ERNESTO GUEVARA, LA RIVOLUZIONE
CUBANA
(nota: pubblicato in "Verde Olivo",
aprile 1961)
Mai prima d'ora, in America, si era
verificato un fatto dalle
caratteristiche tanto straordinarie, con
così profonde radici e con conseguenze
di tale importanza ai fini del destino
dei movimenti progressisti del
continente, che sia paragonabile alla
nostra guerra rivoluzionaria. Al punto
che questa guerra è stata da alcuni
definita l'avvenimento cardine
dell'America, che per importanza viene
subito dopo la triade formata dalla
Rivoluzione d'Ottobre, dal trionfo sulle
armi hitleriane con le successive
trasformazioni sociali, e dalla vittoria
della Rivoluzione Cinese.
Il nostro movimento, fortemente
eterodosso nelle sue forme e
manifestazioni esteriori, ha tuttavia
seguito - né poteva essere altrimenti -
le linee generali proprie a tutti i
grandi avvenimenti storici del nostro
secolo, caratterizzati dalle lotte
anticoloniali e dal passaggio al
socialismo.
Tuttavia certi settori, per interesse o
in buona fede, han preteso di scorgere
nella rivoluzione cubana un certo numero
di radici e di caratteristiche
eccezionali e ne elevano
artificiosamente l'importanza, relativa
in confronto al profondo fenomeno
storico sociale, fino a definirle
determinanti. Si parla
dell'eccezionalità della Rivoluzione
Cubana a paragone della linea di altri
partiti progressisti d'America e si
deduce, pertanto, che la forma e la via
della Rivoluzione cubana costituiscono
un prodotto a sé, proprio di essa, e che
negli altri paesi dell'America diverso
sarà il cammino storico percorso dai
popoli.
Ammettiamo che ci siano delle eccezioni
che conferiscono alla Rivoluzione cubana
le sue caratteristiche peculiari: è un
fatto ormai stabilito che ogni
rivoluzione annoveri dei fattori
specifici di questo tipo, né è meno
incontrovertibile però che tutte le
rivoluzioni seguiranno delle leggi la
cui violazione non è alla portata delle
possibilità della società. Analizziamo
quindi i fattori di questa pretesa
eccezionalità.
Il primo, e forse il più importante, il
più originale, è rappresentato da quella
forza tellurica che risponde al nome di
Fidel Castro Ruz, un nome che nel giro
di pochi anni ha raggiunto dimensioni
storiche. Il futuro riserverà il posto
adeguato ai meriti del Primo Ministro,
ma noi già li riteniamo paragonabili a
quelli delle figure più alte della
storia di tutta l'America latina. E
quali sono le circostanze eccezionali
che circondano la personalità di Fidel
Castro?
Sono parecchie le caratteristiche della
sua vita e del suo carattere che lo
pongono di gran lunga al di sopra di
tutti i suoi compagni e seguaci. Fidel è
uomo di tale possente personalità da
dover prendere la guida di qualunque
movimento a cui partecipi: e cosi è
avvenuto nel corso della sua carriera,
da quando era studente fino ad ora che
si trova alla guida della nostra patria
e dei popoli oppressi d'America. Egli
possiede le caratteristiche del grande
condottiero, che, sommate alle sue doti
personali di audacia, di energia e di
valore, ed alla sua eccezionale cura
nell'ascoltare sempre la volontà del
popolo, lo hanno portato al posto di
onore e di sacrificio da lui oggi
occupato. Ma possiede delle altre
importanti qualità, come, per esempio,
la capacità di assimilare le nozioni e
le esperienze, di afferrare tutto
l'insieme di una data situazione senza
perdere di vista i particolari, la fede
immensa nel futuro, e l'ampia visuale
che lo mette in grado di prevenire gli
eventi e di anticipare i fatti,
scorgendo sempre più lontano e meglio
dei suoi compagni.
Con queste grandi qualità fondamentali,
con la sua capacità di coagulare, di
unire gli uomini, opponendosi alla
divisione, fonte di debolezza; con la
sua capacità di dirigere, alla guida di
tutti, l'azione del popolo; con il suo
amore infinito per il popolo, la sua
fede nel futuro e la sua capacità di
prevederlo, Fidel Castro ha fatto più di
chiunque altro a Cuba per costruire dal
nulla l'apparato, oggi formidabile,
della Rivoluzione cubana.
Tuttavia, nessuno potrebbe affermare che
a Cuba vi siano condizioni
politico-sociali del tutto diverse da
quelle degli altri paesi d'America e che
proprio a causa di tali diversità vi si
sia fatta la Rivoluzione. Né d'altro
canto, a maggior ragione, si potrebbe
affermare al contrario che Fidel Castro
abbia fatto la Rivoluzione nonostante
questa differenza. Fidel, condottiero
grande e abile, ha diretto la
Rivoluzione a Cuba, nel momento e nel
modo in cui l'ha fatto, facendosi
interprete dei profondi sommovimenti
politici che stavano preparando il
popolo al grande balzo verso le vie
della rivoluzione. Esistevano inoltre
certe condizioni, che non erano neanche
esse specifiche di Cuba, ma di cui
difficilmente altri popoli potranno
approfittare, giacché l'imperialismo, al
contrario di certi gruppi progressisti,
sa trarre insegnamento dai propri
errori.
Una condizione che potremmo definire
un'eccezione è nel fatto che
l'imperialismo nordamericano si trovò
disorientato e non riuscì mai a valutare
esattamente la reale portata della
Rivoluzione cubana. C'è qualcosa in ciò
che serve a spiegare molte delle
apparenti contraddizioni del cosiddetto
quarto potere nordamericano.
I monopoli, com'è loro abitudine in
questi casi, cominciavano a pensare ad
un successore di Batista, proprio perché
sapevano che a questo dittatore il
popolo non ubbidiva e gli stava cercando
anche lui un successore, ma per via
rivoluzionaria.
Quale astuzia più intelligente e più
abile di quella di gettare a mare il
dittatorucolo ormai inservibile e
mettere al suo posto dei nuovi
,"ragazzi" in grado, quando ne venisse
il momento, di fare gli interessi
dell'imperialismo? Per un po' di tempo
l'imperialismo puntò su questa carta del
suo mazzo continentale e finì per
perdere miserevolmente. Prima della
vittoria, sospettavano di noi, ma non ci
temevano: puntavano piuttosto su due
carte, con tutta l'esperienza che hanno
in questo gioco in cui di solito non si
perde. Parecchie volte, emissari del
Dipartimento di Stato, travestiti da
giornalisti, vennero a tastare il polso
alla Rivoluzione montanara, ma non ne
riuscirono a rilevare il sintomo di
pericolo imminente. Quando poi
l'imperialismo volle reagire, quando si
rese conto che il gruppo di giovincelli
inesperti che percorreva in trionfo le
strade dell'Avana aveva chiara coscienza
del proprio dovere politico ed era
ferreamente deciso a compiere fino in
fondo tale dovere, ormai era troppo
tardi. Fu così che nel gennaio del 1959,
spuntò d'improvviso l'alba della prima
Rivoluzione sociale di tutta la zona dei
Caraibi e la più profonda delle
rivoluzioni americane.
Non crediamo che si possa considerare
eccezionale il fatto che la borghesia, o
almeno una buona parte di essa, si
mostrasse favorevole alla guerra
rivoluzionaria contro la tirannia,
mentre nello stesso tempo appoggiava e
promuoveva i movimenti tendenti a
ricercare soluzioni negoziate che le
permettessero di sostituire il governo
di Batista con elementi disposti a
frenare la Rivoluzione.
Tenendo conto delle condizioni in cui si
sollevò la guerra rivoluzionaria e della
complessità delle tendenze politiche che
si opponevano alla tirannia, non risulti
eccezionale neanche il fatto che certi
elementi latifondisti adottassero un
atteggiamento neutrale, o almeno di non
belligeranza, nei confronti delle forze
insurrezionali.
È comprensibile che la borghesia
nazionale, soffocata dall'imperialismo e
dalla tirannia, le cui truppe scorrevano
saccheggiando le piccole proprietà e
facevano della corruzione un mezzo di
sostentamento quotidiano, vedesse con
una certa simpatia il fatto che questi
giovani ribelli della montagna punissero
il braccio armato dell'imperialismo,
rappresentato dall'esercito mercenario.
Sicché, forze non rivoluzionarie
aiutarono di fatto a facilitare il
cammino all'avvento del potere
rivoluzionario. Portando le cose
all'estremo, possiamo aggiungere un
nuovo elemento di eccezionalità, vale a
dire il fatto che, nella maggior parte
dei luoghi di Cuba, il contadino si era
proletarizzato a causa delle esigenze
della grande coltivazione capitalista
semi-meccanizzata ed era entrato in una
fase organizzativa che gli dava una
maggior coscienza di classe. Si può
anche ammettere. Ma dobbiamo notare, ad
onor del vero, che sul territorio
originario del nostro Esercito Ribelle,
costituito dai superstiti della colonna
sconfitta che aveva compiuto il viaggio
sul Granma, risiede proprio un mondo
contadino dalle radici culturali e
sociali diverse da quelle che si possono
trovare nelle vicinanze della grande
piantagione semi-meccanizzata cubana. In
effetti, la Sierra Maestra, paesaggio
del primo alveare rivoluzionario, è un
luogo in cui si rifugiano tutti i
contadini che, nel loro braccio di ferro
contro il latifondo, salgono lí per
cercare un nuovo pezzo di terra, che
essi strappano allo Stato o a qualche
vorace proprietario latifondista, allo
scopo di crearsi una piccola ricchezza.
Questi contadini devono stare in lotta
continua contro le esazioni dei soldati,
sempre alleati del potere latifondista e
il loro orizzonte è chiuso dal possesso
del titolo di proprietà. In concreto, il
soldato che veniva a formare il nostro
primo esercito guerrigliero di tipo
contadino, esce da quella parte di
questa classe sociale che dimostra con
maggiore aggressività il proprio amore
per la terra e per il suo possesso, che
dimostra, cioè, più perfettamente ciò
che si può definire spirito piccolo
borghese; il contadino lotta perché
vuole terra: per sé, per i suoi figli,
per amministrarla, per venderla e per
arricchirsi mediante il proprio lavoro.
Nonostante il suo spirito piccolo
borghese, il contadino impara presto che
il suo desiderio di posseder terra non
può venir soddisfatto senza rompere il
sistema della proprietà latifondista. La
riforma agraria radicale, l'unica che
possa dare la terra al contadino, si
scontra con gli interessi diretti degli
imperialisti, dei latifondisti e dei
magnati dello zucchero e
dell'allevamento. La borghesia ha paura
di scontrarsi con questi interessi. Il
proletariato no. In tal modo, il cammino
stesso della Rivoluzione unisce operai e
contadini. Gli operai sostengono le
rivendicazioni contro il latifondo. Il
contadino povero, beneficiato dal
possesso della terra, sostiene lealmente
il potere rivoluzionario e lo difende di
fronte ai nemici imperialisti e
controrivoluzionari.
Crediamo che non si possano allegare
altri fattori di eccezionalità. Siamo
tanto generosi da portarli agli estremi:
vedremo ora quali sono le radici
permanenti di tutti i fenomeni sociali
d'America, le contraddizioni che,
maturando in seno alle società attuali,
provocano dei mutamenti che possono
tendere ad acquistare l'ampiezza di una
Rivoluzione come quella cubana.
In ordine cronologico, e nonostante non
sia di grande importanza attualmente, va
posto il latifondo. Il latifondo è stato
la base del potere economico della
classe dominante per tutto il periodo
successivo alla grande rivoluzione
anticoloniale del secolo scorso. Ma
quella classe sociale latifondista,
esistente in tutti i paesi, sta di
regola in coda agli avvenimenti sociali
che scuotono il mondo. In certi posti,
tuttavia, la parte più attenta e
avvertita di questa classe latifondista
s'accorge del pericolo e procede ad un
mutamento dei suoi investimenti di
capitale, talvolta migliorando in modo
da effettuare coltivazioni meccanizzate,
a volte trasferendo una parte dei suoi
profitti nell'industria o a volte
diventando agenti commerciali del
monopolio. In ogni caso, la prima
rivoluzione libertadora non arrivò mai a
distruggere le basi del latifondo che,
agendo sempre in modo reazionario,
mantengono sulla terra il principio
della servitù. È questo il fenomeno che
senza eccezioni si affaccia in tutti i
paesi dell'America latina e che ha
costituito il substrato di tutte le
ingiustizie commesse fin dall'epoca in
cui il re di Spagna concedeva ai
nobilissimi conquistadores grandi
compensi territoriali, lasciando, nel
caso di Cuba, ai nativi, ai creoli e ai
meticci, solamente i realengos, vale a
dire i beni demaniali costituiti dalla
superficie restante tra tre grandi
proprietà di forma circolare, tangenti
tra loro.
Il latifondista comprese, nella maggior
parte dei paesi, che non sarebbe
riuscito a sopravvivere da solo, e
rapidamente strinse alleanza con i
monopoli, cioè con gli oppressori più
forti e feroci dei popoli americani. I
capitali nordamericani arrivarono a
fecondare le terre vergini, per portarsi
poi via, insensibilmente, tutta la
valuta che in precedenza,
"generosamente", avevano regalato, più
altri guadagni che rappresentavano la
somma originariamente investita nel
paese "beneficiato" moltiplicata
parecchie volte.
L'America divenne il campo della lotta
interimperialista: e le "guerre" tra il
Costa Rica e il Nicaragua; la secessione
di Panama; l'infamia commessa ai danni
dell'Ecuador nella sua disputa col Perú;
la lotta tra Paraguay e Bolivia; tutte
queste cose non sono che espressioni di
questa battaglia gigantesca tra i grandi
consorzi monopolisti del mondo,
battaglia che si è decisa quasi
completamente a favore dei monopoli
nordamericani a partire dalla Seconda
guerra mondiale. Da allora in poi
l'imperialismo si è dedicato a
perfezionare il proprio dominio
coloniale e a strutturare il meglio
possibile tutta la baracca per evitare
che vi penetrino i vecchi e nuovi
concorrenti degli altri paesi
imperialisti.
Tutto ciò dà come risultato un'economia
mostruosamente distorta, che dai pudichi
economisti del regime imperiale è stata
descritta con una parola innocua,
dimostrativa della profonda pietà che
nutrono per noi, esseri inferiori (essi
chiamano "inditos" i nostri indios
spietatamente sfruttati, vessati e
ridotti all'ignominia, chiamano "di
colore" tutti gli uomini di razza negra
o mulatta, diseredati, discriminati,
strumenti, come persone e come idea di
classe, per dividere le masse operaie
nella loro lotta per migliori destini
economici): ci chiamano, noi, popoli
d'America, ci chiamano con un altro nome
pudico e soave: "sottosviluppati."
Che cos'è il sottosviluppo?
Un nano con una testa enorme ed un
torace possente è "sottosviluppato" in
quanto le deboli gambe e le corte
braccia non sono adeguate al resto della
sua anatomia: si tratta del prodotto di
un fenomeno teratologico che ha distorto
il suo sviluppo. Ecco che cosa siamo in
realtà noi, definiti dolcemente
"sottosviluppati" e in realtà paesi
coloniali, semicoloniali o vassalli.
Siamo paesi ad economia distorta a causa
dell'azione imperialista, che ha
sviluppato in maniera anormale i rami
dell'industria o dell'agricoltura
necessari a far da complemento alla sua
complessa economia. Il "sottosviluppo",
o sviluppo distorto, comporta pericolose
specializzazioni in materie prime, le
quali mantengono sotto la minaccia della
fame tutti i nostri popoli. Noi
sottosviluppati siamo anche quelli della
monocoltura, del monoprodotto, del
monomercato. Un unico prodotto la cui
incerta vendita dipende da un mercato
unico che impone e fissa le condizioni:
ecco la grande formula del dominio
economico imperialista, che va ad
aggiungersi all'antico ma sempre giovane
motto romano: divide et impera.
Il latifondo quindi, mediante le sue
collusioni con l'imperialismo, plasma
completamente il cosiddetto
"sottosviluppo" il quale dà come
risultato bassi salari e disoccupazione.
Questo fenomeno dei bassi salari e della
disoccupazione apre un circolo vizioso
che sbocca ancora in più bassi salari e
in ulteriore disoccupazione, nella
misura in cui si acutizzano le grandi
contraddizioni del sistema che,
costantemente alla mercé delle
variazioni cicliche della sua economia,
creano quello che è il denominatore
comune dei popoli d'America, dal rio
Bravo al polo Sud. Questo denominatore
comune che scriveremo a tutte maiuscole
e che serve di base d'analisi a tutti
coloro che si occupano di questi
fenomeni sociali, si chiama FAME DEL
POPOLO, stufo di essere oppresso, di
essere vessato, di essere sfruttato al
massimo, stufo di vendere giorno per
giorno la propria forza lavoro per una
miseria (davanti alla paura di andare ad
ingrossare l'enorme massa dei
disoccupati), perché da ogni corpo umano
venga spremuto il massimo di utile, poi
sperperato nelle orge dei padroni del
capitale.
Vediamo quindi che vi sono grandi e
inequivocabili denominatori comuni
nell'America latina e che noi non
possiamo dire di essere rimasti esenti
da nessuno di questi elementi collegati
i quali fan tutti capo al più terribile
e permanente: la fame del popolo. Il
latifondo, sia come forma di
sfruttamento primitivo, sia come
espressione di monopolio capitalistico
della terra, si adegua alle nuove
condizioni e si allea all'imperialismo,
forma di sfruttamento del capitale
finanziario e monopolista che viene da
oltre le frontiere nazionali, allo scopo
di creare il colonialismo economico,
eufemisticamente chiamato
"sottosviluppo", che dà per risultato il
basso salario, la disoccupazione, la
sottoccupazione: la fame dei popoli.
Tutto ciò esisteva a Cuba. Anche qui
c'era la fame, qui c'era una delle
percentuali di disoccupati più alte
dell'America latina, qui l'imperialismo
era più feroce che in tanti altri paesi
d'America e qui il latifondo esisteva
con tutta la forza con cui è presente in
qualunque paese fratello.
Che cosa abbiamo fatto per liberarci
dell'imponente fenomeno
dell'imperialismo con tutta la sequela
di governanti fantoccio in ciascun paese
e dei loro mercenari, disposti a
difendere questi fantocci e tutto il
complesso sistema sociale dello
sfruttamento dell'uomo sull'uomo?
Abbiamo applicato delle formule che già
altre volte abbiamo dato come ritrovato
della nostra medicina empirica per
guarire i grandi mali della nostra amata
America latina, medicina empirica che
rapidamente si è fatta largo tra le
spiegazioni della verità scientifica.
Le condizioni obbiettive per la lotta
son date dalla fame del popolo, dalla
reazione di fronte a questa fame, dal
timore che insorge per schiacciare la
reazione popolare e dall'alone di odio
creato dalla repressione. Mancavano in
America delle condizioni soggettive, la
più importante delle quali è data dalla
coscienza della possibilità della
vittoria con l'uso della via violenta
contro le forze imperialiste e i loro
alleati interni. Queste condizioni si
creano mediante la lotta armata, la
quale sta rendendo più chiara la
necessità del mutamento (e permette di
prevederlo) e della sconfitta
dell'esercito da parte delle forze
popolari e del suo successivo
annientamento (come imprescindibile
condizione di ogni autentica
rivoluzione).
Notando ormai che le condizioni sono al
completo mediante l'esercizio della
lotta armata, dobbiamo ribadire ancora
una volta che sfondo di questa lotta
deve essere la campagna e che, dalla
campagna, con un esercito contadino che
persegua i grandi obbiettivi per cui
devono lottare i contadini (primo dei
quali è l'equa distribuzione della
terra) questa lotta conquisterà le
città. Sulla base ideologica della
classe operaia, i cui grandi pensatori
scoprirono le leggi sociali che ci
governano, la classe contadina d'America
fornirà il grande esercito di
liberazione del futuro, come già è
avvenuto a Cuba. Questo esercito creato
nelle campagne, nel quale si vanno
maturando le condizioni soggettive per
la presa del potere, che va conquistando
le città dal di fuori, unendosi alla
classe operaia e aumentando il capitale
ideologico con questi nuovi apporti, può
e deve sconfiggere l'esercito
oppressore, da principio con scaramucce,
attacchi di sorpresa, scontri di piccola
entità, e alla fine in grandi battaglie,
quando sia cresciuto al punto di
abbandonare la sua minuscola dimensione
di banda guerrigliera per raggiungere
quella di grande esercito popolare di
liberazione. Tappa fondamentale del
consolidamento del potere rivoluzionario
sarà la liquidazione dell'antico
esercito, come osservavamo sopra.
Se si pretendesse di ritrovare tutte
queste condizioni offerte da Cuba negli
altri paesi dell'America latina, nelle
altre lotte per la presa del potere in
favore delle classi diseredate, che cosa
avverrebbe? Sarebbe cosa fattibile o no?
E se è fattibile, sarebbe più facile o
più difficile che a Cuba?
Cerchiamo di esporre le difficoltà che a
nostro parere renderanno più dure le
nuove lotte rivoluzionarie d'America: si
tratta di difficoltà generali per tutti
i paesi e di difficoltà più specifiche
per alcuni di essi, resi diversi dagli
altri dal loro grado di sviluppo o dalle
peculiarità nazionali.
Avevamo notato, all'inizio di questo
lavoro, che potevano essere considerati
fattori di eccezione l'atteggiamento
dell'imperialismo, disorientato davanti
alla Rivoluzione Cubana, e, fino a un
certo punto, l'atteggiamento della
stessa classe borghese nazionale,
anch'essa disorientata al punto di
guardare perfino con una certa simpatia
all'azione dei ribelli a causa della
pressione dell'imperialismo sui suoi
interessi (situazione, quest'ultima, che
è per lo più comune a tutti i nostri
paesi). Cuba ha di nuovo tracciato la
linea nella sabbia e torna al dilemma di
Pizarro; da un lato ci sono coloro che
amano il popolo, mentre dall'altro
stanno coloro che lo odiano. E tra
questi ultimi, ancor più profondo, è
scavato il solco che divide
inderogabilmente le due grandi forze
sociali: la borghesia e la classe
lavoratrice, le quali stanno definendo
con sempre maggior chiarezza le proprie
rispettive posizioni, man mano che
avanza il processo della Rivoluzione
Cubana.
Ciò vuol dire che l'imperialismo ha
imparato fino in fondo la lezione di
Cuba, e che non tornerà a farsi prendere
di sorpresa in nessuna delle nostre
venti repubbliche, in nessuna delle
colonie ancora esistenti, in nessuna
parte dell'America. Ciò vuol dire che
grandi lotte popolari contro potenti
eserciti di invasione attendono coloro
che pretendono ora di violare la pace
dei sepolcri, la pace romana. Importante
questo, perché, se dura è stata la
guerra di liberazione cubana con i suoi
due anni di combattimento continuo, di
sussulti e instabilità, infinitamente
più dure saranno le nuove battaglie che
attendono il popolo in altri luoghi
dell'America latina.
Gli Stati Uniti affrettano la consegna
di armi ai governi fantoccio che vedono
più minacciati; fanno loro firmare patti
di vassallaggio, per rendere
giuridicamente più facile l'invio di
strumenti di repressione e di uccisione
e di truppe di ciò incaricate. Inoltre
intensificano la preparazione militare
dei quadri negli eserciti di
repressione, con l'intenzione di
servirsene da efficace pugnale contro il
popolo.
E la borghesia? ci si chiederà. Giacché
si sa che in molti paesi d'America
esistono delle contraddizioni oggettive
tra le borghesie nazionali che lottano
per svilupparsi e l'imperialismo che
inonda i mercati con i suoi articoli per
sconfiggere in un impari lotta
l'industria nazionale, così come vi sono
altre forme o manifestazioni di lotta
per il plusvalore e la ricchezza.
Nonostante queste contraddizioni le
borghesie nazionali non sono capaci, in
genere, di mantenere un atteggiamento
coerente di lotta di fronte
all'imperialismo.
Esse dimostrano di temere di più la
rivoluzione popolare delle sofferenze
sotto l'oppressione e il dominio
dispotico dell'imperialismo, che soffoca
la nazionalità, umilia il sentimento
patriottico e colonizza l'economia.
La grande borghesia si oppone
apertamente alla rivoluzione e non esita
ad allearsi con l'imperialismo ed il
latifondismo per combattere il popolo e
chiudergli la via della Rivoluzione.
Un imperialismo disperato e isterico,
deciso a intraprendere ogni genere di
manovre e a dare armi e perfino truppe
ai suoi fantocci per annientare
qualunque popolo si sollevi; un
latifondismo feroce, privo di scrupoli
ed esperto delle forme più brutali di
repressione; e una grande borghesia
disposta a sbarrare, con qualunque
mezzo, il passo alla rivoluzione
popolare; queste sono le grandi forze
alleate fra loro che si oppongono
direttamente alle nuove rivoluzioni
popolari dell'America latina.
Tali sono le difficoltà che vanno
aggiunte a tutte quelle insite nelle
lotte di questo tipo nelle nuove
condizioni dell'America latina, in
seguito al consolidamento del fenomeno
irreversibile della Rivoluzione Cubana.
Ve ne sono altre più specifiche. I paesi
che, anche senza che si possa parlare di
un'effettiva industrializzazione, hanno
sviluppato la propria industria media e
leggera o hanno, semplicemente, subìto
processi di concentrazione della
popolazione in grandi centri urbani,
trovano maggiore difficoltà a preparare
la guerriglia. Inoltre l'influenza
ideologica dei centri popolati impedisce
la lotta guerrigliera e incoraggia lotte
di massa organizzate pacificamente.
Quest'ultimo elemento dà origine ad una
certa "istituzionalità", secondo la
quale in periodi più o meno "normali",
le condizioni siano meno dure del
trattamento abituale riservato al
popolo.
Si arriva perfino a concepire l'idea di
possibili aumenti quantitativi degli
elementi rivoluzionari sui banchi del
parlamento fino ad arrivare ad un
estremo che permetta un giorno un
mutamento qualitativo.
Questa speranza, a nostro avviso, molto
difficilmente riuscirà a realizzarsi,
nelle condizioni attuali, in qualunque
paese d'America. Benchè non sia da
escludere la possibilità che il
mutamento, in qualche paese, prenda
l'avvio con i mezzi elettorali, le
condizioni in tali paesi prevalenti
rendono tale possibilità molto remota.
I rivoluzionari non possono prevedere a
priori tutte le varianti tattiche che
possono presentarsi nel corso della
lotta per il loro programma di
liberazione. La reale capacità di un
rivoluzionario si misura in base al
fatto se sappia trovare tattiche
rivoluzionarie adeguate ad ogni
cambiamento di situazione, se sappia
tener presenti tutte le tattiche e
sfruttarle al massimo. Errore
imperdonabile sarebbe quello di
sottovalutare i vantaggi che il
programma rivoluzionario può ottenere da
una data campagna elettorale; come
sarebbe altrettanto imperdonabile,
limitarsi alle elezioni e non vedere gli
altri mezzi di lotta, compresa la lotta
armata, volti ad ottenere il potere, che
è lo strumento indispensabile per
applicare e sviluppare il programma
rivoluzionario, poiché se non si
raggiunge il potere, tutte le altre
conquiste sono instabili, insufficienti,
incapaci di fornire le soluzioni
necessarie, per quanto avanzate esse
possano apparire.
E quando sentiamo parlare di presa del
potere per via elettorale, la nostra
domanda è sempre la stessa: se un
movimento popolare giunge al governo di
un paese spinto da una grande votazione
popolare e decidesse, di conseguenza, di
dare inizio alle grandi trasformazioni
sociali previste dal programma in base
al quale ha avuto la vittoria, non
entrerebbe immediatamente in conflitto
con le classi reazionarie del paese? E
non è stato sempre l'esercito lo
strumento di oppressione di tali classi?
Se cosi è, è logico dedurre che tale
esercito si schiererà dalla parte della
sua classe ed entrerà in conflitto con
il governo costituito. Può succedere che
il governo venga rovesciato con un colpo
di stato più o meno incruento e che
ricominci il gioco che non finisce mai;
ma può succedere invece che l'esercito
oppressore venga sconfitto grazie
all'azione popolare armata mossa in
appoggio al proprio governo. Ciò che ci
sembra difficile è che le Forze Armate
accettino di buon grado delle riforme
sociali profonde e si rassegnino come
agnellini alla propria liquidazione come
casta.
Quanto a ciò che prima accennavamo a
proposito delle grandi concentrazioni
urbane, è nostro modesto avviso che,
anche in questi casi, in condizioni di
arretratezza economica, possa risultare
consigliabile sviluppare la lotta fuori
dai confini cittadini, dandole
caratteristiche di lunga durata. Per
essere più espliciti, la presenza di un
focolaio guerrigliero in montagna, in un
paese dalle città popolose, alimenta
perennemente il fuoco della ribellione,
poiché è molto difficile che le forze di
repressione possano liquidare
rapidamente, e magari nel giro di anni,
la guerriglia che fondi le sue basi
sociali in terreno favorevole alla lotta
guerrigliera e laddove esistano persone
che adottino coerentemente la tattica e
la strategia di questo tipo di guerra.
Molto diverso ciò che occorrerebbe fare
nelle città: lì si può sviluppare in
misura insospettata la lotta armata
contro l'esercito di repressione, ma
tale lotta diventerà frontale soltanto
quando vi sia un esercito potente in
lotta contro un altro esercito; né si
può intraprendere una lotta frontale
contro un esercito potente e ben armato
quando si possa far conto soltanto su un
gruppetto di uomini. La lotta frontale
allora andrebbe effettuata con molte
armi; e sorge la domanda: dove sono
queste armi? Le armi non esistono di per
sé, bisogna prenderle al nemico; ma per
prenderle al nemico bisogna lottare, e
non si può lottare frontalmente. Quindi
la lotta nelle grandi città deve
cominciare da una fase clandestina in
cui accattivarsi dei gruppi militari o
conquistarsi le armi, ad una ad una, in
successivi colpi di mano.
In questo secondo caso si può fare molta
strada, e non esiteremmo ad affermare
che sarebbe inibito ogni successo ad una
ribellione popolare che abbia base
guerrigliera all'interno delle città.
Nessuno può opporsi teoricamente a
questa idea, non è questa almeno la
nostra intenzione, ma dobbiamo
d'altronde notare quanto sarebbe facile,
per mezzo di qualche delazione o
semplicemente con una serie di
perquisizioni, eliminare i capi della
rivoluzione. In compenso, ammettendo che
vengano operate tutte le azioni
pensabili in ambiente cittadino, che
cioè si ricorra al sabotaggio
organizzato e soprattutto a quella forma
particolarmente efficace di guerriglia
che è la guerriglia suburbana,
conservando però il nucleo fondamentale
su terreni favorevoli alla lotta
guerrigliera, se le forze d'oppressione
sconfiggono tutte le forze popolari
della città, annientandole, il potere
politico rivoluzionario rimane incolume,
giacché si trova relativamente al riparo
dalle vicende belliche. Purché sia sì
relativamente al riparo, ma non fuori
della guerra, né la diriga da un altro
paese o da luoghi distanti: purché sia
tra il suo popolo, nella lotta. Sono
queste le considerazioni che ci fanno
pensare che, anche prendendo in esame
paesi in cui ci sia grande predominio
urbano, il focolaio centrale della lotta
si possa sviluppare nelle campagne.
Venendo al caso che si possa contare su
cellule militari che aiutino a vibrare
il colpo e che forniscano le armi,
bisogna prendere in esame due problemi.
Primo, se davvero tali gruppi militari
si uniscono alle forze popolari per
vibrare il colpo, considerandosi però
essi stessi un nucleo organizzato e
capace di autodecisione: in tal caso si
tratterà di un colpo di una parte
dell'esercito contro un'altra e,
probabilmente, resterà incolume la
struttura di casta dell'esercito.
L'altra eventualità, che cioè l'esercito
si unisca rapidamente e spontaneamente
alle forze popolari, a nostro avviso si
può verificare soltanto in seguito al
fatto che quell'esercito sia stato
vigorosamente battuto da un nemico
potente e incalzante, cioè in condizioni
catastrofiche per il potere costituito.
Alla condizione che si tratti di un
esercito sconfitto, distrutto nel
morale, si può verificare questo
fenomeno, ma perché ciò accada è
necessaria la lotta. Sicché si ritorna
al primo punto: come realizzare questa
lotta? La risposta ci condurrà allo
sviluppo della lotta guerrigliera su
terreno favorevole, appoggiata dalla
lotta nelle città e contando sempre
sulla più ampia partecipazione possibile
delle masse operaie e, naturalmente,
sotto la guida dell'ideologia di questa
classe.
Abbiamo fin qui analizzato a sufficienza
le difficoltà in cui incorreranno i
movimenti rivoluzionari dell'America
latina. Ora bisogna chiedersi se ci
siano o no delle situazioni più
vantaggiose rispetto alla fase
precedente, quella cioè in cui si trovò
Fidel Castro sulla Sierra Maestra.
Crediamo anche in questo caso che vi
siano delle condizioni generali che
facilitano l'esplosione di questi
focolai di ribellione e condizioni
specifiche di certi paesi che la rendono
ancor più facile.
Due ragioni soggettive dobbiamo notare
quali conseguenze più importanti della
Rivoluzione Cubana: la prima è la
possibilità della vittoria, giacché ora
si è perfettamente a conoscenza della
possibilità di coronare col successo
un'impresa come quella compiuta nella
loro lotta di due anni sulla Sierra
Maestra, da quel gruppo di illusi che
avevano intrapreso la spedizione del
Granma: ciò indica immediatamente che si
può dar luogo ad un movimento
rivoluzionario che agisca dalla
campagna, che si leghi alle masse
contadine, che vada via via crescendo,
che distrugga l'esercito in lotta
frontale, che conquisti le città dalla
campagna, che riesca ad incrementare,
mediante la lotta, le condizioni
soggettive necessarie alla presa del
potere. L'importanza detenuta da questo
fatto è misurabile dalla grande quantità
di "eccezionalisti" che sono spuntati in
questi tempi.
Gli "eccezionalisti" sono quegli esseri
speciali che trovano che la Rivoluzione
Cubana sia un avvenimento unico ed
inimitabile sulla terra, condotto da un
uomo che, abbia difetti o no, a seconda
che l"'eccezionalista" sia di destra o
di sinistra, ha tuttavia guidato,
evidentemente, la Rivoluzione per dei
sentieri apertisi unicamente ed
esclusivamente perché li percorresse la
Rivoluzione Cubana. Completamente falso,
diciamo noi: la possibilità di vittoria
delle masse popolari dell'America latina
è chiaramente espressa dalla via della
lotta guerrigliera, basata sull'esercito
contadino, sull'alleanza degli operai
con i contadini, sulla sconfitta
dell'esercito regolare in lotta
frontale, sulla presa delle città
partendo dalla campagna, sulla
dissoluzione dell'esercito regolare come
prima tappa del crollo totale della
sovrastruttura del mondo colonialista
precedente.
Possiamo osservare, quale secondo
fattore soggettivo, che le masse non
solo conoscono la possibilità della
vittoria, ma ormai conoscono il proprio
destino. Sanno con sempre maggior
certezza che, quali che siano le
vicissitudini della storia nel breve
periodo, la vittoria finale è del
popolo, perché la vittoria finale è
della giustizia sociale. Ciò aiuterà a
destare il fermento rivoluzionario a
livelli anche superiori a quelli
attualmente raggiunti nell'America
latina.
Potremmo notare alcune considerazioni
non tanto generiche e non applicabili
con la stessa intensità a tutti i paesi.
Una di esse, sommamente importante, è
l'esistenza di un maggiore sfruttamento
contadino in genere, in tutti i paesi
d'America, di quel che vi fosse a Cuba.
Va ricordato a coloro che pretendono di
vedere nel periodo insurrezionale della
nostra lotta il ruolo della
proletarizzazione delle campagne, che, a
nostro avviso, la proletarizzazione
delle campagne servì ad accelerare
rapidamente la fase di
cooperativizzazione nel successivo
passaggio alla presa del potere ed alla
Riforma Agraria, ma che, nella lotta
originaria, il contadino, nucleo e spina
dorsale dell'Esercito Ribelle, è lo
stesso che oggi si trova sulla Sierra
Maestra, padrone orgoglioso del suo
podere, intransigente e individualista.
È ovvio che in America esistano delle
particolarità: un contadino argentino
non ha la stessa mentalità di un comune
contadino del Perù, della Bolivia o
dell'Ecuador, ma la fame di terra è
permanentemente presente nei contadini,
e il mondo contadino dà il tono generale
all'America; e siccome, in genere, esso
è ancor più sfruttato di quanto fosse
stato a Cuba, aumentano le possibilità
che questa classe si levi in armi.
C'è inoltre un altro fatto. L'esercito
di Batista, con tutti i suoi enormi
difetti, era un esercito strutturato in
modo tale che tutti, dall'ultimo soldato
al generale più elevato in grado, erano
complici nello sfruttamento del popolo.
Era un esercito mercenario completo e
ciò conferiva una certa coesione
all'apparato repressivo. Gli eserciti
d'America, per la maggior parte, contano
su ufficiali di carriera e su un
reclutamento a scaglioni.
Ogni anno perciò, i giovani ascoltando
le lamentele per le quotidiane
sofferenze patite dai loro padri,
vedendole con i propri occhi, toccando
con mano la miseria e l'ingiustizia
sociale, abbandonano la loro casa e
vengono arruolati e inquadrati
nell'esercito. Se un giorno vengono
mandati a fare da carne da cannone nella
lotta contro i difensori di una dottrina
che essi sentono essere giusta nella
propria stessa carne, la loro
combattività sarà profondamente
incrinata e, con adeguati sistemi di
propaganda, mostrando alle reclute la
giustezza della lotta, il perché della
lotta, si potranno ottenere dei
risultati magnifici.
Possiamo dire, dopo questo sommario
studio del fatto rivoluzionario, che la
Rivoluzione Cubana ha contato su fattori
eccezionali, che le conferiscono la sua
particolarità, e su fattori comuni a
tutti i popoli d'America, i quali
esprimono la intima necessità di questa
Rivoluzione. E vediamo anche che vi sono
condizioni nuove che renderanno più
facile l'esplosione dei movimenti
rivoluzionari, dando alle masse
coscienza del loro destino, la coscienza
della necessità e la certezza della
possibilità; e, allo stesso tempo, vi
sono le condizioni che renderanno
difficile che le masse in armi possano
raggiungere rapidamente l'obbiettivo di
prendere il potere. Tali sono le
condizioni costituite dalla stretta
alleanza esistenti tra l'imperialismo e
tutte le borghesie americane, volta alla
lotta spietata contro la forza popolare.
Tempi oscuri attendono l'America latina,
e le recenti dichiarazioni degli uomini
di governo degli Stati Uniti sembrano
indicare che tempi oscuri attendono il
mondo intero. Lumumba, selvaggiamente
assassinato, nella grandezza del suo
martirio insegna quali siano i tragici
errori che non vanno commessi. Una volta
dato il via alla lotta antimperialista,
è indispensabile essere conseguenti e
bisogna tener duro, costantemente e
senza mai fare un passo indietro: avanti
sempre, contrattaccando sempre,
rispondendo sempre ad ogni aggressione
con una pressione più forte delle masse
popolari. Questo è il modo per
trionfare.
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