Eliogabalo e il culto del Sole
Da Artaud alle testimonianze
storiche
di Alessio Guglielmini
La prima fonte di questo testo non è
propriamente storica, ma aiuta a
decifrare il senso di rottura
rappresentato dal culto eliaco
portato dall’imperatore Eliogabalo,
nato Sesto Vario Avito Bassiano, a
Roma, durante la breve stagione del
suo impero (218-222). “Eliogabalo ha
intrapreso una demoralizzazione
sistematica e allegra dello spirito
e della coscienza latini; e avrebbe
spinto all’estremo questa
sovversione del mondo latino se
avesse potuto vivere abbastanza a
lungo per condurla a buon fine”.
Queste parole si devono ad Antonin
Artaud e al suo Eliogabalo o
l’anarchico incoronato (cit. p.
110), eloquente testo del 1934 da
cui emerge tutta la spregiudicatezza
cultuale del novello imperatore di
origine siriana.
Bassiano, investito sacerdote del
dio ad appena cinque anni,
approfitta dell’abilità della madre
Giulia Soemia e della nonna Giulia
Mesa, che lo presentano ai legionari
quale figlio illegittimo di
Caracalla. Eletto imperatore a 14
anni, in contrapposizione a Macrino,
già prefetto del pretorio proprio
sotto Caracalla, Bassiano si libera
dell’antagonista e trasferisce da
Emesa, per condurla nell’urbe,
la pietra nera che incarna il dio
solare El-Gabal. Nelle vesti di
Augusto, Bassiano diventa Eliogabalo,
tutt’uno col dio.
Lo storico antico Elio Lampridio,
principale testimone di Artaud,
allude ai variegati interessi
cultuali di Bassiano, tra cui le
iniziazioni ai misteri di Cibele,
che quasi lo portano all’evirazione
sull’esempio dei galli, i sacerdoti
della dea, con trasferimento del
simbolo della Magna Mater nel
tempio del proprio dio, eretto sul
Palatino in sostituzione di quello
di Giove. La pietra nera della
Frigia, che a Roma era arrivata da
Pessinunte in età repubblicana (era
il 204 a.C.) per proteggere la
romanità dalla minaccia annibalica,
viene dunque accostata a un altro
betilo, la pietra nera che
rappresenta il dio solare di Emesa e
che, per via dei grafismi che ne
istoriano la superficie, rimanda a
un qualche sembiante antropomorfico.
Tutti i culti romani, da Jupiter
a Vesta, vengono da quel momento
fatti ricadere sotto il cappello del
nuovo idolo solare; l’immagine più
famosa è quella dell’imperatore che
segue adorante un cocchio trainato
da cavalli, e adornato di oro e
gioielli, su cui si erge l’iconica
pietra di Emesa. Augusto Cosentino (Culto
solare severiano e monoteismo
costantiniano: alcune osservazioni
metodologiche, p. 125),
rifacendosi sempre a Lampridio,
parla di “una operazione di
ingegneria religiosa”, finalizzata a
fondere non solo le istanze
greco-latine ma anche le religioni
dei giudei, dei samaritani e dei
cristiani.
Le osservazioni metodologiche, da
cui il riferimento nel titolo,
concernono lo schema interpretativo
nel quale far rientrare
l’irriverenza cultuale del giovane
Bassiano. L’ipotesi dell’enoteismo,
termine coniato da Max Müller a
proposito delle divinità vediche, in
cui una momentanea concentrazione
della propria devozione verso un
solo dio non esclude l’esistenza di
altri numi, sembra sposarsi
all’ingegneria di Eliogabalo,
laddove Peter Van Nuffelen
preferisce parlare di
“panmonoteismo” (pp. 127-128).
Fattori quali la forza della
molteplicità e la generazione di
acute tensioni tenute insieme da un
sofferto tentativo unificatore
emergono anche dalla prosa di Artaud
che nell’audace disgregazione delle
regole di Eliogabalo rinviene un
piano portato all’eccesso: “Tutta la
vita d’Eliogabalo è anarchia in
atto, poiché Elagabalus, il dio
unitario, che riunisce l’uomo e la
donna, i poli ostili, l’UNO e il
DUE, è la fine delle contraddizioni,
l’eliminazione della guerra e
dell’anarchia, ma per mezzo della
guerra, ed è anche, su questa terra
di contraddizioni e di disordine, la
messa in opera dell’anarchia. E
l’anarchia, al punto cui Eliogabalo
la spinge, è poesia realizzata.” (Eliogabalo,
cit. p. 98).
Qui si manifestano anche le urgenze
della liturgia letteraria di Artaud
che coglie nell’esperienza di
Eliogabalo un esperimento di vita
che è sia esoterico che vitalistico.
L’interesse di Artaud, come
sottolinea Albino Galvano nella
prefazione (IX-XXII), si spinge ben
oltre il decadentismo di facciata,
abbracciando problematiche di
“metafisica sacrale” (p. XI), che
vengono del resto confermate dalle
appendici pubblicate in coda
all’opera, dove Artaud indaga, pur
brevemente, “La religione del Sole
in Siria”, “Lo Zodiaco di Ram”, la
divisione simbolica tra il maschile
e il femminile nella cultura indù
(“Lo Scisma d’Irshu”), sulle tracce
dell’emblematico Fabre d’Olivet, a
sua volta cultore di dottrine
esoteriche ed occulte.
L’interesse sincero di Artaud per
simili materie non può che
fabbricare cronache di “storia e
fantastoria” (Galvano, p. XII),
sputate fuori da quel coacervo che è
la stagione incandescente di
Eliogabalo a Roma. La religiosità
carnale, orgiastica e licenziosa, di
Eliogabalo si espande in più
direzioni, tra accenni di
legittimazione politica (il primo
matrimonio con l’aristocratica
Giulia Cornelia Paula) e
sovvertimenti scandalosi delle
tradizioni romane, come le seconde
nozze con la vestale Aquilia Severa
che, in quanto tale, aveva fatto
rigoroso voto di castità.
Dione Cassio, altro storico a
supporto di Artaud, rimprovera
l’atto sacrilego e blasfemo (Eliogabalo,
p. 119). L’ambizione di far
convergere, attraverso riti
ierogamici specifici, la pluralità
degli innesti religiosi è una
costante di Eliogabalo, se l’Historia
Romana di Dione viene ripresa
anche dal Cosentino per ricordare le
nozze fatte celebrare
dall’imperatore tra il suo dio e la
romana Minerva o la cartaginese
Urania (Culto solare severiano,
p. 127). Le relazioni di Bassiano/Eliogabalo
con due uomini, Ierocle e Zotico, su
cui chiaramente si sofferma anche
Artaud, contribuiscono ad alimentare
il suo profilo pansessuale, in un
costante tentativo di riunire in sé
stesso, o attraverso
l’interpolazione con il divino,
quelli che lo scrittore francese ha,
significativamente, definito “poli
ostili”.
Più caute, regolari, anche quando
impreviste, appaiono le successive
commistioni con il culto del dio
solare siriaco, in quel secolo di
“anarchia militare” cristallizzato
dalla definizione di Michail
Rostovzev. Emesa, patria del
meteorite innalzato ai massimi
livelli da Eliogabalo, che quella
stessa pietra aveva riaccolto dopo
la sommaria eliminazione
dell’imperatore sacerdote a favore
del cugino Alessandro Severo, torna
a far parlare di sé durante la breve
salita al potere di Uranio Antonino.
I fatti si verificano nel 253, una
trentina d’anni dopo la morte di
Bassiano, allorché gli abitanti di
Emesa si difendono dall’attacco del
re Sapore e dei suoi Persiani.
Laura Mecella (A proposito di
Malala, chron. XII 26: Uranio
Antonino e i contadini di Emesa)
contestualizza le vicende riportate
dallo storico siriaco del
Cinquecento Giovanni Malala, a
proposito della coraggiosa
resistenza capeggiata dal sacerdote
di Afrodite Sampsigeramo (p. 80),
fino a far coincidere quest’ultimo
con Uranio, soprattutto in virtù
delle fonti numismatiche già
studiate da Hans Roland Baldus,
“dove a partire dalla prima serie di
tetradracmi l’imperatore è
rappresentato come incarnazione del
dio Helios” (cit. p. 89).
Questa usurpazione, secondo la
Mecella, andrebbe rapportata
all’assenza sul posto di legioni
romane che avrebbe costretto il
sacerdote di Eliogabalo (già
sacerdote di Astarte, equivalente
dell’Afrodite menzionata da Malala)
a guidare la rivolta di contadini e
soldati improvvisati contro gli
invasori persiani. Non un calcolato
piano di sovvertimento politico,
bensì un vuoto di potere che aveva
tuttavia condotto un altro emesino
alla conquista di un’autorità posta
sotto la tutela del dio solare:
“Uranio Antonino realizzava così,
come prima di lui Elagabalo,
«quell’unità di basileia e di
sacerdozio che costituiva la
peculiarità del servizio divino in
antichi santuari dell’Oriente
ellenistico».” (Mecella, cit. pp.
92-93, con riferimento alle
considerazioni di Mario Mazza in
La dinastia severiana: da Caracalla
a Severo Alessandro).
Le attestazioni numismatiche e la
cronaca di Malala vengono riprese
anche da Bruno Overlaet, A roman
emperor at Bishapur and Darabgird:
Uranius Antoninus and the black
stone of Emesa. Oltre a
tratteggiare la saga dell’usurpatore
Uranio, sempre sulla scorta del
Baldus, Overlaet recupera le
gestualità del culto di Eliogabalo/Bassiano
e altre iconografie relative alla
pietra nera, comprese le monete
fatte coniare da Caracalla. Ricorda
inoltre come Alessandro Severo fosse
stato iniziato lui stesso al culto
del dio solare, predisponendo il
rientro della pietra nera ad Emesa
dopo l’uccisione del cugino.
Lo zampino di Emesa ritorna una
ventina d’anni dopo, allorché
l’imperatore Aureliano, nel 272,
conduce una campagna militare contro
Zenobia, regina di Palmira. Gli
emesini forniscono un’alleanza
decisiva e Aureliano, prima della
battaglia, in anticipo di una
quarantina d’anni sulla visione di
Costantino nella celebre battaglia
di ponte Milvio, ammette di aver
visualizzato, in segno di buon
augurio, il dio sole venerato ad
Emesa.
La conseguente istituzione del culto
del Sol Invictus operata da
Aureliano viene indirizzata in una
traiettoria normalizzante,
riscuotendo il consenso di buona
parte degli ambienti dell’impero e
preparando il terreno
all’unificazione cultuale promossa
dallo stesso Costantino, in cui il
Sol Invictus è elemento
significativo, anche nella graduale
affermazione del cristianesimo come
religione ecumenica (Johannes
Wienand, Costantino e il Sol
Invictus). Le stravaganze di
Eliogabalo-Bassiano, i suoi eccessi
esotici ed erotici, con la
conseguente damnatio memoriae
riversata sull’eredità del suo
rapido impero, hanno evidentemente
indotto i suoi successori a
maneggiare con più prudenza le
facoltà messe a disposizione dal
culto solare del vicino Oriente.
Riferimenti bibliografici:
Antonin Artaud, Eliogabalo o
l’anarchico incoronato, Adelphi,
Milano, 2003
Augusto Cosentino, Culto solare
severiano e monoteismo
costantiniano: alcune osservazioni
metodologiche in La Chiesa
nel Tempo, Rivista trimestrale
di cultura cattolica, Anno XXIX, N.
1-2/2013, pp. 119-132, Laruffa
Editore, Reggio Calabria, 2013
Laura Mecella, A proposito di
Malala, chron. XII 26: Uranio
Antonino e i contadini di Emesa
in Bizantinistica – Rivista di
Studi Bizantini e Slavi, pp.
79-109, Serie Seconda, Anno XI,
2009, Fondazione Centro Italiano di
studi sull’Alto Medioevo, Spoleto,
2009
Bruno Overlaet,
A roman
emperor at Bishapur and Darabgird,
Uranius Antoninus and the black
stone of Emesa,
in
Iranica Antiqua,
vol. XLIV, pp. 461-530, 2009
Johannes Wienand, Costantino e il
Sol Invictus in Costantino
I-Enciclopedia costantiniana sulla
figura e l’immagine dell’imperatore
del cosiddetto Editto di Milano
313-2013, Volume primo, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, Roma,
2013