il titolo di
I prossimi Titani, Jünger recupera
alcuni di quegli aneddoti. Nella Parigi
occupata conosce ad esempio Céline, di
cui apprezza sentitamente l’opera mentre
ne disprezza il collaborazionismo e
l’antisemitismo. Le conversazioni con
Volpi e Gnoli sono del resto occasione
per ricordare l’aiuto fornito da Jünger
a un amico di origini ebraiche della
scrittrice Colette. Ma è in particolare
la Arendt a tratteggiare il profilo di
Jünger quale esponente della Resistenza,
sebbene il diretto interessato
preferisca porre la questione in termini
più che altro spirituali.
Malgrado l’opposizione al Reich, Jünger
nel secondo dopoguerra viene in parte
emarginato dalla vita intellettuale
tedesca per aver ispirato la componente
militarista del nazismo. Dopo qualche
anno di “embargo” culturale ritorna alle
cronache nel 1950, aprendo “un botta e
risposta” filosofico con il discusso
Martin Heidegger. Jünger dedica a
Heidegger Oltre la linea in cui
affronta i temi del nichilismo;
Heidegger risponde cinque anni più tardi
con La questione dell’essere.
Nel 1951 fa la sua comparsa il
Trattato del Ribelle, in cui Jünger,
sulla scia dell’“Unico” di Stirner,
abbozza quello che diventerà l’identikit
dell’anarca. Il Ribelle jüngeriano non è
assillato dalla dimensione sociale, non
è l’antagonista di un preciso impianto
politico. La sua ribellione è eterna,
incondizionata e lo porta a vivere
attraverso le epoche in base a una sua
filosofia irriducibile che lo situa in
un “bosco ideale”, in uno spazio
distaccato, ed estraneo, rispetto
all’apparato vigente.
Sul finire degli anni Cinquanta irrompe
un altro saggio, benché improntato alla
forma del racconto mitico. Al muro
del tempo specifica la suggestione
di Jünger per la potenza di un
indeterminato avvento titanico che
spinge da sotto come un gorgo
apocalittico tenuto a stento nei suoi
binari dall’impalcatura della storia. È
un’opera crepuscolare che, in qualche
modo, profetizza l’arrivo dell’imminente
Muro di Berlino che andrà a tagliare in
due tronconi quella Germania ancora in
fase di ripensamento dopo i tumuli e le
macerie prodotti da anni di assedi e di
bombardamenti.
Proprio questo mondo post-bellico,
sospeso tra la dimensione storica e
quella mitica, riemerge negli scenari
dei principali romanzi di Jünger dopo il
conflitto. Heliopolis del 1949 è
un affresco incerto sul significato
della civiltà. Il territorio di
Heliopolis ricorda le antiche promesse
del Mediterraneo eppure queste stesse
promesse vengono nel frattempo infrante
dalle regole di una tecnica onnivora e
spietata. La scienza, nella narrazione
di Heliopolis, non è solo votata
al progresso ma è anche disciplina che
mette in subbuglio l’etica e la
moralità. Nel laboratorio del dottor
Mertens si compiono esperimenti su cavie
umane e si producono i germi delle
guerre chimiche.
Tale perversione della conoscenza
annienta lo spirito, le tradizioni e le
età eroiche. Il comandante Lucius de
Geer, protagonista del romanzo nonché
ambasciatore dello Jünger pensiero, è un
nostalgico dell’aristocrazia e di
antichi valori ridimensionati, nella
realtà della Germania presa tra le due
guerre, tanto dal tentativo liberale di
Weimar che dalla dittatura nazista. Ma
verosimilmente il punto interrogativo
del traballante sistema di Heliopolis,
dominato dall’antagonismo tra il Podestà
e il Proconsole, si rivolge pure
all’ambiguo avvenire della Germania,
incastrata, mentre Jünger scrive, tra le
ingerenze occidentali e quelle
sovietiche.
Meno stoica, e più disillusa, è invece
la personalità di Martin Venator, detto
Manuel, che nella (magrebina) città di
Eumeswil, che fornisce il titolo
al romanzo di Jünger del 1977, svolge al
contempo il ruolo di storico e di
barista/steward notturno. Eumeswil è
città-stato, scappata al controllo dei
grandi imperi e dominata da una presenza
autarchica e populista, il Condor. Il
Condor è circondato da sinistri
caporioni che assecondano il suo potere,
tribale e capriccioso, all’interno della
casbah.
Venator, in quanto storico, è da una
parte il garante della memoria, il
custode di un flusso millenario che
incombe minaccioso sulla corte di
Eumeswil; dall’altra, in quanto steward,
è al soldo di quel sistema di vizi e di
scambi clientelari alimentato dagli
umori del Condor. È dunque alle
apparenze un conformista, nel momento in
cui sembra tollerare le dinamiche di
potere vigenti, ma è in verità un totale
anticonformista allorché trae linfa
dall’antico magma della storia per porsi
su un piano più elevato che sfugge al
“qui e ora”.
Questo sfuggire all’attualità è tipico
dell’anarca, profilo in cui Venator si
riconosce. Egli osserva da una visuale
neutra le logiche su cui si fonda
l’autorità del Condor e alterna a tale
visuale un intenso ripescaggio delle
figure che hanno segnato i tempi, da
Bruto a Tročkij,
da Carlo V a Pietro il Grande. Sono loro
i più accreditati giudici del declino
che attende inesorabilmente anche il
regime del Condor.
Senza contare che di Jünger si potrebbe
ricordare la “carriera” di entomologo,
ricostruita con notevole perizia
espressiva in Cacce sottili,
dello scrittore e filosofo tedesco
rimane un’eredità ricca, complessa,
sfaccettata come le esperienze e gli
incontri da lui intrapresi nel corso del
secolo.
Lungo i suoi (quasi) 103 anni Jünger
vive come soldato, attraversa la
temperie che conduce la Germania dal
trattato di Versailles al disastro del
secondo conflitto mondiale, si confronta
con gli intellettuali a lui coevi, tra
cui Schmitt, Gide, Spengler, Drieu La
Rochelle e Heidegger. Dirige insieme
allo storico delle religioni Mircea
Eliade la rivista Antaios
(1959-1971), confermando il suo
interesse per il simbolo e l’archetipo.
Sperimenta più volte l’LSD in compagnia
del suo “creatore” Albert Hofmann e ne
scrive in Avvicinamenti.
Lascia capitoli fertili, profetici che
ripercorrono le attese, i dissidi, le
crisi del pensatore novecentesco
sorpreso tra il fasto degli antichi
imperi e il dominio della tecnica
imposto da nuove, soverchianti, forme di
potere.
Riferimenti bibliografici:
A. Gnoli, F. Volpi, I prossimi
Titani. Conversazioni con Ernst Jünger,
Adelphi, Milano 1997.
E. Jünger, Sulle scogliere di marmo,
Guanda, Parma 1988.
E. Jünger, Irradiazioni. Diario
(1941-1945), Guanda, Parma 1993.
E. Jünger - Martin Heidegger, Oltre
la linea, Adelphi, Milano 1989.
E. Jünger, Trattato del Ribelle,
Adelphi, Milano 1990.
E. Jünger, Al muro del tempo,
Adelphi, Milano 2000.
E. Jünger, Heliopolis, Guanda,
Parma 2006.
E. Jünger, Eumeswil, Guanda,
Parma 2001.
H. Schwilk, Ernst Jünger. Una vita
lunga un secolo, Effatà Editrice,
Cantalupa 2013.
G. Galli, Hitler e il nazismo magico.
Le componenti esoteriche del Reich
millenario, Rizzoli, Milano 1989. |