N. 58 - Ottobre 2012
(LXXXIX)
l’EREDITÀ DEL MARXISMO
OMBRE E LUCI DI UN’IDEOLOGIA
di Danilo Caruso
Il
pensiero
filosofico
di
Karl
Marx,
sviluppato
nella
speculazione
politica
a
opera
di
Lenin
(ne
è
nato
il
marxismo-leninismo),
dall’Ottocento
ha
influenzato
sotto
molteplici
aspetti
le
vicende
storiche
e i
modi
d’interpretare
la
società
e la
realtà
intera.
Va
innanzitutto
rilevato
che
le
istanze
da
cui
Marx
partì
erano
valide:
il
disumano
maltrattamento
capitalistico
della
classe
proletaria
fu
un
fenomeno
che
non
poteva
rimanere
sottaciuto
dalla
filosofia.
La
sua
denunzia
e la
sua
analisi
–
per
vari
tratti
–
non
fanno
una
grinza
nell’evidenziare
quelle
problematiche.
Quello
che
la
storia
ha
condannato
è il
sistema
di
rimedi
teorici
e
pratici
del
comunismo.
Voler
ribaltare
il
sistema
capitalista
con
il
suo
opposto
significa
sostituire
un
problema
con
un
altro:
da
un
eccesso
in
un
verso
si
passa
all’altro
di
segno
opposto.
E
tutto
ciò
a
scapito
della
libertà:
niente
proprietà
privata
(solo
il
“possesso”
dell’essenziale),
niente
imprese
(lo
Stato
si
occupa
di
tutto).
Se
questo
non
è
accettabile
dalla
ragione,
lo è
soprattutto
in
quell’ottica
in
cui
Marx
prevedeva
che
allo
Stato
socialista
dovessero
seguire
la
sua
scomparsa
e
l’instaurazione
di
un’anarchica
comunanza
universale
(stadio
evolutivo
–
detto
“comunismo”
–
mai
realizzatosi,
in
cui
la
famiglia
non
sarebbe
esistita
e le
donne
sarebbero
state
in
comune).
È
inoltre
contraddittorio
che
Lenin
avesse
riservato
la
guida
del
suddetto
rovesciamento
sociale
a
un’elite
di
borghesi
illuminati,
ed è
per
niente
lecito
che
questo
sia
di
natura
dichiaratamente
violenta.
La
dittatura
del
proletariato
nelle
mani
di
chi
proletario
non
è
non
ha
molto
senso:
il
proletariato
sarebbe
interpretato
in
rapporto
a
una
dottrina,
ma
non
sarebbe
libero
di
esprimersi
(del
resto
si
troverebbe
sotto
una
dittatura).
«TUTTI
GLI
ANIMALI
SONO
UGUALI
/ MA
ALCUNI
SONO
PIÙ
UGUALI
DI
ALTRI»,
così
nelle
ultime
pagine
de
“La
fattoria
degli
animali
(1945)”
di
George
Orwell
una
norma
esprime
il
punto
di
arrivo
di
quell’allegorica
società
innovatrice,
specchio
del
comunismo
sovietico.
Il
diritto
di
natura
non
gradisce
un
modello
statale
del
genere
perché
è
innaturale
privare
gli
uomini
senza
una
giusta
motivazione
delle
personali
libertà
e
perché
questo
Stato
nascerebbe
su
radici
inadeguate
(gli
uomini
si
consorziano
in
modo
incruento
e
spontaneo
in
vista
di
un
fine
di
equilibrato
benessere
collettivo).
In
ambito
socialista,
nonostante
l’ateismo
e
l’anticlericalismo,
è
migliore
il
pensiero
di
Robert
Owen
fautore
nell’Ottocento
di
cambiamenti
nelle
condizioni
dei
lavoratori
e
non
di
sanguinosi
rivolgimenti
(poi
nel
1917
i
comunisti
in
Russia
andarono
al
potere
attraverso
un
colpo
di
Stato
e
non
per
mezzo
di
una
propria
rivoluzione).
Al
congresso
dei
laburisti
inglesi
del
1923
l’economista
Sidney
James
Webb
sottolineò
che
«il
fondatore
del
socialismo
inglese
non
è
stato
Karl
Marx,
ma
Robert
Owen
e
che
Robert
Owen
non
predicava
la
lotta
di
classe,
ma
la
dottrina
della
fratellanza
umana».
Per
quanto
la
parte
schiettamente
politica
del
marxismo-leninismo
sia
di
tipo
totalitaristico
e
prescrittivo
(pensiamo
al
materialismo
e
all’ateismo
di
Stato
che
sposa)
d’altro
lato
nel
settore
dell’analisi
della
condizione
lavorativa
–
come
nelle
considerazioni
sociologiche
sulla
strumentalizzazione
della
credulità
religiosa
popolare
–
Karl
Marx
è
stato
più
condivisibile.
La
dottrina
del
plusvalore
non
ha
perso
efficacia,
benché
questa
sia
stata
elaborata
in
vista
dell’unica
circostanza
di
successo
dell’impresa:
Marx
non
ha
tenuto
conto
del
rischio
d’impresa
da
parte
dell’imprenditore
e
del
fatto
che
se
costui
fosse
fallito
i
suoi
dipendenti
avrebbero
perso
il
posto
di
lavoro.
È
vero
che
un
datore
di
lavoro
dei
suoi
tempi
pagando
a un
prestatore
d’opera
la
sua
semplice
stentata
sopravvivenza
grazie
al
resto
del
guadagno
si
poteva
arricchire:
questa
differenza
è il
plusvalore
a
cui
il
lavoratore
concorreva
in
maniera
inconsapevole
a
causa
di
un’alienazione
soggettiva
del
proprio
operato
la
quale
lo
poneva
al
di
fuori
della
coscienza
produttiva.
La
situazione
ai
nostri
giorni
è
del
tutto
cambiata
nei
Paesi
moderni:
ci
sono
gli
assegni
familiari
e i
versamenti
dei
contributi
pensionistici
assieme
a
salari
onesti
equilibranti
quel
plusvalore
incamerato
dall’imprenditore.
Anche
in
relazione
a
questo
tema,
eccezion
fatta
davanti
allo
sfruttamento
di
manodopera
nei
Paesi
poveri,
arretrati
e
sottosviluppati,
il
marxismo
è
perlopiù
parziale
perché
i
tempi
sono
mutati.
Risulta
pure
poco
facile
comprendere
coloro
che,
di
sinistra
marxista,
sono
contrari
alla
globalizzazione
e
non
attuano
un
approccio
diverso
a
essa:
per
Marx
questa
sarebbe
stata
il
preludio
della
rivoluzione
universale
dei
lavoratori.
Il
problema
non
è la
globalizzazione
in
sé,
è
rappresentato
invece
da
quei
casi
in
cui
il
plusvalore
di
cui
parlava
è un
abuso
ancora
reale
(un
suo
discutibile
giudizio
definisce
«immondizia
dei
popoli»
tutti
quelli
che
non
hanno
raggiunto
uno
stadio
capitalistico,
ritenuti
quindi
da
eliminare
a
vantaggio
degli
altri).
La
Chiesa
cattolica
ha
prestato
attenzione
–
con
iniziale
ritardo
sui
tempi
–
all’incidenza
dei
cambiamenti
economici
sulla
società,
basti
ricordare
le
encicliche
sociali,
mantenendo
una
posizione
di
equilibrio
tra
le
due
formule
del
capitalismo
e
del
socialismo,
equilibrio
che
media
le
esigenze
di
libera
iniziativa
e di
solidarietà
comune
(San
Francesco
d’Assisi
ricordò
col
caritatevole
esempio
la
funzione
naturale
della
proprietà
privata
come
strumento
di
sostegno
al
benessere
comune,
fino
al
punto
di
rinunciarvi
allorquando
questa
rinnega
il
progetto
di
cui
Dio
ha
reso
l’uomo
artefice
e
diviene
fonte
di
smisurato
arricchimento
di
pochi).
È
lontana
ormai
l’epoca
dello
scontro
fra
cattolici
e
comunisti,
la
“guerra
fredda”
è
finita
e
l’URSS
è
caduta
da
sola
per
motivi
endogeni
fra
molte
contraddizioni.
Tra
queste:
i
nazisti
presero
a
modello
attuando
le
loro
persecuzioni,
l’allestimento
di
campi
di
concentramento
e
l’addestramento
di
reparti
l’Unione
Sovietica
di
Stalin;
il
singolo
sterminio
comunista
degli
Ucraini
(“holodomor”,
che
vuol
dire
genocidio:
7
milioni
di
morti
causati
da
inedia
nella
prima
metà
degli
anni
’30)
supera
nel
numero
la
barbarie
della
Shoah;
i
Sovietici
instaurarono
un
rapporto
di
collaborazione
coi
Tedeschi
durato
sino
al
giugno
1941
che
contemplò
coi
futuri
nemici
la
spartizione
della
Polonia,
l’occupazione
da
parte
di
Mosca
di
Lituania,
Lettonia,
Estonia
e di
territori
finlandesi
e
romeni,
e
per
di
più
la
riconsegna
di
Ebrei
profughi
ai
nazisti
e la
fornitura
a
questi
di
aiuti
militari
e
alimentari.
Oggi
sono
sopravvissuti
i
partiti
politici
che
si
richiamano
a
Marx:
una
parte
di
essi
ha
abbandonato
il
programma
rivoluzionario
e
mantenuto
l’ideologia
di
giustizia
sociale.
Il
comunismo
nel
’900
ha
però
provocato
circa
100
milioni
di
morti
a
livello
mondiale
laddove
ha
operato:
il
suo
schema
politico
totalitario,
fondato
sul
materialismo
(“storico”
– in
base
a
cui
le
vicende
umane
sarebbero
lotta
di
classe
– e
“dialettico”),
non
è
storicamente
riproponibile
(Antonio
Gramsci
introdusse
nel
contesto
della
riflessione
marxista
un’alternativa
–
dal
carattere
spiritualista
–
all’idea
di
storia
come
lotta
di
classe,
secondo
la
quale
sarebbe
invece
dialettica
di
ideologie).
Si
deve
far
tesoro
di
quest’esperienza
(perché
non
si
ripeta,
custodendo
i
positivi
aspetti
delle
analisi
marxiane)
poiché
malgrado
le
soluzioni
proposte
fossero
peggiori
dei
problemi
su
cui
intervenire
questi
stessi
non
furono
un’invenzione
del
marxismo.
