N. 70 - Ottobre 2013
(CI)
PATRIE GALERE
EMERGENZA TRA RETORICA E REALTà
di Massimo Manzo
L’otto
di
ottobre
il
Presidente
della
Repubblica
ha
inviato
un
lungo
messaggio
alle
Camere,
incentrato
sulla
drammatica
situazione
delle
carceri
italiane.
Prendendo
atto
della
oggettiva
inerzia
del
Parlamento
di
fronte
a
quest’emergenza,
Giorgio
Napolitano
ha
sottolineato
che
“la
stringente
necessità
di
cambiare
profondamente
la
condizione
delle
carceri
in
Italia
costituisce
non
solo
un
imperativo
giuridico
e
politico,
bensì
in
pari
tempo
un
imperativo
morale.
Le
istituzioni
e la
nostra
opinione
pubblica
non
possono
e
non
devono
scivolare
nell'insensibilità
e
nell'indifferenza”.
Il
Capo
dello
Stato
ha
posto
l’accento
sulle
possibili
misure
per
risolvere
il
problema
del
sovraffollamento
carcerario,
causa
principale
della
condizione
disumana
in
cu
vivono
oggi
i
detenuti.
Tra
queste,
la
riduzione
dell’ambito
di
applicazione
della
custodia
cautelare
(per
i
reati
meno
gravi),
il
ricorso
a
pene
alternative
alla
carcerazione
(come
ad
esempio
gli
arresti
domiciliari),
la
razionale
depenalizzazione
di
molti
reati
minori,
l’aumento
della
capienza
delle
attuali
strutture
e
ancora
politiche
dirette
a
far
sì
che
i
detenuti
stranieri
possano
espiare
la
pena
inflitta
in
Italia
nei
loro
Paesi
di
origine.
Nell’ultima
parte
del
suo
discorso,
infine,
Napolitano
suggerisce
al
Parlamento
di
“considerare
l’esigenza
di
rimedi
straordinari”(in
altri
termini
amnistia
o
indulto)
per
avere
il
tempo
di
perseguire
le
riforme
strutturali
arginando
provvisoriamente
il
fenomeno.
È
stato
proprio
quest’ultimo
passaggio
a
scatenare
la
polemica
tra
le
forze
politiche,
che
hanno
trasformato
l’intero
messaggio
del
Capo
dello
Stato
in
una
sorta
di
referendum
sull’indulto.
Prescindendo
per
un
momento
dalle
solite
baruffe
di
cui
quotidianamente
si
nutre
la
nostra
politica,
bisogna
far
presente
alcuni
dati.
Basterà
elencarne
qualcuno
per
rendersi
conto
dell’entità
del
problema
delle
carceri
in
Italia.
Secondo
il
DAP
(Dipartimento
dell’amministrazione
Penitenziaria),
nel
nostro
paese
i
detenuti
sono
64.758,
mentre
le
nostre
galere
potrebbero
accoglierne
solo
47.615.
L’indice
di
sovraffollamento
carcerario
italiano,
sulla
base
degli
studi
dell’
International
Center
for
prison
studies
(riferiti
al
2012)
è
pari
al
140,1%,
il
più
alto
in
tutta
Europa.
Primato,
questo,
che
la
dice
lunga
sul
nostro
grado
di
civiltà.
è
stata
la
stessa
Corte
Europea
dei
diritti
dell’Uomo
ad
accertare
che
in
Italia
il
sovraffollamento
è
equivalente
ad
un
“trattamento
disumano”,
cioè
alla
tortura.
Esistono
inoltre
altri
dati,
forse
meno
noti,
ma
di
sicuro
più
impressionanti.
L’Osservatorio
permanente
sulle
morti
in
carcere,
formato
dai
Radicali
(forse
l’unica
forza
politica
da
anni
attenta
alla
condizione
dei
detenuti)
e da
associazioni
come
“Antigone”
e “A
buon
diritto”,
denuncia
da
tempo
l’altissimo
numero
di
suicidi
tra
i
carcerati
e
persino
tra
gli
agenti
di
polizia
penitenziaria.
Tra
i
primi,
si
calcola
che
i
suicidi
siano
20
volte
superiori
alla
norma
(fuori
dal
carcere),
mentre
tra
i
secondi
la
media
è di
tre
volte
superiore.
I
2/3
di
queste
morti,
secondo
gli
studi
fatti,
sono
dovute
a
“fattori
ambientali”,
cioè
alla
oggettiva
invivibilità
delle
nostre
galere.
Per
intenderci
gli
Stati
Uniti,
che
hanno
una
popolazione
detenuta
di
ben
37
volte
superiore
alla
nostra,
contano
una
media
di
suicidi
di
nove
volte
inferiore
a
quella
italiana.
Tutto
ciò
non
è
inevitabile.
Gli
stessi
USA,
alla
fine
degli
anni
80,
vivevano
una
situazione
simile
alla
nostra,
fino
a
quando,
nel
1988,
non
fu
costituito
un
ufficio
incaricato
della
prevenzione
dei
suicidi
in
carcere,
che
doveva
agire
soprattutto
attraverso
la
formazione
del
personale
penitenziario.
Risultato:
oggi
i
suicidi
sono
diminuiti
dell’80%,
a
dimostrazione
dell’efficacia,
anche
a
lungo
termine,
delle
riforme
serie
adottate
su
questi
temi.
In
Italia,
invece,
le
principali
forze
politiche
non
sono
state
in
grado,
in
trent’anni,
di
rispondere
all’emergenza
carceri
se
non
emanando
“provvedimenti
straordinari”,
i
quali
non
facevano
altro
che
rimandare
la
reale
risoluzione
della
crisi.
Ultimo
esempio,
quello
dell’indulto
votato
nel
2006
dal
Parlamento.
Dopo
sette
anni
di
indifferenza,
in
cui
nessuno
ha
tentato
di
elaborare
una
riforma
organica
in
merito,
oggi
siamo
punto
e a
capo.
Le
carceri
scoppiano
e le
maggiori
forze
politiche,
malgrado
il
solito
sfoggio
di
retorica
qualunquista,
sembrano
cadere
dalle
nuvole
di
fronte
al
messaggio
di
Napolitano.
Dev’essere
il
Capo
dello
Stato
a
ricordare
al
Parlamento,
dopo
più
di
un
anno,
che
a
fine
maggio
scadrà
il
termine
datoci
dalla
Corte
di
Strasburgo
per
normalizzare
la
situazione
carceraria.
Di
fronte
all’estrema
irresponsabilità
dimostrata
dalla
classe
politica,
è
ragionevole
pensare
che
un
altro
indulto
sarebbe
l’ennesima
scusa
per
non
far
nulla,
oltre
che
un
modo
per
truffare
la
Corte
Europea.