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N. 108 - Dicembre 2016 (CXXXIX)

L’altalena di Erigone

Gioco di eros, rito di thanatos
di Alessandra Romeo
 

Quello dell’altalena è uno dei giochi più amati in quanto evoca da sempre la spensieratezza fanciullesca. Esso, tuttavia, è legato ad una triste storia dove amore e morte si mescolano sapientemente per ottenere uno dei miti più affascinanti e con valenze simboliche e rituali più forti di tutta l’antichità.

 

Erigone era la giovane e bellissima figlia di un ricco ateniese, Icario, che ospitò Dioniso quando il dio discese ad Atene per donare agli uomini la vite e il vino. Presto Erigone e Dioniso consumarono il loro amore, dal quale nacque l’eroe Stafilo.

 

Il dio regalò al suo ospite un otre di vino, allo scopo di farlo assaggiare anche ai suoi vicini. Icario, quindi, lo donò ai pastori che, una volta ubriachi, pensarono di essere stati avvelenati e uccisero a bastonate il povero Icario. Grazie al cane di quest’ultimo, Mera, Erigone trovò il cadavere del padre abbandonato ai piedi di un albero e per il dolore s’impiccò ad un ramo di esso. La povera Mera rimase sulla tomba della giovane fino alla sua morte, dopo la quale Dioniso la trasformò nella costellazione del Cane.

 

La collera di Dioniso non tardò ad arrivare e inviò una maledizione su Atene, a causa della quale tutte le giovani ateniesi impazzivano e si impiccavano. I cittadini, allora, punirono i pastori e istituirono una festa in onore di Erigone (Lucianus, Salt. 40; Ov. met. 6 e 10; Hyg. fab. 130; Hyg. astr. 2,4; Apollod. Bibliotheca 3, 14, 7; Ael. VH 7, 28).

 

Un’altra versione del mito narra di come Erigone fosse in realtà la figlia di Egisto e Clitennestra e, quindi, sorellastra di Oreste. Quest’ultimo, per vendicare l’assassinio del padre Agamennone, uccise la madre e l’amante, lasciando così Erigone orfana. La giovane si impiccò quando l’assassino fu assolto dal tribunale dell’Aeropago (Apollod. Epitome 6, 25). In entrambi le versioni, punti focali sono il dolore per la perdita di una persona cara, il gesto estremo del privarsi della propria vita e l’istituzione di feste in onore della giovane.

 

Durante i riti in onore di Erigone, soprannominata Aletis («la vagabonda») e da cui presero il nome le feste a lei dedicate, alcune giovani venivano appese agli alberi, in ricordo della sua sventura. Secondo alcune interpretazioni vi è, infatti, un rapporto tra altalena - impiccagione - rapporto sessuale e il movimento simboleggerebbe il passaggio all’età pubere delle giovani, una sorta di morte iniziatica dallo stato di verginità a quello di donne pronte per la riproduzione.

 

Le feste dedicate sono le Aletidi o Aiòra. Esse si svolgevano il terzo giorno delle Antesterie, in occasione delle quali alcune giovani ateniesi erano appese agli alberi tramite altalene al fine di riprodurre il gesto del dondolamento del corpo impiccato di Erigone, ma senza perdere loro la vita, e intonando dei versi in cui era invocata la giovane. Successivamente furono sostituite da forme umane in argilla e poi da dischi sui quali erano raffigurati volti umani.

 

Le Anthesteria si svolgevano dall’11 al 13 del mese di Antesterione, compreso tra febbraio e marzo. Il nome è comunemente collegato con ανθος («fiore»), da cui si evince il carattere di natura ctonia e dionisiaca della festa. Le Antesterie comportavano pratiche iniziatorie dei bambini al vino e riti funebri in onore dei defunti morti in tenera età. Il primo giorno era detto Πιθοίγια, cioè apertura delle giare, ed era dedicato a Dioniso tramite preghiere e una processione che accompagnava l’offerta del vino nuovo al tempio del dio.

 

Il secondo giorno era detto delle Χόες e prevedeva l’arrivo in città di un simulacro di Dioniso su un carro, gare di bevute (cfr. E. IT 949-960), in cui i partecipanti si sfidavano a svuotare una chous piena di vino al suono di una tromba, e l’iniziazione al vino dei bambini maschi a partire dai tre anni.

 

Il terzo giorno era detto Χύτροι («pentole») ed era consacrato ai defunti tramite l’offerta di vegetali e sementi cotte dentro delle pentole. Si pensava che durante quest’ultimo giorno le anime dei defunti vagassero per la città, cosicché si spalmava della pece sulle porte delle case per proteggerle da una possibile intrusione e alla fine della giornata le anime venivano rispedite nell’oltretomba al grido “θύραξε καρες” oppure “θύραξε κηρες, ουκέτ Άνθεστήρια («Via di qui spiriti, le Antesterie sono finite!»).

 

Proprio in quest’ultimo giorno aveva luogo la festa delle Aiòra. Questo rito fu esportato anche a Roma e in Italia: era il cosiddetto rito degli oscilla, praticato durante i Liberalia, instituite in onore del Liber Pater (Bacco, l’equivalente greco di Dioniso).

 

Liberalia si celebravano annualmente il 17 marzo.  Sancivano il passaggio dei ragazzi dall’adolescenza all’età adulta sottolineato dal gesto di deporre la toga pretesta, tipica dei ragazzi e bambini, in favore della toga virile (Cic. epist. 14, 10, 1) . Il rito si concludeva con una processione, avente un fallo posto davanti, e la consumazione di un dolce a base di olio e miele, venduto dalle sacerdotesse del dio. Una parte del dolce era, tuttavia, lasciato sull’altare di Liber per propiziare la buona sorte di chi l’aveva comprato.

 

Fondamentale era il rito degli oscilla. Il termine oscillum indicava un disco votivo che si appendeva agli alberi sacri. Era decorato con figure intere o maschere, sempre relative alla sfera dionisiaca. La forma era circolare, ma ne esistono anche ovoidali, quadrangolari o forma di pelta amazzonica. I più antichi erano in legno, per poi essere sostituiti con esemplari anche di marmo o bronzo. Il rito ricalcava esattamente quello seguito in Grecia durante le Anthesteria e potrebbe essere considerato un rito di purificazione spirituale effettuato tramite l’aria e connesso a Bacco (Verg. georg. 2, 388-389).

 

Gli oscilla erano appesi, indipendentemente dal rito, anche per rendere onori funebri ai suicidi per impiccagione.

Questi temi hanno un riscontro anche nei ritrovamenti archeologici.

Nella produzione vascolare attica spiccano quattro esemplari risalenti al 450-425 a.C.

Il primo è uno skyphos a figure rosse del Pittore di Penelope (ARV² 1301.7) conservato all’Antikensammlung di Berlino (inv. F2589), su cui un satiro spinge una donna sull’altalena.

 

Interessanti sono anche due hydriai del Pittore del Bagno (ARV² 1131.172 e ARV² 1131.173). La prima è conservata all’Antikensammlung di Berlino (inv. F2394) e mostra una donna che spinge una giovane sull’altalena, la seconda al Museo del Louvre di Parigi (inv. CA2191) e su cui a spingere è il dio Eros.

 

Il quarto esemplare è una chous del Pittore di Eretria (ARV² 1249.14), conservato al Museo Nazionale di Atene (inv. VS319), su cui è rappresentata una scena di culto delle Antesterie in cui un uomo spinge un bimbo sull’altalena.

 

All’epoca romana risalgono, invece, gli splendidi oscilla in marmo su cui sono raffigurati, con la tecnica del rilievo, differenti tipi di soggetti come ad esempio, sileni e menadi in estasi. Di pregevole fattura quelli scoperti a Pompei ed Ercolano.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

ARV²: Beazley, J. D., Attic Red-Figure Vase-Painters, 2nd edition, Oxford 1963.

Burkert, W., La religione greca (ed. it. a cura di G. Arrigoni), Jaca Book, Milano 2010, p. 437-444.

Cantarella, E., I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 60-64; 338-339.

Carassiti, A. M., Dizionario di mitologia greca e romana, Newton & Compton, Roma 1996, pp. 103; 146; 189.

Ferrari, A., Dizionario di mitologia greca e latina, Utet, Torino 2015, pp. 27; 56-57; 237-239; 292; 379; 422; 461.

Grimal, P., Enciclopedia della Mitologia (trad. it. di P. A. Borgheggiani; ed. it. a cura di C. Cordié), Garzanti, Milano 2005, pp. 167-172; 248-249; 324; 414-415.

Kerényi, K., Gli dèi e gli eroi della Greci (trad. it. di V. Tedeschi), Il Saggiatore, Milano 2014, p. 222.

Pickard-Cambridge, A., The drammatic festival of Athens, Oxford 1968, pp. 1-25.

Ramorino, F., Mitologia Classica Illustrata, Ulrico Hoepli, Milano 1984, pp. 14; 194-208.



 

 

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