N. 43 - Luglio 2011
(LXXIV)
l'EMIGRANTE ITALIANO
DALla VALIGIA DI CARTONE Alle fughe LOW COST
di Roberta M. Toselli
Le
vecchie
foto
in
bianco
e
nero
di
povere
famiglie
di
emigranti
italiani
al
porto
di
New
York
ci
ricordano
di
quando
emigravamo
in
cerca
di
un
lavoro
e,
allo
stesso
tempo,
di
come
questo
appartenga
ad
un
lontano
passato.
Queste
foto
vengono
spesso
usate
per
sottolineare
quanto
in
meglio
sia
cambiata
la
situazione
o,
al
massimo,
insegnarci
a
trattare
con
maggiore
rispetto
e
comprensione
gli
immigrati
che
oggi
arrivano
da
noi.
Ma
si
tratta
davvero
di
un
così
lontano
passato,
davvero
oggi
l'emigrazione
è
una
realtà
superata?
I
milioni
di
italiani
all'estero,
così
come
le
migliaia
che
ogni
anno
li
seguono,
avrebbero
forse
qualcosa
da
obbiettare.
Noi
italiani,
popolo
di
inventori
e
marinai,
da
Cristoforo
Colombo
a
Marco
Polo,
siamo
da
sempre
in
viaggio;
negli
ultimi
secoli,
però,
questo
"viaggio"
è
diventato
qualcosa
di
meno
poetico
e
molto
più
prosaico:
è
stata
la
fame
a
spingere
quelle
famiglie
sporche
e
mal
vestite
a
imbarcarsi
per
l'America,
non
certo
la
sete
di
avventura!
Negli
ultimi
140
anni
30
milioni
di
italiani
sono
emigrati
all'estero
alla
ricerca
di
un
lavoro;
essi
si
sono
imbarcati
per
gli
Usa,
l'Argentina,
il
Canada,
il
Brasile,
l'Inghilterra
o
hanno
preso
un
treno
per
la
Svizzera,
il
Belgio,
la
Germania
o la
Francia.
Poveri
e
spesso
analfabeti,
svolgevano
nel
paese
ospitante
lavori
umili
e
pesanti:
la
maggior
parte
di
loro
lavorava
in
miniere,
i
più
fortunati
in
fabbriche.
Spesso
si
facevano
seguire
dall'intera
famiglia,
moglie,
figli
e
nonni,
conservando
tenacemente
le
proprie
tradizioni
e il
proprio
dialetto,
nella
speranza,
un
giorno,
di
tornare
in
quella
che
mai
smettevano
di
considerare
la
propria
casa.
Ovviamente
non
tutti
tornarono
ma
una
buona
parte,
circa
la
metà,
fecero
ritorno
in
patria.
Il
nostro
passato
di
emigranti,
già:
il
passato.
L'insoddisfazione
del
sistema
Italia
sommati
alle
possibilità
date
dall'Europa
unita,
dall'euro
e,
non
da
ultimi,
dai
voli
low
cost
hanno
contribuito
allo
sviluppo
di
un
nuovo
fenomeno
migratorio
italiano.
Secondo
i
dati
dell'AIRE,
l'Anagrafe
degli
Italiani
Residenti
all'Estero,
oggi
sono
quasi
4
milioni
gli
italiani
residenti
all'estero
di
cui
316.572
hanno
lasciato
il
paese
tra
il
2000
e il
2010:
un'emorragia
di
circa
30mila
persone
all'anno.
Vari
sondaggi
indipendenti
però,
ne è
un
esempio
quello
de
La
Repubblica
che
ha
raggiunto
25.000
interventi
in
pochi
giorni,
mostrano
quanto
il
dato
sia
sottostimato:
solo
un
emigrato
su
due
si
iscrive
all'AIRE.
Di
conseguenza
sarebbero
circa
il
doppio,
60mila,
gli
italiani
all'anno
che
lasciano
il
paese.
Inoltre
l'Istat
ha
registrato
un
dato
interessante:
nel
2009
ben
80.597
italiani
si
sono
cancellati
dall’anagrafe
per
espatriare,
20mila
persone
in
più
rispetto
all'anno
precedente,
il
2008,
un'impennata
davvero
notevole.
E
parliamo
sempre
di
dati
ufficiali.
Ma
chi
sono
questi
nuovi
emigranti?
Il
nuovo
emigrante
italiano
ha
tra
i 25
e i
40
anni,
parte
da
solo
ed è
laureato
(anzi:
spesso
ha
più
di
una
laurea
se
non
un
master
o un
dottorato
di
ricerca).
Questo
popolo
per
lo
più
sconosciuto
al
Ministero
degli
Esteri
è
equamente
rappresentato
dai
due
sessi
(50%
maschi
e
50%
femmine)
e
guadagna
nella
nuova
nazione
molto
più
di
quanto
guadagnava
in
Italia..
ma,
soprattutto,
svolge
un
impiego
che
gli
piace,
che
gli
permette
di
mettere
in
pratica
i
propri
studi
e
trarre
soddisfazione
dal
proprio
lavoro.
Se
si
scorrono
i
numerosi
blog
degli
italiani
all'estero
o i
sondaggi
indipendenti
ci
si
rende
conto
che
i
lavori
che
questi
italiani
svolgono
sono
molto
lontani
da
quelli
dei
loro
nonni
minatori:
ingegneri,
ricercatori,
architetti,
medici,
programmatori,
chef,
manager.
Molti
sottolineano
come
all'estero
nessuno
regali
niente
o
quanto,
magari,
si
viva
meglio
in
Italia
ma,
per
quanto
dura,
nella
loro
nuova
casa
gli
sia
stata
data
una
possibilità
di
riuscire
a
realizzare
qualcosa.
Perché,
in
fondo,
in
una
nazione
dove
imperversa
la
gerontofilia
e si
è
stagisti
a
vita
avere
una
possibilità,
una
chance
almeno
potenziale,
è,
già
di
per
se,
un
miraggio.
Come
dare
torto
a
questi
cervelli
in
fuga?
Basti
leggere
gli
annunci
per
ricercatori
universitari
di
molti
paesi
europei:
una
dura
(ma
equa)
selezione
al
termine
della
quale
si
accede
ad
uno
stipendio
più
che
dignitoso;
per
lo
stesso
ruolo,
invece,
in
Italia
troviamo
un
concorso
pubblico
(non
sempre
equo)
per
accedere,
se
si è
fortunati,
ad
uno
stipendio
da
fame.
Così
se i
nostri
nonni
emigravano
per
lavoro
o
per
necessità,
i
nuovi
emigranti
nel
sondaggio
mediatico
de
La
Repubblica
affermano
di
farlo
per
scelta.
Intanto,
mentre
la
tv
italiana
li
ignora
e
molti
giornali
stranieri,
tra
cui
il
Time,
gli
dedicano
articoli,
questi
italiani
d'altrove
scrivono
blog,
sottoscrivono
un
manifesto
degli
espatriati,
osservano
con
interesse
l'Italia
più
di
molti
residenti.
Spesso
dichiarano
di
sentirsi
rifiutati
dalla
loro
patria
e
condannati
ad
un
esilio
ingiusto.
Ma,
soprattutto,
a
differenza
dei
loro
nonni,
loro
non
pensano
di
tornare
a
casa
in
futuro.
Un
tempo
l'emigrante
italiano
analfabeta
con
la
valigia
di
cartone
fuggiva
dalla
fame
e
sognava
di
tornare
a
casa.
Oggi,
su
un
volo
low
cost
e
una
laurea
in
tasca,
cerca
una
nuova
patria
che
lo
accolga
per
restarci:
in
Italia,
assicura,
tornerà
ogni
anno
per
le
vacanze.
Riferimenti
bibliografici:
Dati AIRE, Ministero degli Affari Esteri.
Statistiche del Ministero dell' Interno riguardante
gli italiani all'estero.