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N. 128 - Agosto 2018 (CLIX)

La “Grande Emigrazione” italiana

VERSO L'AMERICA: Sogni e sofferenze tra XIX e XX secolo
di Ilaria La Fauci

 

Si parla tanto oggi di immigrazione e ricordare la storia significa anche creare collegamenti tra il passato e il presente: la condizione in cui oggi si trovano tante persone è molto simile a quella in cui si sono ritrovati moltissimi italiani a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.

 

Innanzitutto il contesto: l’Italia era stata unificata da pochi decenni e molte persone hanno subito le conseguenze di questa vicenda giungendo a scelte che probabilmente non avrebbero mai preso in considerazione, ma a cui furono costretti nel tentativo di migliorare la loro condizione e quella dei loro familiari.

 

La povertà, il tasso di analfabetismo e la malavita dilagavano soprattutto al sud e al centro Italia: molte famiglie non erano più legate ai proprietari terrieri, il che significava guadagnare la libertà ma perdere la protezione e la sicurezza di riuscire a sopravvivere.

 

Le famiglie dovevano occuparsi autonomamente del proprio nido familiare, ma le nuove politiche italiane non andavano incontro a questa classe di lavoratori: nella maggior parte dei casi, per buona parte degli anni iniziali del Regno d’Italia, i capi politici presero scelte senza avere idea della condizione in cui si trovava questa parte sfortunata del loro Paese.

 

Sollecitavano le industrie ad esempio, ma non riuscivano a comprendere i bisogni degli agricoltori e in generale delle classi più umili e appartenenti al settore economico primario. L’italiano del sud si sentì così tralasciato e dimenticato, ma doveva pur fare qualcosa per mandare avanti la famiglia e così si insinuò un’idea piuttosto rivoluzionaria, che avrebbe potuto risolvere la situazione, ma non c’erano certezze su cosa sarebbe davvero accaduto.

 

Inizia così quella che a posteriori viene chiamata “Grande Emigrazione” e copre un arco temporale che va dal 1861 agli anni Venti del XX secolo: inizialmente gli spostamenti erano brevi e avevano come destinazione l’Italia Settentrionale; a partire dal 1880 circa invece si iniziò a puntare oltre oceano.

 

Quasi due milioni di persone partirono tra il 1861 e il 1985 per non ritornare mai più in patria: provenivano da Veneto, Friuli, Piemonte e soprattutto Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Sceglievano come meta l’America: non sapevano cosa avrebbero trovato, come sarebbero stati trattati, cosa avrebbero fatto e se poteva davvero essere una strada percorribile, quella che avrebbe risolto i loro problemi, quella che gli avrebbe permesso di trasferirsi con l’intera famiglia o di tornare in patria dopo aver lavorato e guadagnato abbastanza da sopravvivere.

 

Le cause di questo esodo possono essere lette direttamente dalle parole di un emigrante che si rivolgeva a un ministro italiano: «Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano, ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro?».

 

Nove milioni è il numero degli italiani che lasciarono l’Italia tra il 1861 e la seconda guerra mondiale: erano diretti negli Stati Uniti, ma anche in Brasile, Argentina e Uruguay (buona parte anche in Francia, Egitto, Tunisia, Marocco).

 

I progressi in campo navale furono tali da permettere la costruzione di numerose imbarcazioni adeguate per viaggi così lunghi: le partenze avvenivano da diversi porti, come Palermo, Napoli e Genova, e giungevano in America, principalmente a Ellis Island, luogo in cui i migranti venivano controllati per poter poi accedere liberamente agli Stati Uniti.

 

Ma cosa pensavano gli americani degli italiani?

 

Per molto tempo i pregiudizi e i tentativi di sfruttamento prevalsero abbondantemente al punto da giungere a veri e propri disordini e atti di violenza: il diverso e il nuovo portano sempre a uno sconvolgimento interno alla società e inevitabilmente ne conseguono la paura, il pregiudizio e la chiusura.

 

Gli americani apprezzavano l’Italia come patria delle arti, ma non furono pronti ad un’apertura nei confronti di quegli italiani bisognosi di una casa e di un lavoro.

 

In alcuni casi, come il Brasile, l’arrivo degli italiani era accolto per far fronte alle conseguenze dell’abolizione della schiavitù del 1888: in questo caso i contadini che lavoravano nelle piantagioni di caffè spedivano il denaro in patria o per far sopravvivere le proprie famiglie o per invitarle a raggiungerli.

 

Questo garantì un flusso migratorio costante, ma appunto non era dappertutto così ben visto. In ogni caso nel 1902 il ministro degli esteri Giulio Prinetti si rese conto della situazione ed emanò un decreto contro l’impiego degli italiani come schiavi: inizialmente questo causò un irrigidimento delle relazioni tra i due Paesi e il Brasile cominciò a inviare opuscoli informativi e descrittivi sul felice status lavorativo degli emigranti italiani, per avversare ogni forma di conflittualità.

 

Anche per quanto riguarda gli Stati Uniti, per frenare uno sfruttamento simile, fu emanata nel 1885 la Alien Contract Labor Law che impediva di forzare ulteriormente le migrazioni per trarne vantaggio con contratti di lavoro “illegali”.

 

Delle sofferenze e delle necessità dei migranti ne approfittarono anche alcuni organi che in principio erano stati istituiti per il controllo del flusso migratorio: erano numerosi gli agenti di emigrazione che creavano profitto da questa infelice situazione, abusando delle spese sostenute dagli italiani tenendone una parte per sé stessi. La situazione era talmente insostenibile che nel 1888 fu creata una legge sull’emigrazione per porre fine a tale sopruso.

 

Nel 1901 i viaggi erano talmente numerosi da necessitare un controllo ancora più approfondito: venne creato un commissariato per il controllo sulle licenze alle imbarcazioni e sui costi degli biglietti, per compiere ispezioni e creare adeguate strutture di accoglienza.

 

Negli anni Venti, seppur le migrazioni fossero diminuite poiché l’avvento del fascismo contrastava lo spopolamento della patria, le partenze non erano più di singoli uomini, ma di intere famiglie: vennero emanati due decreti, ovvero l’Emergency quota act e l’Immigration act, rispettivamente nel 1921 e nel 1924.

 

Nel primo caso si trattava di una legislazione temporanea che promuoveva una maggiore restrizione all’ingresso degli USA, introducendo un numero limite, appunto una quota, che significasse un controllo maggiore per impedire che la situazione degenerasse.

 

Nel secondo caso la situazione fu ancora più filtrata: vennero indicati con precisione i Paesi da cui diminuire l’arrivo dei migranti, ovvero sud Europa ed est, mentre erano ben accolte le persone che provenivano dal Nord Europa: la “logica” alla base di tutto ciò sta nel credere che quelli del sud e dell’est fossero intellettualmente e culturalmente inferiori.

 

Non solo le frontiere furono chiuse, ma vennero anche fatte disposizioni per espellere gli immigrati non-bianchi o provenienti da quelle zone del mondo. Il risultato fu una diminuzione da 357.803 migranti a 164.667, dal 1923 al 1925 circa: il 19% in meno da Gran Bretagna e Irlanda e ben il 90% in meno dall’Italia. Si preferiva accogliere familiari dei residenti e soprattutto solo chi aveva un visto di immigrazione rilasciato dal consolato americano.

 

Questo inasprimento delle leggi favoriva la crescita del malcontento degli americani nei confronti di chi giungeva presso la loro terra: la discriminazione si faceva strada tra i loro pensieri, dando vita all’antitalianismo o italofobia.

 

Questo fenomeno è presente anche in altre parti del mondo per eventi storici, ostilità nazionalistiche ed in questo caso per l’emigrazione di massa. Le conseguenze furono brutali azioni come:

- il linciaggio di New Orleans, 14 maggio 1891: una folla di cittadini il cui numero non è ben precisato (i giornali parlavano di 3 mila ma anche di 20 mila persone) assalì la prigione locale, uccidendo 11 migranti italiani perché il sovraintendente della polizia David Hennesy, pronto a testimoniare a favore della famiglia Provenzano, fu ucciso e questo aveva portato alla cattura e al processo agli italiani che furono però scagionati; da qui il malcontento di un popolo che si sentì tradito dalla sua stessa patria e la decisione di fare giustizia autonomamente;

- il processo agli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, tra il 1920 ed il 1927: i due migranti giunsero in America all’inizio del XX secolo, lavoravano e vivevano tranquillamente nel Massachusetts fin quando nel 1920 furono accusati di rapina e omicidio; seguì il processo, la condanna alla sedia elettrica, la confessione di un pregiudicato di essere colpevole di quei crimini, ma la vicenda si concluse ugualmente con la morte dei due nel 1927.

 

Sono due esempi di ciò che accadeva in America, della mentalità, dei pregiudizi e dell’intolleranza subita dai migranti: è pur vero che per gli americani fu un duro colpo assistere all’aumento da 90 siciliani a 10 mila tra li 1879 ed il 1892.

 

La visione positiva dell’italiani medio fu contrastata dal notare una notevole difficoltà di integrazione che portava alla creazione di veri e propri quartieri in cui spopolava il degrado, il sovraffollamento e le condizioni igieniche precarie.

 

Poi giunse la mafia a rafforzare il sentimento di disprezzo da parte degli americani. Nel 1890 New Orleans contava 274 mila abitanti di cui 30 mila erano italiani e il controllo della città era conteso tra Provenzano e Matranga. Queste erano le premesse al linciaggio dell’anno successivo, che avrebbe portato a due impiccagioni e nove fucilazioni, nonché una crescente tensione tra USA e Italia.

 

«Individui più abietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistono al mondo, peggiori dei negri e più indesiderabili dei polacchi»: queste erano le parole del sindaco di New Orleans, questa era la voce della borghesia medio-alta che manifestò e uccise gli 11 prigionieri.

 

La stampa riporta parole di disprezzo e di discriminazione altrettanto violente; ecco due esempi dal New York Times del 1904 e del 1909:

- «È noto che gli uomini provenienti dal Sud Italia e dalla Sicilia hanno minor controllo su di sé. […] Fra di loro l’impulso omicida scoppia come una fiammata di polvere da sparo e il loro stiletto è sempre pronto come il pungiglione delle vespe»;

- «Si suppone che l’Italiano sia un grande criminale. È un grande criminale. L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. […] Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri».

 

Americani e italiani erano succubi di un sistema più grande, che guadagnava dalle loro sofferenze ed era insofferente alle richieste di attenzione del proprio popolo: il denaro aveva preso il sopravvento ed ogni scelta e decisione attuata era allo scopo di aumentare i profitti.

 

«Otto volte su dieci un immigrato che raggiunge questo paese ha un lavoro ad aspettarlo, anche se poi non c’è alcun lavoro per gli americani. Ho potuto constatare molte volte quale grande ingiustizia si fa verso i lavoratori americani nell’interesse degli stranieri. […] Ho visto al loro sbarco gli immigrati italiani essere accolti da un padrone che li metteva in riga, li prendeva a calci, li frustava come bestiame e infine li conduceva via come mandrie al macello, fino ai quartieri di destinazione dove venivano prestati per lavoro davvero sottopagati. Il padrone in genere prende da due a cinque dollari per ogni italiano e da due a tre dollari dalla ditta che li compra».

 

Questo breve stralcio del rapporto sull’immigrazione del 1911 identifica i punti di malessere di entrambi i popoli, ma il potere del denaro aveva la meglio, allora come ora.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Fiorentino D., Gli Stati Uniti e il risorgimento d’Italia (1848 – 1901), Roma, 2013.

Giovannetti A., L’America degli italiani, Modena, 1975.

Pozzetta G., Pane e lavoro: The Italian American Working Class, Toronto, 1980.

Reports of the Immigration Commission, USA, 1911.

Salvetti P., Corda e sapone: storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti, Roma, 2003.



 

 

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