N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
La regina e i pellegrini
Elisabetta I D'INGHILTERRA e la nascita degli Stati Uniti
di Giovanni De Notaris
Il
15
gennaio
1559
Elisabetta
I Tudor
a 25
anni
diventa
regina
d’Inghilterra.
Dal
carattere
forte
e
decisamente
protestante,
modellò
con
queste
due
doti
sia
la
sua
politica
estera
che
quella
interna.
Elisabetta
respingeva
la
religione
cattolica
perché,
nel
1533,
papa
Clemente
VII
aveva
dichiarato
nullo
il
matrimonio
tra
sua
madre,
Anna
Bolena,
e il
padre,
re
Enrico
VIII,
facendo
quindi
di
lei
una
figlia
illegittima.
Elisabetta
proseguì
quindi
sulla
via
del
distacco
dalla
chiesa
di
Roma,
alfine
di
rafforzare
non
la
chiesa
protestante,
ma
la
chiesa
d’Inghilterra,
desiderando
anche
allontanarsi
dalla
corruzione
ormai
imperante
nella
chiesa
cattolica.
Enrico
VIII
difatti
aveva
definitivamente
sciolto
i
legacci
che
lo
tenevano
incatenato
alla
chiesa
di
Roma
con
l’Act
of
Supremacy
del
1534,
creando
così
la
chiesa
anglicana
e
nominandosene
poi
capo
supremo.
Tutti
erano
obbligati
a
convertirsi
alla
religione
di
stato
e a
sottomettersi
al
re,
non
al
papa.
Chi
si
opponeva
sarebbe
stato
punito
con
il
carcere
o
con
la
morte,
come
accadde
ad
esempio
a
Thomas
More
l’anno
seguente.
Non
bisogna
però
credere
che
la
Virgin
Queen,
fosse
ferocemente
ostile
alla
religione
cattolica.
Era
possibile
professarla,
ma
senza
ostacolare
la
religione
ufficiale.
La
regina
difatti
sapeva
quanto
importanti
fossero
in
quel
periodo
storico
le
implicazioni
religiose
legate
agli
equilibri
politici
internazionali,
e
quindi
era
piuttosto
tollerante
con
tutti,
a
patto
che
mai
si
mettessero
in
dubbio
pubblicamente
le
sue
decisioni
in
materia
di
religione.
Fu
in
questo
clima,
quindi,
che
dal
1570
cominciarono
a
comparire
in
maniera
sparsa,
e in
piccoli
gruppi,
i
cosiddetti
Pellegrini.
È
necessario
però
operare
una
distinzione
tra
Pellegrini
e
Puritani.
I
primi
erano
persone
semplici
e
pacifiche
dedite
all’ascolto
della
Bibbia,
i
secondi,
al
contrario,
erano
degli
intransigenti
predicatori
che
avrebbero
dato
non
poco
filo
da
torcere
al
clero
inglese
e
quindi
alla
sua
regina.
Entrambi
ritenevano
che
la
chiesa
d’Inghilterra,
seppur
oramai
libera
dal
giogo
romano,
andasse
comunque
riformata
nei
suoi
costumi
troppo
sfarzosi,
nelle
sue
liturgie
ancora
troppo
cattoliche,
e
soprattutto
nei
suoi
legami
con
la
politica.
Ma
mentre
i
Pellegrini
desideravano
una
chiesa
fedele
unicamente
a
Dio
e
chiedevano
di
poter
esercitare
in
pace
la
propria
versione
della
fede,
i
Puritani
volevano
invece
abolire
anche
i
santi
e
perfino
il
Natale
perché
la
Bibbia
non
ne
parla,
in
quanto
invenzione
della
chiesa
cattolica,
mentre
al
contrario
Elisabetta
voleva
mantenerli.
Rifiutavano
pure
i
paramenti
sacri
e
gli
sfarzi
delle
chiese,
come
le
campane
o le
vetrate
colorate.
Con
la
loro
intransigenza
spingevano
inoltre
verso
una
chiesa
più
libera
dal
potere
politico.
Elisabetta,
che
nella
chiesa
d’Inghilterra
aveva
cercato
di
innestare
elementi
delle
diverse
confessioni
per
non
scontentare
nessuno,
ancora
tollerante,
tentò
inizialmente
di
offrirgli
dei
posti
di
potere
nella
chiesa
anglicana,
per
tenerli
a
bada,
ma
non
tutti
accettarono.
Volevano
difatti
un
cambiamento
più
che
altro
politico
dell’Inghilterra,
basato
sulla
morale
cristiana.
Sostanzialmente
non
volevano,
come
i
Pellegrini,
separarsi
dalla
chiesa
d’Inghilterra,
ma
anzi
controllarla
e
riformarla.
I
capi
più
carismatici
del
movimento
furono
il
reverendo
John
Field
e
Thomas
Wilcox,
che
nel
1572
misero
su
carta
delle
ammonizioni
a
cui
la
religione
anglicana
avrebbe
dovuto
attenersi
facendo
poi
una
proposta
al
parlamento.
E
proprio
grazie
a
Field
i
Puritani
riuscirono
a
far
riconoscere
dal
Parlamento
39
articoli
della
loro
dottrina.
Ma a
questo
punto
la
situazione
si
fece
pericolosamente
incandescente.
Scattarono
gli
arresti.
I
Puritani
erano
per
Elisabetta
una
minaccia
alla
progressiva
pacificazione
delle
diverse
religioni
in
Inghilterra.
La
regina
infatti,
fin
troppo
lungimirante
per
i
suoi
tempi,
riteneva
la
religione
un
fatto
personale,
non
pubblico,
e di
conseguenza
essa
non
doveva
influenzare
le
attività
di
governo.
Si
arrivò
così
nel
1581
all’applicazione
del
Treason
Act,
del
1570,
che
indicava
come
tradimento
il
sobillare
contro
Elisabetta
e la
sua
chiesa.
Gli
arresti
si
moltiplicarono.
E il
clima
si
fece
ancor
più
incandescente,
tanto
che
la
regina
temendo
una
destabilizzazione
sociale,
nominò
nel
1583
a
capo
della
chiesa
anglicana
l’arcivescovo
John
Whitgift,
un
vero
e
proprio
inquisitore
antipuritano.
Whitgift
sorprendentemente
riuscì
a
spaccare
il
fronte
puritano
dividendolo
in
estremisti
e
moderati.
E fu
a
questo
punto
che
entrò
in
gioco
il
Nuovo
Mondo.
All’epoca
di
Elisabetta
la
presenza
dominante
in
America
era
più
che
altro
quella
spagnola.
Ma
dopo
la
vittoria
sull’Armada
Invencible
del
re
di
Spagna
Filippo
II,
nel
1588,
e il
conseguente
indebolimento
sui
mari
della
Spagna
stessa,
gli
inglesi
decisero
di
rendere
più
evidente
la
loro
presenza
nel
Nordamerica.
La
Virginia
infatti
è
chiamata
così
proprio
in
onore
di
Elisabetta
I.
Nel
1585
vi
fu
una
prima
ondata
di
coloni,
seguita
poi
da
altre
due,
con
alterne
fortune.
Ma
il
24
marzo
del
1603
Elisabetta
morì,
lasciando
il
regno
nelle
mani
del
nipote,
lo
scozzese
Giacomo
I,
figlio
di
Maria
Stuart,
un
individuo
borioso
e
saccente,
che
seppur
in
un
primo
momento
sembrava
condividere
le
idee
puritane,
quando
la
loro
intransigenza
morale
colpì
anche
il
re,
Giacomo
capitolò,
e
cominciò
a
perseguitarli
in
maniera
più
decisa
di
quanto
avesse
fatto
sua
zia.
Di
certo
i
Puritani
erano
pericolosi,
ma
mentre
Elisabetta
aveva,
quanto
più
possibile,
cercato
una
via
al
compromesso,
Giacomo
non
accettava
invece
alcun
contradditorio.
Cominciarono
quindi
le
emigrazioni
prima
in
Olanda,
nel
1609,
poi,
dopo
aver
escluso
il
Canada
o il
Sudamerica,
si
optò
per
la
Virginia.
Nel
1619
la
Compagnia
della
Virginia,
che
gestiva
per
ordine
della
corona
gli
insediamenti
nel
Nordamerica
concesse
agli
esuli
religiosi
di
insediarsi
lì
senza
perseguitarli,
con
la
creazione
di
una
colonia
sotto
il
41°
parallelo,
che
includeva
anche
l’isola
di
Manhattan.
Il 6
settembre
dell’anno
dopo
il
vascello
Mayflower
partì
dal
porto
inglese
di
Plymouth
alla
volta
del
Nuovo
Mondo.
L’11
novembre
i
coloni
avrebbero
poi
firmato
il
“Mayflower
Compact”,
un
accordo
sulle
regole
che
la
comunità
doveva
seguire,
quasi
un
preludio
alla
costituzione
dei
futuri
Stati
Uniti.
Ma
da
qui
in
poi
comincia
tutta
un’altra
storia.
Riferimenti
Bibliografici:
Bernard
Bailyn,
Gordon
S.
Wood,
Le
origini
degli
Stati
Uniti,
il
Mulino,
Bologna
1987
Marco
Nese,
Gli
eletti
di
Dio,
Editori
Riuniti,
Roma
2006
Richard
Newbury,
Elisabetta
I,
Claudiana,
Torino
2011