N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
Emily Carr
La pittrice amica degli alberi e degli indiani
di Michele Broccoleti
Vera
e
propria
icona
dell’arte
del
XX
secolo,
pittrice-culto
di
intere
generazioni
di
donne
ed
artiste,
Emily
Carr
viene
spesso
assunta
come
simbolo
del
femminismo
di
tutti
i
tempi,
per
aver
combattuto
contro
i
pregiudizi
e le
convenzioni
sociali
e
per
aver
dato
voce
alle
sue
più
profonde
ispirazione
artistiche.
Nata
a
Victoria,
nella
Columbia
Britannica,
il
13
Dicembre
1871,
Emily
Carr
visse
nella
sua
città
natale
fino
al
1889,
per
poi
trasferirsi,
dopo
la
morte
dei
genitori,
a
San
Francisco
dove
studiò
arte
fino
al
1895.
Nel
1899
si
trasferì
invece
in
Inghilterra,
dove,
per
continuare
ed
approfondire
i
propri
studi,
si
iscrisse
alla
scuola
di
arte
di
Westminster
di
Londra
e
frequentò
anche
le
scuole
di
Cornwall,
Bushey
ed
Hertfordshire.
Durante
il
suo
soggiorno
londinese,
entrò
inoltre
in
contatto
con
il
gruppo
di
St.
Ives
e
con
la
scuola
privata
di
Hubert
von
Herkomer.
Nel
1910
decise
di
spostarsi
in
Francia,
a
Parigi,
dove
trascorse
un
anno
a
studiare
arte
presso
l’Académie
Colarossi:
proprio
in
Francia
conobbe
le
opere
dei
Fauves,
il
cui
stile
postimmpressionistico
influenzò
il
colore
dei
suoi
lavori.
Tuttavia,
scoraggiata
dalla
mancanza
del
successo
artistico,
ritornò
definitivamente
a
Victoria
l’anno
successivo.
È
fuori
discussione
che
alcuni
aspetti
propri
della
cultura
della
Columbia
Britannica
e
del
Canada
influenzarono
notevolmente
Emily
Carr,
la
quale
fin
da
giovane
iniziò
ad
entrare
in
contatto
con
varie
comunità
di
natii
americani.
Proprio
dopo
la
sua
permanenza
europea,
Emily
Carr
trascorse
alcuni
anni
nella
città
di
Vancouver,
dove
prese
piede
il
suo
progetto
di
dipingere
i
pali
totemici,
nel
tentativo
di
catalogarli
prima
della
loro
scomparsa.
Nel
1913
però,
a
causa
di
problemi
finanziari,
dovette
di
nuovo
tornare
a
Victoria,
dove
fu
costretta
a
tralasciare
la
sua
vena
artistica,
per
dedicarsi
a
lavori
più
remunerativi.
Le
sue
opere
erano
ancora
sconosciute
ai
contemporanei
ed
al
mondo
dell’arte
e fu
così
che
si
dedicò
prima
all’attività
di
vasaia,
poi
ricavò
una
piccola
pensione
nella
sua
casa,
ed
infine
mise
in
piedi
un
allevamento
di
cani
da
pastore.
Negli
anni
venti,
Emily
Carr
entrò
in
contatto
con
alcuni
membri
del
Gruppo
dei
Sette,
dopo
essere
stata
invitata
dalla
National
Gallery
del
Canada
a
partecipare
ad
un’esposizione
sui
natii
d’America.
Questa
esposizione
segna
un
punto
di
svolta
nella
vita
di
Emily
Carr,
in
quanto
le
sue
opere
iniziarono
ad
essere
apprezzate
(in
particolar
modo
da
Lawren
Harris)
e
poco
più
tardi
fu
invitata
a
partecipare
proprio
ad
un’esposizione
del
Gruppo
dei
Sette:
fu
l’inizio
della
sua
lunga
e
preziosa
associazione
al
gruppo,
i
cui
membri
la
definirono,
qualche
anno
più
tardi,
come
“la
madre
dell’arte
moderna”.
Ma
da
cosa
era
caratterizzata
l’arte
della
pittrice
canadese?
Da
dove
derivava
la
sua
ispirazione
artistica?
Semplicemente
possiamo
affermare
che
Emily
Carr
sperimentò
un’identificazione
estatica
con
lo
spirito
della
natura:
il
rigido
clima
della
Columbia
Britannica,
la
ricchezza
di
acqua
e
soprattutto
la
presenza
di
boschi,
foreste
ed
alberi,
le
offrirono
numerose
opportunità
per
continue
riflessioni
e
per
una
costante
crescita
artistica.
In
particolare,
parlare
degli
alberi
di
Emily
Carr,
significa
parlare
del
soggetto
principale
delle
sue
opere.
L’albero
spesso
corrisponde
al
centro
focale
dei
suoi
dipinti,
ma
per
la
pittrice
canadese
rappresenta
anche
l’espressione
del
suo
lavoro
e
della
sua
vita.
Già
agli
esordi
della
sua
carriera
artistica,
nel
1905,
Emily
Carr
realizzò
alcune
vignette
per
un
periodico
politico
di
Victoria,
dove
venivano
“animati”
gli
alberi,
i
quali,
ci
suggerisce
la
pittrice,
possiedono
una
vita
propria
e
non
dovrebbero
essere
abbattuti
con
troppa
leggerezza:
era
questa
un’idea
poco
popolare
nella
Columbia
Britannica,
dove
l’industria
del
legname
distruggeva
annualmente
intere
aree
di
boschi
e
foreste.
Emily
Carr
si
identificava
con
gli
alberi,
passava
lunghi
periodi
vivendo
nelle
foreste
e
cercando
di
capire
tutto
quello
che
poteva
sull’esistenza
degli
alberi
stessi
e
durante
questi
periodi
realizzava
innumerevoli
schizzi,
studi
e
bozzetti
preparativi
(la
maggior
parte
realizzati
con
gli
acquarelli),
i
quali
poi
venivano
trasposti
nelle
sue
tele.
Anche
dai
suoi
diari
possiamo
capire
che
per
Emily
Carr
gli
alberi
erano
meglio
degli
esseri
umani,
mentre
i
suoi
dipinti
ci
testimoniano
che
gli
alberi
scandiscono
continuamente
il
ritmo
ed
il
movimento
dell’opera
venendo
rappresentati
a
volte
in
maniera
realistica,
statici
ed
“impassibili”,
mentre
altre
volte
sono
raffigurati
in
modo
fantastico
ed
in
forme
astratte,
in
una
sorta
di
danza
fatta
di
rami
a
spirale
e
tronchi
contorti.
Soprattutto
nel
secondo
caso,
le
opere
di
Emily
Carr
sono
cosparse
di
nastri
di
colore
ondulanti,
che
ricoprono
la
superficie
e lo
spazio
dell’intero
dipinto.
Sembra
quasi
che
per
la
pittrice
canadese
gli
alberi
a
volte
si
trasformino
in
un’ossessione:
in
particolari
periodi
della
sua
carriera
artistica,
a
causa
delle
sue
ristrettezze
economiche,
acquistò
materiali
di
scarsa
qualità
per
i
suoi
lavori
(grandi
fogli
di
carta
da
parati
e
vernici
usate
per
imbiancare
le
mura
delle
case,
che
venivano
diluite
con
benzina
e
petrolio…)
al
fine
di
poter
produrre
velocemente,
come
presa
da
un
improvviso
vortice,
un
grande
quantitativo
di
soggetti
arborei,
che
venivano
appunto
realizzati
inizialmente
come
studi
e
poi
erano
trasformati
in
opere
pittoriche.
Per
vivere
a
stretto
contatto
con
la
natura
decise
anche
di
costruirsi
una
sorta
di
roulotte,
che
veniva
trasportata
in
mezzo
alla
foresta
e
serviva
ad
Emily
per
ripararsi
durante
la
notte:
in
breve
tempo,
le
pareti
della
sua
“casa
viaggiante”,
venivano
tappezzate
con
i
suoi
studi
pittorici
sugli
alberi.
A
volte
gli
alberi
sono
semplicemente
ridotti
in
forme
geometriche
e
semplificate,
altre
volte
sono
raffigurati
nel
loro
movimento
sospinto
dai
venti,
mentre
altre
volte
ancora
sono
fantastici
e
derivano
direttamente
dai
sogni
e
dall’inconscio
di
Emily,
che
per
tutta
la
sua
vita
rimarrà
fedele
al
proprio
soggetto
pittorico
preferito.
Osservando
gli
alberi
di
Emily,
non
solo
possiamo
vedere
la
natura
nelle
sue
variegate
forme
e
nelle
svariate
rappresentazioni
della
pittrice
canadese,
ma
possiamo
di
volta
in
volta
anche
osservare
la
luce
del
sole
che
filtra
tra
i
rami,
immergerci
nell’oscurità
delle
tenebre
che
cala
sul
bosco,
farci
trasportare
dai
forti
venti
che
scuotono
gli
alberi,
ascoltare
i
rumori
ed i
suoni
che
gli
stessi
producono
e
perfino
toccare
ed
odorare
lo
spirito
della
natura.
Oltre
a
questo,
gli
alberi
di
Emily
esprimono
anche
l’umore
della
stessa
pittrice:
gioiosi,
tristi,
malati…
Emily
si
identifica
talmente
con
gli
alberi,
al
punto
da
farli
portatori
dei
suoi
stati
d’animo…
La
foresta
diventa
infine,
per
l’artista
canadese,
una
sorta
di
rifugio
religioso,
dove
prende
vita
la
sua
particolare
forma
personale
del
Cristianesimo.
Perciò
è
indubbio
che
gli
alberi
sono
l’asse
centrale
attorno
al
quale
ruota
il
lavoro
di
Emily
Carr,
la
quale
però,
durante
la
sua
carriera
artistica
fu
molto
attratta
ed
interessata
anche
da
un’altra
tematica,
rappresentata
dalla
cultura
e
dalle
tradizioni
dei
natii
d’america.
Lei
stessa
visse
fra
gli
indiani
d’america,
ed
ebbe
il
principale
scopo
di
raffigurare
e
dipingere
quanti
più
pali
totemici
possibile,
al
fine
di
catalogarli
prima
della
loro
scomparsa.
Come
fece
per
gli
alberi,
adottò
anche
per
i
totem
una
scelta
simile:
realizzava
inizialmente
schizzi
e
bozzetti
di
studio
con
gli
acquarelli,
per
poi
trasporre
i
soggetti
sulla
tela.
Lo
scopo
di
catalogazione
dei
totem
indiani,
divenne
ben
presto
una
sorta
di
ossessione
per
Emily,
che
voleva
riprodurre
tutti
questi
fantastici
manufatti,
prima
che
gli
stessi
venissero
distrutti
dalle
intemperie,
dall’abbandono
o
addirittura
fossero
acquistati
per
pochi
soldi
dai
responsabili
dei
vari
musei
canadesi,
che
sradicavano
totalmente
i
totem
dal
loro
contesto
spazio-temporale.
Nel
corso
della
sua
vita,
Emily
Carr
visitò
numerosissime
riserve
indiane
(che
spesso
si
trovavano
nelle
vicinanze
di
boschi
e
foreste)
ed
ebbe
l’occasione
di
conoscere
in
maniera
approfondita
le
tradizioni
e le
usanze
dei
natii
d’america.
In
alcuni
casi
poté
stringere
relazioni
con
persone
che
le
fecero
capire
le
difficili
condizioni
di
vita
dei
natii:
le
morti
(soprattutto
tra
vecchi
e
bambini)
erano
numerosissime,
causate
per
lo
più
dalle
malattie
trasmesse
dai
bianchi,
che
erano
difficilmente
curabili
con
la
medicina
tradizionale
indiana.
Anche
i
mezzi
di
sussistenza
erano
pochi:
le
abitazioni
erano
fatte
tutte
artigianalmente
in
legno
e lo
stesso
legno
veniva
usato
per
realizzare
manufatti
ed
utensili
da
poter
utilizzare
o
rivendere.
Ma
purtroppo
ciò
non
bastava,
e
presto
molti
uomini
iniziarono
a
trovare
lavoro
presso
le
segherie
canadesi,
che
sfruttavano
per
pochi
soldi
la
manodopera
dei
natii.
Emily
Carr
conobbe
quindi
anche
questo
mondo,
molto
vicino
al
suo,
ma
sconosciuto
alla
maggior
parte
dei
bianchi.
Probabilmente,
rappresentando
i
totem
indiani,
Emily
ha
voluto
cercare
di
capire
e
comprendere
il
vero
spirito
dei
natii
d’America,
avvolti
in
una
sorta
di
rituale
magico,
con
il
quale
spiegavano,
giustificavano,
e
davano
un
senso
alla
vita
di
ogni
individuo
e
all’esistenza
di
tutto
il
genere
umano.
In
conclusione
possiamo
cercare
di
rispondere
ad
un
interrogativo
che
si
sono
posti
alcuni
storici
dell’arte:
come
sarebbe
cambiata
la
produzione
artistica
di
Emily
Carr,
se
fosse
vissuta
nel
vecchio
continente,
piuttosto
che
in
Canada?
Bèh…,
sicuramente
la
risposta
da
dare
a
questa
domanda
non
è
poi
così
tanto
difficile:
l’arte
di
Emily
Carr,
ma
anche
la
stessa
artista
canadese,
non
avrebbero
avuto
motivo
di
esistere
se
non
in
Canada
e a
stretto
contatto
con
la
natura
canadese
e la
cultura
e le
tradizioni
dei
natii
d’America.