N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
Arnolfo alle origini di Giotto
L’enigma del Maestro di Isacco
di Alessandro Nasonte
Nata
come
il
più
importante
cantiere
del
Duecento,
la
Basilica
di
San
Francesco
ad
Assisi
fu
edificata
quale
simbolo
e
prestigio
dell’ascesa
dell’ordine
francescano,
che
in
quegli
anni
aveva
assunto
una
popolarità
talmente
ampia
da
travalicare
i
confini
italici
ed
espandersi
in
tutto
l’occidente.
I
pontefici
romani
assunsero
per
lunghi
periodi
la
guida
del
cantiere,
scegliendo
personalmente
i
Maestri
che
si
sarebbero
alternati
nell’esecuzione
dei
lavori.
L’ipotesi
che
Arnolfo
di
Cambio
sia
prossimo
al
Maestro
di
Isacco
è
inscrivibile
al
pontificato
di
Niccolò
IV,
primo
Papa
francescano,
che
ebbe
inizio
nel
1288.
Tra
la
fine
degli
anni
Ottanta
e
l’inizio
degli
anni
Novanta
del
Duecento,
Arnolfo
di
Cambio
è
attestato
non
solo
a
Roma,
ma
anche
in
Umbria
e in
Toscana.
Le
sue
eccezionali
capacità
sono
confermate
nelle
maggiori
fabbriche
romane
legate
a
Niccolò
IV,
l’Aracoeli,
San
Giovanni
e
Santa
Maria
Maggiore.
A
Santa
Maria
Maggiore
intorno
al
1290,
eseguì
il
celebre
presepe,
probabilmente
l’opera
arnolfiana
più
vicina
alle
storie
di
Isacco
di
Assisi,
e
pertanto
testimonianza
diretta
del
legame
tra
il
Maestro
di
Isacco
e
l’architetto/scultore
Arnolfo
di
Cambio.
Minimizzato
dalla
storiografia
ufficiale
al
punto
tale
da
passare
in
secondo
piano,
il
suo
contributo,
nei
confronti
dell’arte
occidentale,
non
solo
è
stato
innovativo,
ma
di
capillare
importanza
per
gli
artisti
che
verranno
dopo
di
lui,
a
partire
dallo
stesso
Giotto.
Non
fu
il
solo
“scolarum”
di
Nicola
Pisano,
ebbe
altri
Maestri,
fu
prima
di
tutto
architetto,
costruendo
architetture
anche
quando
usava
la
scultura
e la
pittura
in
funzione
di
creazioni
architettoniche
e in
ogni
caso
con
mentalità
di
architetto,
quindi
un
architetto
scultore.
Il
suo
stile
non
è di
rimando
a
quello
del
celebre
Maestro
Nicola,
ma
all’influsso
cistercense
e
del
rayonnant
parigino,
assimilati
durante
il
periodo
di
permanenza
alla
corte
di
Carlo
d’Angiò.
Tali
presupposti
saranno
successivamente
superati,
per
approdare
alla
fine
degli
anni
Settanta
del
Duecento,
ad
uno
spazio
desunto
dalla
summa
del
rapporto
tra
“spazio,
immagine
e
osservatore”.
In
questo
senso,
la
pittura
e la
scultura
saranno
concepiti
in
egual
misura,
compenetrandosi
per
dar
vita
nell’atto
creativo,
ad
un
unicum.
Con
Giotto
lo
spazio
si
trasformerà
in
qualcosa
di
diverso,
ovvero,
strumento
dell’azione
umana.
Le
Storie
di
Isacco
sono
da
intendersi
come
il
“testo”
su
cui
Giotto,
ancora
giovane,
si
educa
e
poi
sviluppa
una
visione
poetica
al
quanto
differente
rispetto
a
colui
il
quale
ha
dato
origine
alla
medesima
opera.
Allorché,
le
maggiori
difficoltà
si
riscontrano
nel
dare
un
nome
al
Maestro
di
Isacco.
Lo
stile
di
Giotto
dal
punto
di
vista
prettamente
formale
è
indubbiamente
legato
allo
stile
del
Maestro
di
Isacco,
ma
l’unico
presupposto
possibile
affinché
si
possa
supporre
di
ricondurre
le
due
figure
ad
un'unica
personalità,
è
quello
di
concepire
Giotto,
non
più
come
un
“giovinetto
di
genio”,
ma
come
vero
e
proprio
“Deus
ex
Machina”
del
cantiere
sopracitato.
Tale
ipotesi,
in
passato
molto
dibattuta,
presupporre
in
ultima
istanza
che
le
Storie
di
Isacco,
siano
la
prima
opera
compiuta
del
grande
Maestro.
Le
Storie
di
Isacco
sono
ben
riconoscibili,
anche
se
la
critica,
pur
di
ribadire
in
maniera
netta
l’ipotesi
Giotto,
ha
sempre
opinato
il
carattere
di
continuità
che
accomuna
il
presente
con
il
passato.
A
mio
avviso,
non
c’è
continuità
stilistico/formale
tra
gli
affreschi
che
precedono
le
Storie
di
Isacco
e
quelli
che
seguono.
Come
ribadito
da
Angiola
Maria
Romanini,
il
Maestro
di
Isacco
è un
“assoluto
outsider”
nell’ambito
della
decorazione
pittorica
assisiate.
La
Basilica
Superiore
di
Assisi
è
una
tappa
fondamentale
dello
sviluppo
tecnico/formale
di
Giotto,
è
possibile
riscontrare
l’origine
del
“genio”,
i
primi
passi,
l’estrema
fatica
nell’apprendere
un
linguaggio
nuovo
e le
successive
tappe
di
sviluppo,
nonché
il
momento
in
cui
diviene
guida
del
cantiere
ed
impone
il
suo
stile,
con
mentalità
assai
diversa
rispetto
alle
origini.
Giotto
fa
proprio
lo
stile
del
Maestro
di
Isacco,
in
divenire,
ossia
mentre
esegue
le
Storie
di
San
Francesco,
muovendosi
inizialmente
con
un
fare
pressoché
incerto.
Ne è
testimonianza
la
seconda
scena
del
ciclo
le
“Storie
di
San
Francesco”,
ovvero
la
scena
con
San
Francesco
che
dona
il
Mantello.
Benché
posta
successivamente
all’“Omaggio
dell’uomo
semplice”,
“San
Francesco
che
dona
il
Mantello”
è la
prima
opera
dipinta
da
Giotto
all’interno
del
cantiere
di
Assisi.
Ciò
presuppone
che
le
Storie
di
Isacco
non
solo
precedono
le
Storie
di
San
Francesco,
ma
determinino
l’evoluzione
stilistica
di
Giotto.
Giotto
fa
proprio
lo
spazio
ritrovato,
differenziandosi
in
ultima
istanza
dall’uso
che
precedentemente
ne
aveva
fatto
il
Maestro
di
Isacco.
Ma
il
dubbio
sibillino
insito
nell’umana
mente,
sormonta
la
ragione
e
genera
ulteriori
riflessioni,
tutte
o
quasi
inscrivibili
ad
una
figura
di
primissimo
piano
in
quegli
anni,
ovvero,
Arnolfo
di
Cambio.
Poteva
un’artista
come
Arnolfo
di
Cambio,
al
culmine
della
propria
carriera
essere
non
solo
architetto-scultore,
ma
anche
pittore?
Pare
ovvio
constare
che
a
quei
tempi
non
si
era
ancora
giunti
ad
una
suddivisione
del
fare
artistico
così
come
lo
intendiamo
oggi,
un
architetto
poteva
essere
non
solo
uno
scultore,
ma
anche
pittore,
poteva
padroneggiare
molteplici
aspetti
del
fare
artistico
e
destreggiarsi
in
lungo
e in
largo
sui
più
svariati
cantieri.
Sarebbe
ben
comprensibile
ipotizzare
che
un’artista
di
tale
caratura,
impegnato
nei
più
importanti
cantieri
dell’Italia
centrale,
fosse
stato
incaricato
di
avviare
i
lavori
del
cantiere
di
Assisi
e di
aver
delegato
alla
propria
bottega
di
condurre
a
termine
i
lavori,
per
poi
ritornare
agli
incarichi
lasciati
in
sospeso
nel
frattempo.
All’appello
però
manca
un
dato
imprescindibile
affinché
si
possa
andare
avanti
con
la
disamina
di
tale
dissertazione;
non
si è
in
possesso
di
un
documento
che
attesti
che
Arnolfo
di
Cambio
abbia
eseguito
un
dipinto
di
propria
mano.
Il
Vasari
lo
denota
come
allievo
di
Cimabue,
mentre
Giulio
Mancini
lo
attesta
come
esecutore
degli
affreschi
di
Santa
Cecilia,
sostenendo
di
aver
riconosciuto
su
di
essi
la
sua
firma.
L’opera
di
Arnolfo
è
certamente
caratterizzata
da
un
ruolo
prettamente
attivo
della
pittura,
talvolta
applicata
ai
fondali,
altre
volte
alle
superfici
di
statue
e
bassorilievi,
spesso
ai
rivestimenti
musivi
che
erano
in
stretto
dialogo
con
le
superfici
architettoniche.
Le
storie
di
Isacco
si
fondano
sul
fare
Arnolfo,
sono
contrassegnate
dal
suo
stile
e
dai
suoi
modelli,
sono
la
manifestazione
in
chiave
pittorica
della
sua
scultura.
L’autore
in
questione,
non
solo
è
ispirato
dall’autorità
di
Arnolfo,
ma
domina
con
naturalezza
e
libertà
il
suo
fare,
operando
delle
sottili
variazioni,
che
hanno
la
prerogativa
di
appartenere
ad
un
grande
esecutore.
Le
innovazioni
tecnico/compositive,
comprovate
dal
trattamento
dei
corpi,
sono
le
stesse
che
Arnolfo
di
Cambio
raggiunge
a
Roma
in
quello
stesso
periodo.
Diviene
a
dir
poco
assurdo
ipotizzare
che
dietro
le
vesti
del
Maestro
di
Isacco
si
celi
Giotto
ancor
giovane
ma
già
“Deux
ex
Machina”
di
un
cantiere
così
importante
come
quello
di
Assisi.
È al
quanto
sfuggevole
la
teoria
che
vuole
Giotto
“frescante”
delle
Storie
di
Isacco,
sfuggevole,
benché
facile
da
scardinare
qualsiasi
ipotesi
al
riguardo;
sarebbe
pressoché
banale
affermare
che
in
un
primo
momento
Giotto
abbia
affrescato
le
Storie
di
Isacco
in
piena
autorevolezza
d’esecuzione
e
senza
alcuna
indecisione
di
carattere
compositivo
e
poi,
abbia
avuto
dei
tentennamenti
dal
punto
di
vista
formale
nelle
Storie
di
San
Francesco.
Giotto
s’impadronisce
gradualmente
dello
“spazio
ritrovato”,
dapprima
con
una
certa
fragilità
compositiva
e
successivamente
con
maggiore
cura
riesce
a
far
sue
le
innovazioni
introdotte
dal
Maestro
di
Isacco.
Non
si è
di
fronte
ad
un
ripensamento
autocritico
di
quel
che
è
stato
fatto
prima,
ma
piuttosto
al
graduale
percorso
fatto
a
grandi
passi
di
un
geniale
e
ancora
inesperto
Giotto,
evidenziato
in
tappe
ben
riconoscibili.
Riferimenti
bibliografici:
A.M.
Romanini,
Gli
Occhi
di
Isacco.
Classicismo
e
curiosità
scientifica
tra
Arnolfo
e
Giotto,
in
“Arte
Medievale”,
s.
II,
I,
1987,
pp.
1-43.
A.M.
Romanini,
Arnolfo
all’origine
di
Giotto,
l’enigma
del
maestro
d’Isacco,
in
“storia
dell’arte”
65,
1989,
pp.
5-26.
A.
Tomei,
s.v.
Giotto,
in
Enciclopedia
dell’arte
medievale,
VI,
Roma
1995,
pp.
649-675.
A.Tomei,
Giotto
e il
trecento,
volume
dei
Saggi,
Milano
2009
(in
particolare),
pp.
63-71
a
cura
di
Hans
Belting.