N. 89 - Maggio 2015
(CXX)
L’EPOPEA DI ALESSANDRO MAGNO
IL GRANDE CONDOTTIERO TRA MITO E STORIA - PARTE VII
di Paola Scollo
Nel
modo
di
affrontare
il
dolore
Alessandro
si
rivela
molto
simile
ad
Achille.
L’episodio
della
morte
di
Efestione
impone
come
ulteriore
termine
di
paragone
il
XVIII
libro
dell’Iliade
che,
come
è
stato
ampiamente
dimostrato,
è a
un
tempo
una
fine
e un
inizio.
Qui
l’ira
di
Achille
si
placa
nel
dolore
per
Patroclo,
trasformandosi
in
furia
vendicativa
nei
confronti
dell’uccisore
dell’amico,
Ettore.
Un’ira
destinata
a
spegnersi
soltanto
nel
canto
XXIV.
Cerchiamo
dunque
di
seguirla
nei
suoi
sviluppi
essenziali.
Quando
Antiloco
annuncia
tra
le
lacrime
che
Patroclo
è
morto
per
mano
di
Ettore,
si
ha
una
violenta
esplosione
di
dolore
da
parte
di
Achille.
Teti
percepisce
il
suo
grido
fin
nelle
profondità
del
mare
e,
insieme
alle
Nereidi,
accorre
dal
figlio.
Dopo
lunga
contesa,
il
corpo
di
Patroclo
viene
condotto
alle
navi.
Achille
e
gli
Achei
piangono
il
giovane,
lo
lavano
e lo
cospargono
di
unguenti.
Il
giorno
seguente
è
per
Achille
una
giornata
decisiva.
Degli
altri
eroi
Achei
non
vi è
traccia
e il
Pelide
sostiene
da
solo
la
lotta,
elevandosi
a
una
dimensione
sovrumana
che
custodisce
comunque
i
tratti
di
una
umanissima
umanità.
Tutto
questo
si
dipana
in
un
climax
ascendente.
Nel
XX
libro
Achille
incontra
Ettore
e fa
strage
di
nemici.
In
seguito
cattura
dodici
giovani
troiani
per
sacrificarli
in
onore
di
Patroclo
e si
leva
contro
il
dio-fiume
Scamandro,
che
gli
ordina
di
uscire
dall’acqua
e di
combattere
in
pianura.
L’eroe
si
trova
nella
situazione
più
disperata,
nell’angoscia
più
umana
che
un
uomo
possa
provare.
Nel
libro
XXII,
con
la
morte
di
Ettore,
le
imprese
di
Achille
raggiungono
il
vertice
drammaticamente
più
elevato.
Quando
si
avvicina
all’avversario,
l’eroe
troiano
fugge
mostrando
una
natura
minimamente
eroica.
I
due
compiono
un
triplice
giro
intorno
alle
mura
di
Troia,
poi
Atena
li
induce
a
fermarsi.
Ha
inizio
lo
scontro.
Morente,
Ettore
cerca
di
convincere
Achille
a
restituire
il
suo
corpo
al
padre
e a
non
farne
strazio.
Achille
si
rifiuta
ed
Ettore
gli
predice
la
morte
alle
porte
Scee
per
mano
di
Apollo.
Con
l’uccisione
di
Ettore
l’ira
di
Achille
ha
raggiunto
il
suo
scopo,
ma
non
la
fine.
Il
suo
furor
è
stato
un
sentimento
devastante
di
violenza
e di
crudeltà
sorto
in
un
uomo,
ma
dilatatosi
ben
oltre
l’uomo.
La
sua
ira
ha
coinvolto
il
cosmo,
turbandone
l’ordine
costituito.
Un
equilibrio
che
viene
ristabilito
soltanto
con
le
esequie
per
l’anima
di
Patroclo,
con
la
celebrazione
dei
giochi
funebri
e,
da
ultimo,
con
la
restituzione
del
cadavere
di
Ettore
al
padre
Priamo.
Di
notte
Patroclo
appare
ad
Achille,
gli
predice
la
morte
e lo
prega
di
essere
deposto
nella
sua
stessa
urna,
così
come
in
vita
avevano
condiviso
ogni
cosa.
Iniziano
dunque
i
preparativi.
Viene
raccolta
la
legna,
la
salma
è
accompagnata
con
carri
e
cavalli,
i
capelli
vengono
tagliati
e
gettati
sul
morto.
Infine
viene
innalzato
il
rogo
e
vengono
sacrificati
pecore,
buoi,
quattro
cavalli,
due
cani
e i
giovani
prigionieri
troiani.
Achille
invoca
il
morto
fin
quando
il
rogo
non
si
spegne,
poi
cade
stremato.
Al
risveglio,
fa
erigere
il
tumulo
e
raccoglie
le
ossa
dell’amico
in
una
coppa
d’oro
per
custodirle
fino
alla
sua
discesa
nell’Ade.
Vengono
poi
allestiti
giochi
funebri.
Ma
anche
dopo
gli
onori
resi
all’amico
Achille
non
trova
pace.
Ogni
mattina
trascina
attorno
al
sepolcro
di
Patroclo
il
cadavere
di
Ettore,
che
Apollo
impedisce
di
sfigurare.
Gli
dèi
dell’Olimpo
provano
pena
per
il
morto
e
Apollo
afferma
che
è
come
un
animale
selvaggio:
ha
perso
pietà
e
ritegno.
Zeus
invia
Teti
da
Achille,
che
si
dice
disposto
a
restituire
il
morto.
Iris
viene
intanto
inviata
da
Priamo
per
annunciargli
che
avrebbe
dovuto
recarsi
da
Achille
in
modo
da
ottenere
il
cadavere
di
Ettore:
Achille
«non
è un
pazzo
né
un
cieco,
e
nemmeno
un
sacrilego,/
con
grande
scrupolo
invece
rispetterà
la
persona
del
supplice»
(186).
Inizia
la
scena
della
supplica,
hikesía,
di
Priamo
e
del
suo
accoglimento
da
parte
di
Achille.
L’episodio
si
conclude
con
una
riconciliazione:
i
due
mangiano
insieme
e si
scrutano,
ammirando
la
bellezza
e la
dignità
reciproche.
Infine
Achille
si
addormenta
accanto
a
Briseide,
la
donna
per
la
quale
era
sorta
la
quaestio.
Segnato
dal
dolore
come
nessun
altro,
Achille
rivela
la
propria
singolarità
anche
nella
sofferenza.
Sull’esempio
dell’eroe
omerico,
Alessandro
si
distingue
per
una
notevole
grandezza
d’animo:
amabile
e
crudele,
deciso
e
implacabile
di
fronte
all’onore
e
alla
vendetta,
sempre
preoccupato
per
gli
altri
in
battaglia,
consapevole
della
brevità
della
sua
esistenza
e
pronto
ad
accettare
la
morte.
Due
eroi
simili
sia
per
la
grandezza
delle
imprese
sia
per
la
fragilità
che
li
fa
sprofondare
in
una
cupa
e
tragica
disperazione
da
contorni
decisamente
molto
umani.