[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

199 / LUGLIO 2024 (CCXXX)


moderna

L’empia alleanza
SULL’intesa FRANCO OTTOMANA DEL 1536

di
Francesco Biscardi
 

Comunemente sentiamo ripetere parecchie inesattezze ed imprecisioni sulla religione e sulla civiltà musulmana, tese a ridurre semplicisticamente l’islam al jihadismo o all’oppressione, senza aver chiara la complessità che realmente possiede questa fede, incapaci di distinguere fra veri precetti e uso nefasto e strumentalizzato che spesso ne viene fatto. Similmente non si è pienamente consci di come nelle guerre condotte per motivazioni religiose generalmente la religione non sia altro che uno scudo teso a celare ben più profonde ragioni politiche ed economiche. Infine la storia dei rapporti fra società cristiane ed islamiche non è stata costellata da sole guerre e violenze, ma anche da scambi, accordi e passaggi da una fede all’altra. Emblematica fu l’alleanza siglata nel 1536 fra il re di Francia Francesco I e il sultano ottomano Solimano II, conosciuto come “il Magnifico” in Occidente o “Kanuni” (“il Legislatore”) in Oriente.

 

Complesso era lo scenario in cui avvenne quest’intesa: nel 1494 erano iniziate le Guerre d’Italia che vedevano contendersi l’egemonia sulla nostra penisola almeno tre potenze: la Francia, l’Impero tedesco e la Spagna, queste ultime due unite, dal 1519, nella persona di Carlo V d’Asburgo; la scoperta poi di un Mondus Novus stava dischiudendo agli europei nuovi orizzonti, mentre maturava il Rinascimento e nel contempo la Riforma protestante contribuiva a lacerare la Cristianità. A complicare le cose ci pensava l’Impero ottomano che, dopo la conquista di Costantinopoli/Istanbul del 1453, minacciava il cuore del Vecchio continente.

 

Inizialmente il timore verso il “Turco” sembrava poter compattare gli Stati cristiani contro il comune nemico: Venezia combatteva per i suoi possedimenti e la sua influenza nell’Adriatico e nel Mediterraneo orientale, difendendo i suoi pingui commerci, e Carlo V formava, una volta eletto imperatore, un fronte con i sovrani di Danimarca e d’Inghilterra contro gli ottomani. La crociata divenne da subito parte integrante del grande disegno che questi intendeva perseguire fra Maghreb, Medio Oriente ed Europa. Di contro Solimano, sul trono dal 1520, non tardò a compiere mirabolanti imprese: conquistò Belgrado nel 1521, Rodi nel 1526, stesso anno della vittoria nella battaglia di Mohács, in cui morì Luigi II d’Ungheria, cognato di Carlo.

 

Sulle prime anche i re di Francia, tradizionalmente fregiantisi del titolo di reges christianissimi dai tempi di Luigi IX “il Santo”, sembravano animati da intenti crociati: Carlo VIII nel 1494 era sceso in Italia per rivendicare il dominio di Napoli in virtù della passata signoria angioina ed aveva sbandierato l’intento di riconquistare Gerusalemme, ma i conflitti che da allora presero piede fecero passare in secondo piano tali velleità.

 

Un momento centrale delle Guerre d’Italia lo si ebbe nel 1525 con la battaglia di Pavia: nello scontro il re francese, Francesco I, non solo venne sconfitto dall’esercito ispano-imperiale di Carlo V, ma finì anche suo prigioniero. Fu liberato solo dietro pagamento di un ingente riscatto e, quattro anni dopo, fu costretto a firmare la Pace di Cambrai con cui, in sostanza, accettava la sua estromissione dalla penisola; in più si impegnava a concedere all’imperatore dodici galee per l’impresa che questi si accingeva a compiere contro la pirateria islamica nel Mediterraneo. Tuttavia l’azione del sovrano parigino andrà in direzione diametralmente opposta rispetto a quanto promesso, in quanto si avvicinerà proprio al sultano e al suo “grande ammiraglio”, il corsaro e “beylerbey” (“governatore”) di Algeri Khayr al-Dīn detto “Barbarossa”.

 

Uomo dotato di eccezionali qualità strategico-piratesche, nonché di uno spiccato ingegno, quest’ultimo aveva lanciato verso una strabiliante crescita economica e demografica il governatorato algerino, vassallo di Istanbul, al vertice dei cosiddetti “Stati barbareschi”: fra 1520 e 1529 si era praticamente impadronito di tutti gli scali costieri punteggianti la sponda sud del Mediterraneo, da Gibilterra ad Algeri, mentre le coste spagnole ed italiche erano costantemente bersaglio dei suoi raid.

Nel 1529 una possedente squadra navale castigliana si era lasciata cogliere impreparata presso Formentera, dove era stata sbaragliata da un fido del Barbarossa, Aydin Rais, un rinnegato cristiano noto in Italia come “Cacciadiavolo”. All’indomani di questo episodio e della Pace di Cambrai, Francesco, desideroso di rivalsa, cominciò ad allacciare contatti con la corte ottomana: nel marzo 1530 fu segretamente inviato presso il sultano l’audace mediatore Antonio Rincón con precise istruzioni. Giunto a Costantinopoli espose direttamente a Solimano i dettagli dell’offerta bilaterale proposta dal suo signore, che, in sostanza, prevedeva una spartizione concertata dell’Italia: grazie ad una manovra a tenaglia, gli ispano-imperiali sarebbero stati tenuti occupati nel settentrione dall’esercito parigino, mentre l’imponente flotta sultaniale, rafforzata dalle squadre navali del Barbarossa, avrebbe preso possesso delle coste centro-meridionali della penisola. Sembra che fu discusso anche il destino di Roma, ambita preda del sovrano turco che agognava a mettere le mani su quella che veniva spesso denominata “mela rossa” nelle storie e nei canti di corte.

Gli intrighi, nonostante gli sforzi, non rimasero adeguatamente celati, tanto che la Santa Sede venne presto a conoscenza di queste macchinazioni e il pontefice, Clemente VII, non tardò a preparare un piano di rapida fuga ad Avignone in caso di attacco alle rive del Lazio. Tuttavia non si scagliò apertamente contro il re francese: non agitò l’arma della scomunica e si limitò ad un invito affinché salvasse perlomeno le apparenze dinanzi ai fedeli. Perdurava infatti l’inimicizia con Carlo V e gli echi del Sacco di Roma del 1527 erano ancora vivi presso la curia papale. Di contro Francesco cercò di negare, denunciando anzi che Solimano aveva messo gli occhi sull’Urbe e sull’Italia, mentre, in realtà, tergiversava e portava avanti la sua trama: nel 1532 nel contempo inviava a Roma un messaggio in cui si dichiarava mortificato di non poter contribuire all’impresa che l’imperatore si accingeva a compiere contro il Barbarossa, accampando la scusa che la sua flotta doveva restare ancorata in Provenza per prevenire un possibile attacco corsaro, mentre, sempre segretamente, rispediva il Rincón da Solimano.

 

In realtà in quell’anno il Barbarossa non si mosse, lasciando perlopiù il peso dell’offensiva anticristiana al governatore di Gelibolu (Gallipoli), Ahmed Bey, mentre l’esercito ottomano risalì l’area danubiano-balcanica arrivando a minacciare Vienna come nel 1529. È interessante riportare come sono state avanzate varie tesi su questa mancata azione del corsaro nell’estate del 1532: si sono ipotizzati screzi fra questi e le alte sfere ottomane, finanche segrete trattative con Carlo, simili a quelle che Parigi stava intessendo con Istanbul, o sole problematiche logistiche. Pare che un possibile asse barbaresco-imperiale non sia così impensabile, ma, allo stato attuale delle nostre conoscenze, tale ipotesi resta confinata a livello di ucronia.

È comunque probabile che qualcosa avvenne nei rapporti fra Costantinopoli e Algeri, perché nel 1533 Solimano invitò il Barbarossa a raggiungerlo per ricevere il grado di “qapūdān-i deryā” (“capitano del mare”) e con esso il comando di tutta la sua flotta. Non è da escludere che fra le ragioni che spinsero il sultano a incontrare l’abile governatore algerino vi sia stato il volersi sincerare personalmente della sua fedeltà, mentre l’importante carica affidatagli derivò dal fatto che la squadra navale di Carlo, comandata da Andrea Doria, aveva sconfitto la sua a Corone ed era penetrata a Patrasso.

 

Allo spregiudicato corsaro, seppur non più giovane, spettò l’onere della riscossa: salpò da Istanbul e iniziò le sue razzie contro le coste cristiane, giungendo, nel 1534, nel sud della Francia, dove incontrò gli emissari del re, per poi far vela alla volta di Tunisi, da allora sottratta al sovrano hafside, Muley al-Ḥassan, e tenuta sotto suo dominio (persa solo temporaneamente, nel 1535, a vantaggio di Carlo), e di Corone, riconquistata.

 

Se nel 1532 non abbiamo notizie sicure, sappiamo meglio come, fra 1534 e 1535, l’imperatore cercò, invano, di portare il Barbarossa dalla propria parte, promettendogli il governo dell’Africa mediterranea per conto della Spagna e la libertà di navigazione nei mari di Sicilia, dietro un aiuto contro il sultano, mentre, sotto l’altro versante, Francesco non tardò ad elogiarlo per le vittoriose imprese, assicurandogli l’amicizia di Parigi.

 

Alla fine proprio quell’impium foedus (“empia alleanza”), le cui trattative erano in corso dal 1529, divenne ufficialmente realtà il 19 febbraio del 1536: Francia e Impero ottomano siglarono un patto di reciproco aiuto contro il comune avversario. La propaganda asburgica tuonò affermando che il “re cristianissimo”, erede di Carlo Martello, Carlomagno e Luigi IX, si era alleato con l’”anticristo” islamico contro il Sacro romano imperatore e la Santa Chiesa da lui difesa. Si invitò il pontefice a spogliarlo di ogni titolo, ma questi, all’epoca Paolo III, preferì non accanirsi contro il sovrano francese, probabilmente sia per non rischiare di dividere ulteriormente una Cristianità già dilaniata dalla Riforma protestante, e poi per non trovarsi contro un pericoloso avversario, vista anche la sua diffidenza nei confronti di Carlo V.

 

Dal canto suo quest’ultimo non era rimasto estraneo a possibili intese con una potenza islamica: oltre che con il Barbarossa, era stata caldeggiata l’alleanza con la Persia dei Safavidi. Seguendo il precetto “il nemico del mio nemico è mio amico”, il 25 agosto 1525 aveva infatti risposto da Toledo ad una missiva del ṣàfawī Ismāʿīl, recante l’invito ad un comune impegno contro gli ottomani, avvertendolo del momento propizio derivato dal recente trionfo di Pavia. Concentrare un attacco concentrico contro Istanbul era la vera posta in gioco: il Safavide dall’Asia e l’Asburgo dall’Europa.

 

La Cristianità non era nuova a tale possibile intesa: contando sulla divisione presente nella fede islamica (sciiti i persiani, sunniti i turchi) e sulle rivalità geo-politiche fra i due imperi, ci aveva provato Venezia negli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento e ci sarebbe probabilmente riuscita se l’allora signore persiano, Ūzūn Ḥasan, non fosse morto nella battaglia di Otluk Dagh del 1473.

 

Carlo non fu molto più fortunato, perché Ismāʿīl morì proprio nel 1525 e gli successe il meno accondiscendente Tahmāsp. Ciononostante dieci anni dopo riuscì ugualmente a stringere un’intesa dopo l’effimera conquista di Tunisi, per quanto non paragonabile a quella fra Francesco e Solimano, destinata a sopravvivere ai due protagonisti: ancora nella seconda metà del Seicento il Re Sole, Luigi XIV, eviterà di essere coinvolto nei progetti crociati di papa Innocenzo XI e si dolerà per la mancata conquista ottomana di Vienna, assediata nel 1683.

 

La storia qui sommariamente ricostruita dimostra come nelle guerre quella ideologico-religiosa sia quasi sempre solo una scusa che cela dietro ben altre motivazioni di Realpolitik. Riprova inoltre come i rapporti fra civiltà islamica e cristiana non siano sempre stati in ogni caso agli antipodi, il che ci dovrebbe aiutare a comprendere come sarebbe opportuno abbandonare preconcetti e stereotipi al fine di non cadere negli errori commessi in passato.
 


Riferimenti bibliografici:

 

Bono S., Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie, Il Mulino, Bologna, 2019.

Cardini F. Musarra A., Il grande racconto delle crociate, Il Mulino, Bologna, 2019.

Pellegrini M., Guerra santa contro i turchi. La crociata impossibile di carlo V, Il Mulino, Bologna, 2015.

Ricci G., Rinascimento conteso. Francia e Italia, un’amicizia ambigua, Il Mulino, Bologna, 2024.

Sampoli S., La sconfitta nel Mediterraneo. Venezia e Istanbul: incontri e scontri, da Carlo V alla guerra di Candia (1519-1669), Nuova Immagine Editrice, Siena, 2016.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]