N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
L’epopea di Alessandro Magno
IL GRANDE CONDOTTIERO Tra mito e storia - PARTE II
di Paola Scollo
Conquistato
il
potere
a
soli
vent’anni,
Alessandro
è
animato
dal
desiderio
di
collocare
la
propria
azione
politica
e
militare
in
rapporto
di
continuità
rispetto
a
quella
del
padre
Filippo
II.
Nella
realizzazione
di
tale
progetto
è
sostenuto
dalla
specifica
volontà
di
emulare
gli
eroi
del
mito,
primo
fra
tutti
Achille,
avo
della
dinastia
degli
Eacidi
d’Epiro
da
cui
discende
la
madre
Olimpiade.
Agli
esordi
della
carriera
militare,
il
giovane
mostra
infatti
di
essere
un
attento
lettore
e
conoscitore
dei
poemi
omerici.
Il
lancio
dell’asta
sul
suolo
asiatico
e la
visita
alla
tomba
del
Pelide
dopo
lo
sbarco
in
Troade
appaiono
illuminanti
conferme
della
graduale
assimilazione
delle
tradizioni
mitiche.
Sul
filo
di
questa
direttrice
è
verOsimile
immaginare
che
dapprima
Alessandro
ambisca
solo
a
essere
riconosciuto
dai
Greci
quale
eroe
epico,
considerando
la
divinizzazione
il
culmine
del
personale
processo
eroico.
Con
ogni
probabilità
la
riflessione
sulla
discendenza
divina
emerge
in
un
momento
successivo,
in
parallelo
al
conseguimento
delle
prime
vittorie.
Tale
consapevolezza
potrebbe
derivare
sia
dall’esigenza
di
ricevere
conferma
degli
ambiziosi
progetti
di
conquista
sia
dalla
necessità
di
imporre
l’autorità
assoluta.
Alessandro
si
rende
conto
di
aver
conquistato
il
più
vasto
impero
della
storia
e di
essere
divenuto
l’uomo
al
di
sopra
di
ogni
altro,
paragonabile
a un
dio.
Ma
vivo
è il
timore
che
la
mancanza
di
legittimazioni
“superiori”
possa
mettere
in
discussione
la
sua
autorità.
Sorretto
dall’aspirazione
di
farsi
rivelare
il
proprio
destino,
ovvero
la
propria
immortalità,
si
spinge
fino
all’oasi
di
Sïwah
per
consultare
l’oracolo
del
dio
libico
Ammone,
manifestazione
locale
di
Zeus.
Tale
culto
gli
è
stato
inculcato
dalla
madre
Olimpiade
che
lo
considera
discendente
diretto
di
Zeus.
Il
legame
con
Eracle
risulta
pertanto
fondamentale
per
comprendere
alcuni
aspetti
della
“divinizzazione”
di
Alessandro,
che
proprio
grazie
all’illustre
avo
può
affermare
e
vantare
la
propria
filiazione
divina.
La
marcia
lungo
il
deserto
libico
è
faticosa.
Gli
uomini
sono
stremati:
il
sole
incendia
ogni
cosa,
nessun
albero
e
nessuna
traccia
di
terreno
coltivato,
l’acqua
trasportata
dai
cammelli
negli
otri
viene
meno,
le
bocche
sono
secche
e
riarse
dal
calore.
A
vincere
le
fatiche
è
tuttavia
il
desiderio,
cupido
animum,
di
visitare
Zeus:
non
contento
di
essere
giunto
ad
un
grado
così
alto
per
un
mortale,
Alessandro
crede
o
vuole
far
credere
di
essere
disceso
da
quel
dio.
Quando
finalmente,
dopo
quattro
giorni
di
cammino,
giunge
all’interno
del
santuario
nascosto
tra
alberi,
il
più
anziano
dei
sacerdoti
lo
saluta
con
il
nome
di
figlio,
dichiarando
che
così
lo
chiama
Zeus,
suo
padre.
Dimenticando
la
propria
natura
umana
e
mortale,
Alessandro
dice:
«Io
accetto
e
riconosco
questo
nome».
In
seguito
vuole
ricevere
conferma
dagli
dèi
del
proprio
dominio
sul
mondo.
Il
profeta
con
adulazione
risponde
che
sarebbe
divenuto
signore
di
tutta
la
terra,
terrarum
omnium
rector.
Da
ultimo,
Alessandro
chiede
se
gli
assassini
di
suo
padre
abbiano
scontato
la
pena.
Il
sacerdote
risponde
che
suo
padre
non
può
essere
toccato
da
alcun
delitto;
di
contro,
se
fa
riferimento
agli
uccisori
di
Filippo,
essi
sono
già
stati
puniti.
Dall’oracolo
di
Ammone
Alessandro
riceve
dunque
conferma
della
propria
origine
divina,
del
dominio
universale
e
della
vittoria
assoluta.
A
partire
da
quel
momento
diviene
un
dio
in
terra,
chiamato
a
governare
un
impero
sconfinato
secondo
un
ordine
prescritto
dal
cielo.
Inizia
a
porgere
la
mano
per
il
bacio
rituale
ai
sudditi
persiani
e a
farsi
attendere
per
l’inchino
di
rito
e
l’abbassamento
del
capo.
Tali
gesti
vengono
poi
richiesti
anche
ai
fedelissimi
e ai
compatrioti.
L’adozione
di
usanze
del
cerimoniale
persiano
incrina
i
rapporti
con
i
sudditi
e
con
le
truppe:
Alessandro
diviene
sempre
più
inviso
ai
suoi
uomini,
che
scorgono
nel
suo
modus
vivendi
et
agendi
una
seria
e
concreta
minaccia
per
la
loro
libertà.
Durante
il
ritorno
dalla
spedizione
in
India
con
un
editto
Alessandro
pretende
onori
divini,
in
quanto
figlio
di
Zeus
e
discendente
di
Eracle.
Gli
Ateniesi,
nonostante
non
approvino
tale
richiesta,
gli
dedicano
un
culto
cittadino
sancito
ufficialmente
da
un
decreto
della
boulè.
Il
sovrano
diviene
la
tredicesima
divinità
del
pantheon
greco.
Pretendendo
di
essere
onorato
in
qualità
di
conquistatore
della
terra
e
dio
invincibile,
theós
aníketos,
Alessandro
vuole
ottenere
l’immortalità,
prerogativa
divina
in
cui
risiede
il
confine
tra
uomini
e
dèi.
Ma
tale
desiderio
lo
avrebbe
reso
sempre
più
sgradito,
solo
e
incompreso.