N. 92 - Agosto 2015
(CXXIII)
L’EPOPEA DI ALESSANDRO MAGNO
IL GRANDE CONDOTTIERO TRA MITO E STORIa - PARTE X
di Paola Scollo
Nel corso della sua breve ma intensa esistenza Alessandro ha incontrato donne affascinanti e carismatiche, talvolta ciniche e spietate. Nei loro confronti il giovane sovrano ha rivelato quella stessa natura indomita ed energica che ne ha decretato la fama sul campo di battaglia. Anche nella sfera privata e nelle relazioni più intime Alessandro è stato dunque illuminato da forti desideri e da ardenti passioni che, giorno per giorno, lo hanno guidato a vivere in modo estremo. Oltre ogni limite.
Merita
anzitutto
di
essere
menzionata
Taide,
l’etera
ateniese
dall’indole
fredda
e
malvagia
che,
stando
alle
fonti,
sfruttò
le
sue
indiscutibili
doti
oratorie
per
indurre
Alessandro
a
distruggere
la
reggia
di
Persepoli.
All’origine
di
tale
estremo
gesto
è da
porre,
con
ogni
probabilità,
il
desiderio
di
vendetta
nei
confronti
del
persiano
Serse
che,
all’epoca
della
seconda
guerra
persiana,
aveva
incendiato
e
distrutto
il
tempio
di
Atena
sull’acropoli
di
Atene.
La
notizia
viene
riportata
da
Plutarco
che,
infatti,
scrive:
«In
seguito,
quando
stava
(Alessandro,
ndr)
per
marciare
contro
Dario,
acconsentì
a
partecipare
a un
gioioso
banchetto
con
gli
amici.
Erano
venute
anche
delle
donne
presso
i
loro
amanti
a
far
festa
e a
bere.
Fra
queste
era
specialmente
famosa
Taide,
Ateniese,
amante
di
quel
Tolomeo
che
fu
poi
re.
Ella,
un
poco
lodando
abilmente
Alessandro,
un
poco
scherzando,
riscaldata
dal
vino,
si
indusse
a
pronunciare
un
discorso
che
si
armonizzava
al
costume
della
sua
patria,
ma
era
troppo
elevato
per
una
come
lei.
Disse
che
di
tutti
i
travagli,
patiti
errando
per
l’Asia,
si
riteneva
ripagata
in
quel
giorno
nel
quale
faceva
festa
nella
magnifica
reggia
dei
Persiani;
ma
con
maggior
piacere
avrebbe
bruciato
la
dimora
di
Serse,
che
aveva
dato
alle
fiamme
Atene,
appiccando
ella
stessa
il
fuoco
sotto
gli
occhi
del
re
perché
si
diffondesse
tra
la
gente
la
voce
che
le
donne
venute
con
Alessandro
avevano
inflitto
ai
Persiani,
per
vendicare
la
Grecia,
un
colpo
più
grave
di
quanti
ne
avevano
inferti
strateghi
di
terra
e di
mare».
Stando
a
Plutarco,
tali
parole
vennero
accolte
entusiasticamente
dai
commensali.
Motivato
dall’euforia
dilagante,
con
la
corona
sul
capo
e
una
torcia
in
mano
per
primo
Alessandro
si
diresse
fuori
dalla
reggia.
Gli
altri
lo
seguirono
e in
breve
tempo
si
radunarono,
tra
grida
sfrenate,
attorno
all’edificio.
Accorsero
lieti
anche
i
Macedoni,
reputando
che
distruggere
la
reggia
fosse
un
atto
proprio
di
chi
«pensa
alla
sua
casa
e
non
ha
intenzione
di
fermarsi
tra
i
barbari»
(Alex.,
XXXVIII
1 -
8).
Anche
secondo
la
testimonianza
di
Diodoro
Siculo
Taide
ebbe
un
ruolo
di
indiscutibile
valore
nella
distruzione
della
dimora
di
Serse:
fu
proprio
lei
a
indurre,
attraverso
lusinghe
e
parole,
Alessandro
a
ordinare
l’incendio
(Bibliotheca
historica
XVII
72).
Occorre
comunque
ricordare
che
ben
presto
Alessandro
si
rese
conto
della
gravità
del
gesto,
per
cui
ordinò
di
spegnere
l’incendio.
Un’attenta
analisi
delle
testimonianze
rivela
svariate
divergenze.
Stando
a
Clitarco,
fu
proprio
Taide
ad
appiccare
l’incendio,
laddove
Arriano
considera
Alessandro
sia
l’ideatore
sia
l’esecutore
dell’atto.
La
critica
oggi
tende
a
prestare
fede
ad
Arriano,
storico
più
autorevole
e
affidabile
rispetto
a
Clitarco,
con
conseguente
ridimensionamento
del
ruolo
di
Taide.
Secondo
Ateneo
di
Naucrati,
dopo
la
morte
del
sovrano
Taide
andò
in
sposa
a
Tolomeo
Sotere,
a
cui
dette
tre
figli,
Leontisco,
Lago
e
Irene
(Deipn.
XIII
576
e).
Ma
anche
in
questo
caso
non
vi è
assoluta
concordanza
fra
i
testimoni.
Un’altra
donna
che,
con
il
suo
carattere,
ha
animato
e
dominato
l’universo
di
Alessandro
è
stata
Candace,
regina
di
Kush,
regno
africano
che
poteva
vantare
una
storia
secolare
ricca
di
fascino.
In
questo
territorio
era
infatti
fiorita
una
delle
prime
civiltà
del
Nilo.
Denominato
in
epoca
romana
anche
Nubia
ed
Etiopia,
corrisponde
all’area
dell’attuale
Sudan,
nella
fascia
settentrionale,
e
dell’attuale
Egitto,
a
meridione.
Nella
tradizione
cusita
alle
regine
venivano
riservati
onori
speciali,
in
quanto
si
riteneva
che
fossero
mogli
di
un
dio.
In
particolare
alla
morte
del
sovrano
il
trono
veniva
ereditato
dalla
madre,
che
pertanto
era
destinata
a
governare
da
sola
con
il
titolo
di
regina
madre.
La
storia
di
questo
regno
è
poi
segnata
da
un
nutrito
numero
di
donne
guerriere
qualificate
come
“regine
nere
Kandàke
di
Nubia”.
Ne
consegue
che
il
nome
“Candace”
venisse
percepito,
ancor
prima
che
come
nome
proprio,
come
un
titolo.
A
conferma
di
ciò
la
testimonianza
di
Plinio
il
Vecchio
che
scrive:
«La
città
(Meroe,
ndr)
ha
pochi
edifici.
Dicevano
che
vi
regnava
una
donna
nominata
Candace,
nome
che
si
era
tramandato
per
molti
anni
a
quelle
regine»
(Naturalis
Historia
VI
25.
186).
Tale
consuetudine
riceve
ulteriore
forza
dai
racconti
di
Erodoto,
Strabone
e
Diodoro.
Donna
dal
carattere
fiero
e
guerriero,
Candace
riuscì
a
prevalere
su
Alessandro:
dapprima
ne
arrestò
l’avanzata,
poi
non
esitò
a
divenirne
l’amante.
E il
sovrano,
vinto
sia
dall’abilità
strategica
sia
dall’astuzia
e
dal
fascino
femminile,
depose
le
armi
e
diresse
il
suo
esercito
verso
l’Egitto.