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N. 90 - Giugno 2015 (CXXI)

TURCHia, ELEZIONI 2015
AFFERMAZIONE CURDA E SCONFITTA DI ERDOGAN

di Filippo Petrocelli

 

Per la prima volta nella storia un partito curdo, il Partito Democratico del Popolo (Hdp) supera il rigido sbarramento del 10% ed entra nel parlamento turco. Erdogan invece perde la maggioranza assoluta dei seggi dopo 13 anni di sultanato incontrastato. In sostanza potrebbero essere riassunti così i dati salienti della tornata elettorale di queste elezioni di inizio giugno al di là del Bosforo. Ma ci sarebbero una serie di imprecisioni e non di piccolo conto, in questa estrema sintesi.

 

Intanto l’errore più grande sarebbe quella di definire come una “sconfitta” epocale la battuta d’arresto di Erdogan: queste votazioni sanciscono sì un forte arretramento per il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) – un calo del 10% rispetto al 2011 – che resta però saldamente la principale forza della scena politica, anche senza la maggioranza assoluta.

 

Il partito del presidente ha ottenuto infatti il 40% con 260 seggi mentre il suo avverso principale, il Partito Repubblicano del Popolo (Chp) kemalista e di centrosinistra (sebbene in Turchia le categorie politiche siano dai confini labili) si è attestato intorno al 25% conquistando 131 seggi, e la destra nazionalista del Milliyetçi Hareket Partisi (Mhp) ha conquistato il 16,5% dei voti scrutinati.

 

Piuttosto che una bocciatura senza appello quindi, sarebbe più corretto parlare di crescente opposizione della società turca al progetto di riforma costituzionale – quello di fare del paese una repubblica presidenziale – lungamente caldeggiato e sognato dal presidente uscente, che intendeva usare questa tornata elettorale come un plebiscito per intraprendere grandi cambiamenti.

 

Un altro errore però sarebbe quello di considerare l’affermazione elettorale del Hdp che in turco si chiama Halkların Demokratik Partisi, come la vittoria di un partito solo “curdo”. Hdp infatti è riuscito ad aprirsi alle altre minoranze del paese (armeni, assiri, aleviti) e a superare le diverse posizioni esistenti all’interno del mondo politico curdo, ma anche a intercettare il movimento e lo spirito di Gezi Park, nonché attrarre un’ampia schiera di delusi elettori della sinistra turca, schiacciata fra impotenza e marginalismo.

 

Insomma qualcosa di più di un semplice partito dei “turchi di montagna”, come in modo dispregiativo viene chiamata dai nazionalisti turchi la minoranza curda, quanto piuttosto un movimento-ponte capace di unire le diverse sacche di resistenza alla politica assolutista del moderno sultano Erdogan, così da raggiungere oltre il 12% dei consensi pari a 82 seggi.

 

Proprio in diverse interviste rese alla stampa “occidentale”, Selahattin Demirtaş, leader del Hdp, ha evocato lo spirito di Gezi Park e la rivolta scoppiata nel 2013 contro le politiche autoritarie e speculative del governo Erdogan. Proprio questo giovane avvocato quarantenne primo vero leader politico curdo dopo Ocalan, ha saputo traghettare il Hdp verso un’affermazione di massa, facendolo uscire dal perimetro strettamente curdo. È quindi su di lui che risiedono molte responsabilità di questa vittoria.

 

Il Hdp nasce come evoluzione del Partito della Pace e della Democrazia (Bdp) a sua volta sviluppatosi dall’esperienza del Partito della Società Democratica (Dtp) e del suo predecessore il Partito democratico del popolo (Dehap): tutti partiti politici (ad eccezione del Bdp) messi fuori legge per rapporti con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e i cui militanti sono  spesso stati messi in carcere e perseguitati. Perché le autorità di Ankara hanno sempre considerato i partiti curdi come l’espressione “politica” del Pkk, la cinghia di trasmissione fra  guerriglia e società civile.

 

Il 5 giugno a Diyarbakir, capitale “informale” del Kurdistan turco, durante il comizio conclusivo del Hdp alla vigilia delle elezioni, due bombe hanno cercato di diffondere il terrore uccidendo cinque persone. Ma il sangue freddo dimostrato dalla leadership del partito che non si è lasciato trascinare in una guerra fra bande ha reso possibile il trionfo dei giorni successivi.

 

Il “sangue freddo” se così possiamo chiamarlo, sembra il più grande alleato del partito, in un momento in cui la situazione politica appare in stallo e gli scenari futuri sono confusi.

 

Erdogan temporeggia perché nessun partito di opposizione sembra interessato a formare un governo di coalizione, e le uniche due alternative sono un governo di minoranza con appoggio esterno o subito nuove elezioni.

 

Quello che è sicuro però, è che la vera sfida per il Hdp e per Selahattin Demirtaş comincia ora; e chissà se il processo di pace fra Turchia e Pkk non potrà godere di questo grande successo elettorale e della conseguente debolezza del “sultano”.



 

 

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