Una vittoria "di misura"
erdogan e un'opposizione che guadagna
terreno
di Leila Tavi
Le elezioni presidenziali in Turchia
hanno confermato Recep Tayyip
Erdoğan a guida del Paese. Allo
stesso tempo si sono svolte le
politiche per il rinnovo del
Meclis, l’organo
parlamentare unicamerale, che hanno
assicurato al partito di governo, l’AKP
(Adalet ve Kalkınma Partisi), il
35.61%, con una perdita di 27
seggi rispetto alle precedenti
elezioni del 2018 e ottenendo il
peggior risultato dal 2002.
Guadagna invece consensi e seggi
parlamentari il partito di
opposizione, il CHP
(Cumhuriyet Halk Partisi), che
registra il 25.33% dei voti,
con un incremento di 23 seggi
rispetto al 2018.
Nel complesso hanno partecipato
ventiquattro partiti politici alle
elezioni del 2023. Tra le alleanze
ricordiamo quella dell’AKP con l’MHP
(Milliyetçi Hareket Partisi), il
partito nazionalista che ha ottenuto
il 10.07% dei consensi, con
un incremento di un solo seggio
parlamentare e che, insieme a quello
di Erdoğan, forma l’Alleanza
Nazionale (Cumhur İttifakı), a
cui hanno aderito anche il BBP
(Büyük Birlik Partisi), il partito
di destra estrema con orientamento
sunnita e ultranazionalista, e l’YRP
(Yeniden Refah Partisi), il
partito islamico, ricostituito ex
novo dopo il divieto del 1998, e che
ha ottenuto ora il 2.84%.
All’opposizione il CHP ha guidato
una coalizione con altri cinque
partiti: l’IYI (İyi Parti),
partito nazionalista e kemalista,
che ha ottenuto il 9.69%,
confermando il risultato ottenuto
nel 2018; il SAADET (Saadet
Partisi); il DP (Demokrat
Parti), di matrice islamica;
inoltre, hanno aderito alla
coalizione di sinstra altri due
partiti guidati da ex politici di
alto livello dell'AKP, ovvero il
DEVA (Demokrasi ve Atılım
Partisi) dell'ex ministro
dell'Economia Ali Babacan,
con quindici seggi ottenuti, e il
GP (Gelecek Partisi) dell'ex
primo ministro Ahmet Davutoğlu,
che ha ottenuto dieci seggi.
La partecipazione di questi due
ultimi partiti fondati da ex membri
dell’AKP ed esponenti di punta del
governo ha suscitato polemiche e
dissensi in seno alla coalizione a
guida CHP, anche per la candidatura
di Sadullah Ergin, che ha
concorso per DEVA e che è stato tra
i fondatori dell’AKP nell’agosto del
2001. Ergin è stato criticato per il
suo ruolo di ministro della
Giustizia nel 2009, durante il
secondo mandato di Erdoğan, per aver
partecipato alla caccia ai membri
della cosiddetta cospirazione
Ergenekon.
I processi Ergenekon, o cospirazione
Ergenekon, sono stati una serie di
processi di alto profilo che si sono
svolti dal 2008 al 2016 in Turchia,
in cui 275 persone, tra cui
ufficiali militari, giornalisti e
legislatori dell'opposizione, tutti
presunti membri di Ergenekon, una
sospetta organizzazione clandestina
laica, sono stati accusati di aver
complottato contro il governo turco.
I processi hanno portato a lunghe
pene detentive per la maggior parte
degli imputati. Tali sentenze sono
state annullate poco dopo. Ergin è
stato inoltre implicato in un caso
di corruzione nel 2013. Nei
confronti dell'AKP sono state mosse,
invece, critiche per aver schierato
come candidati membri dell’HÜDA
PAR (Hür Dava Partisi), un
partito noto per i suoi legami con
gli Hezbollah curdi.
La novità di queste politiche che si
sono svolte il 14 maggio 2023,
insieme al primo turno delle
presidenziali, è stata l’abbassamento
della soglia elettorale per
entrare in Parlamento dal 10% al 7%.
Si tratta del primo abbassamento da
quando, nel 1980, la giunta militare
che prese il potere dopo il colpo di
Stato del 1980 stabilì il 10%. La
soglia vale soltanto per i partiti e
non per i candidati indipendenti. I
600 membri della Grande Assemblea
Nazionale della Turchia sono stati
eletti con il metodo D'Hondt in 87
distretti elettorali. Grazie a
questa riforma per la prima volta in
Parlamento siedono per questa
legislatura sette partiti.
Fonte Wikipedia
I membri entranti hanno formato il
28° Parlamento della Turchia.
Le elezioni erano state inizialmente
programmate per il 18 giugno, ma il
governo le ha anticipate di un mese
per evitare la coincidenza con gli
esami universitari, con il
pellegrinaggio Hajj e con l'inizio
delle vacanze estive
Per quanto riguarda, invece, le
presidenziali, per la prima volta
nella storia della Turchia si è
svolto un ballottaggio, in cui
Kemal Kılıçdaroğlu, candidato
del CHP ed economista, ha sfidato
Erdoğan, ottenendo il 47.82% dei
voti.
Le aspettative dell’opposizione
sulle presidenziali 2023 erano molto
alte. Özgür Özel,
vicepresidente del gruppo del CHP,
durante la conferenza stampa che è
seguita all’insediamento del nuovo
Parlamento, ha annunciato il 30
maggio che il suo partito eleggerà i
nuovi vicepresidenti del gruppo e
determinerà e annuncerà una nuova
road map. Queste le sue parole: “«Nessuno
deve credere che continueremo a fare
politica come se nulla fosse
accaduto».
Il politico, che ha lavorato a
stretto contatto con Kemal
Kılıçdaroğlu prima e durante le
elezioni a doppio turno, ha
dichiarato, inoltre, che valuterà i
risultati delle elezioni:
«Abbiamo
lasciato questo parlamento credendo
che Kemal Kılıçdaroğlu sarebbe
diventato il prossimo presidente, ma
i risultati elettorali non lo hanno
rispecchiato».
Fonte Wikipedia
Rispetto alle elezioni del 2018, il
candidato del CHP, principale
partito di opposizione, ha
guadagnato terreno, conquistando
quasi il 17% in più rispetto a
Muharrem İnce, che fu scelto
come leader dei socialdemocratici
nelle precedenti presidenziali.
Interessante sottolineare che i
residenti di nazionalità turca in
Italia hanno votato in maggioranza
sia per il CHP che per il candidato
dell’opposizione. L'affluenza alle
urne in Italia è stata del 50,5%,
per un totale di circa dieci
cittadini votanti, un numero
ristretto, ma in controtendenza
rispetto alle principali comunità di
nazionalità turca all’estero.
L'attuale presidente turco ha
ottenuto in Italia circa il 24% dei
voti, superato dal leader del CHP
che, invece, è stato il più votato
con il 73,9%. Il voto italiano
contrasta con quanto riportato
dall'agenzia di stampa turca
Anadolu, secondo cui sono
stati soprattutto i cittadini turchi
residenti all'estero a sostenere
Erdoğan, con un'affluenza media alle
urne di oltre l'87% degli aventi
diritto sia per le elezioni
parlamentari che per quelle
presidenziali. In Germania,
ad esempio, dove vive la più grande
comunità turca all’estero, con tre
milioni di residenti, il tasso di
affluenza alle urne è stato del 65%.
Erdoğan ha riportato una larga
vittoria con il 65% (465 voti),
mentre Kilicdaroglu è rimasto al
33%. Inoltre, un ampio margine di
vantaggio per il presidente turco è
stato registrato in Belgio, Austria
(in entrambi i Paesi ha votato il
72% degli aventi diritto, con
rispettivamente 62 e 43 voti a
favore di Erdogan), Paesi Bassi
(tasso di affluenza del 69% e ben 99
voti) e Francia (tasso di affluenza
del 62%, 104 voti per il leader
dell'AKP): questi Paesi hanno
portato a Erdoğan un totale di circa
800 voti. Nelle comunità turche di
Regno Unito, Svizzera, Canada e
Stati Uniti, Kilicdaroglu ha
prevalso, ottenendo però soltanto
117 voti complessivi. Da notare
anche che gli Emirati Arabi Uniti
sono stati l'unico Paese arabo in
cui il più votato non è stato
Erdogan, ma il candidato del CHP con
il 66,87% delle preferenze.
Strategica è stata la decisione da
parte del CHP, quest'anno, di
affidarsi a un economista,
considerata la grave situazione
economica e finanziaria in cui versa
la Turchia. La lira turca è,
infatti, da un decennio in continuo
calo, con il cambio tra lira turca e
dollaro che si è attestato a un
rapporto di oltre 20 a 1. Questo
rapporto sfavorevole sta
danneggiando le esportazioni.
Fonte
Ex
L’inflazione galoppante
potrebbe, poi, far sprofondare la
Turchia in una profonda crisi
economica. Questo pericolo
spiegherebbe la mancanza di fiducia
di quasi la metà dei votanti alle
ultime elezioni, che vedono
nell’autocratismo e nella mancanza
di un vera economia di mercato la
causa dell’instabilità della
Turchia. Nella storia recente la
Turchia ha vissuto periodi di
inflazione elevata. Negli anni
Novanta e nei primi anni Duemila,
i tassi di inflazione in Turchia
si sono attestati spesso su valori a
due cifre, raggiungendo a volte
livelli estremamente elevati.
Tuttavia il Paese ha compiuto
progressi significativi nella
riduzione dell'inflazione, grazie a
diverse riforme economiche, che
hanno portato, però, a un totale
controllo dei mercati da parte
dell’autorità governativa. Tra il
2003 e il 2020, il governo turco ha
attuato diverse misure per
controllare l'inflazione, tra
cui la disciplina fiscale, la
stretta politica monetaria e le
riforme strutturali. Di conseguenza,
l'inflazione in Turchia è diminuita
significativamente e il Paese ha
goduto di un periodo di inflazione
relativamente bassa rispetto al
passato. Tuttavia, a partire dal
2018, la Turchia ha registrato una
ripresa dell'inflazione, proprio
perché le misure adottate non sono
state prese in regime di mercato
libero. A questo aumento hanno
contribuito diversi fattori, tra
cui, come già spiegato, un
significativo deprezzamento della
lira turca, l'aumento dei prezzi
delle materie prime, che ha
raggiunto l’80%, e gli squilibri
economici. Anche la pandemia
COVID-19 ha avuto un impatto
sull'economia turca, aggiungendo
ulteriori sfide.
L’inflazione porta all’erosione
dei redditi, con conseguente
malcontento da parte dei cittadini
che appartengono alle fasce meno
abbienti e pericolo di esposizione a
shock sul sistema economico.
Fonte
IMF
La missione del Fonde Monetario
Internazionale in Turchia del
novembre 2022, guidata da Donal
McGettigan, ha evidenziato come
i tagli dei tassi operati dal
governo alla fine del 2021 hanno
aumentato le vulnerabilità esistenti
e sono stati seguiti da un
deprezzamento della lira e da
un'inflazione elevata. Le pressioni
sulla lira sono state alleviate da
interventi sul cambio, da un nuovo
sistema di depositi “protetti dal
cambio” e, in tempi più recenti, da
una serie di misure macroprudenziali
e normative per contenere la
crescita del credito. La guerra in
Ucraina ha accentuato le tensioni
economiche, soprattutto a causa
dell'aumento dei prezzi delle
importazioni di energia.
Per affrontare le sfide della
Turchia, la missione ha raccomandato
un rapido aumento dei tassi di
interesse, accompagnato da misure
volte a rafforzare l'indipendenza
della banca centrale. Tali misure
contribuirebbero a ridurre
l'inflazione in modo più duraturo e
consentirebbero di ricostruire le
riserve nel tempo. Anche una
politica fiscale rigorosa
sarebbe d'aiuto, visti i crescenti
rischi fiscali e l'alta inflazione,
con la previsione di un'assistenza
mirata alle persone vulnerabili. Se
queste politiche venissero attuate e
la disinflazione prendesse piede, le
misure macroprudenziali e normative,
compresi i depositi protetti da
valuta estera, dovrebbero essere
gradualmente eliminate, in modo che
lo Stato svolga un ruolo minore nei
mercati finanziari e
nell'allocazione del credito.
Il settore privato è quello che
traina l’economia e tra questi
professionisti la fiducia nei
confronti di Erdoğan è venuta meno
alla vigilia del suo terzo mandato,
perché il peso dell’autocrazia sulle
scelte economiche è diventato
insostenibile. A essere messe in
discussione sono state le bizzarre
politiche finanziarie. Di recente il
Presidente turco ha annunciato di
voler incaricare un ministro delle
Finanze di grande esperienza.
Molto probabilmente non sarà,
perciò, confermato Nureddin
Nebati, in carica per lungo
tempo tra il 2011 e il 2018, e al
suo secondo mandato dal 2021 fino
alle elezioni. Il papabile candidato
è un esperto molto stimato in
Occidente, Mehmet Simsek, che
ha già ricoperto questo ruolo in
passato. Nel 2015, con gli
investitori sempre più nervosi per
le idee economiche poco ortodosse di
Erdoğan, l'ex banchiere di Wall
Street è stato nominato vice primo
ministro nel tentativo di
rassicurare i mercati. A Simsek è
stato riconosciuto il merito di aver
mantenuto una ferrea disciplina
fiscale come ministro delle Finanze
tra il 2009 e il 2015. La sua
precedente esperienza come banchiere
presso UBS a Wall Street e Merrill
Lynch a Londra gli dovrebbe
assicurare la fiducia da parte degli
investitori stranieri.
Il ruolo dell’esperto di finanza
internazionale in passato non è mai
stato chiaro e le sue responsabilità
sono state sempre limitate, mentre
le decisioni importanti in
materia di politica monetaria e
fiscale sono sempre state prese da
fedelissimi del premier, che ha
voluto che si abbassassero i tassi
di interesse per contrastare
l'inflazione, senza ottenere
successi nel lungo periodo. Quando,
nel 2018, sono state abolite le
cariche di primo ministro e vice
primo ministro, Erdoğan non si è
preoccupato di trovare a Simsek un
nuovo ruolo nel governo, che durante
gli anni al governo ha perso parte
della sua credibilità come pensatore
indipendente.
Gli elettori che hanno confermato la
fiducia a Erdoğan lo hanno fatto,
oltre per avere una stabilità
politica all’indomani del terribile
terremoto che ha sconvolto i
territori siriani e turchi, per il
ruolo che la Turchia ha ottenuto
come Paese a livello internazionale
in politica estera, nel commercio e
come potenza militare. Nello
specifico, in politica estera,
attesa è la decisione riguardo all’entrata
della Svezia nella NATO, sui cui
la Turchia ha posto un pesante veto,
come membro della NATO di importanza
strategica per la sua posizione
geografica, sia in Medio Oriente sia
in Europa, e seconda potenza
militare dell'alleanza. La Turchia
contesta alla Svezia, in primis, di
permettere ai membri del PKK di
agire indisturbati in suolo svedese,
anche se la Svezia ha di recente
modificato la legge sul terrorismo,
vietando esplicitamente il PKK
(Partîya Karkerén Kurdîstan).
Un grave incidente diplomatico in
questa vicenda è stato l’episodio
che ha visto una bandiera curda
proiettata sulla facciata esterna
del Parlamento a Stoccolma subito
dopo l’annuncio ufficiale della
rielezione Erdoğan. A peggiorare la
situazione è l’accusa da parte di
Ankara che il governo svedese sia
stato complice delle proteste
dell'estrema destra in cui sono
state bruciate copie del Corano
fuori dall'ambasciata turca a
Stoccolma.
Inoltre il rapporto controverso tra
Erdoğan e Putin, che da anni ha
degli alti e bassi, potrebbe
compromettere le relazioni
diplomatiche con i Paesi
dell’Occidente. Nonostante la
dichiarazione rilasciata alla CNN da
parte del Presidente turco poco
prima della sua rielezione, in cui
ha sostenuto di avere una relazione
speciale con il Presidente russo,
non è scontata la posizione che
prenderà la Turchia rispetto alla
Russia e al conflitto in Ucraina. La
mancata adesione della Svezia l’11
luglio prossimo significherebbe un
indebolimento della NATO agli occhi
non soltanto della Russia, ma della
Cina e della Corea del Nord.
Incontro tra il presidente russo
Vladimir Putin e il presidente turco
Recep Tayyip Erdoğan
dopo la cerimonia di inaugurazione
del tratto offshore del gasdotto
TurkStream nel padiglione Mabeyn,
Istanbul, Turchia. Data 19 novembre
2018.
Fonte Sito ufficiale del Presidente
della Federazione Russa
Il Presidente turco potrebbe
continuare a far mantenere al suo
Paese il ruolo di ago della bilancia
a livello internazionale, avendo la
Turchia un ruolo strategico nella
questione siriana, in cui Erdoğan
cerca di mantenere in Siria la
stabilità politica, di tenere sotto
controllo i terroristi e di ridurre
l'influenza dell'Iran e della
Russia. La Turchia ha di recente
stipulato un accordo con l'Unione
Europea che prevede l’erogazione di
6 miliardi di euro ad Ankara in
cambio dell'accoglienza da parte
della Turchia dei rifugiati siriani
in viaggio verso l'Europa.
Fintanto che ci sarà la crisi
umanitaria in Siria, Erdoğan potrà
tenere sotto scacco Bruxelles,
rilasciando alle frontiere con
l'Europa un flusso incontrollato di
rifugiati.