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N. 21 - Febbraio 2007

LE ELEZIONI POLITICHE IN SERBIA

I risultati

di Leila Tavi

 

Le elezioni politiche in Serbia si sono svolte senza scontri o irregolarità il 21 gennaio scorso.

 

I funzionari dell’OSCE si sono dichiarati soddisfatti dello svolgimento pacifico delle operazioni elettorali nei seggi.

 

Adesso più che mai, però, la Serbia ha bisogno di guardare all’Europa.

 

Allo stesso tempo le istituzioni europee hanno capito che è necessario trovare un accordo negoziale con la Serbia in tempi brevi sul futuro del Kosovo.

 

L’orientamento dell’inviato delle Nazioni Unite per il Kosovo, Martthi Ahtisaari, dalla Conferenza di Vienna di quest’estate alla vigilia delle elezioni, è sempre stato quello di concedere l’indipendenza alla regione.

 

Il processo di indipendenza sembrava alla conclusione della Conferenza di Vienna ormai irreversibile.

 

La situazione è mutata invece in pochi mesi.

 

La posizione di Ahtisaari è stata fortemente contrastata dalla Russia, che ha sin dall’inizio supportato le richieste della Serbia di mantenere integro il proprio territorio e che ha dichiarato alla fine di gennaio di voler porre un veto alla risoluzione dell’ONU sul Kosovo, se la richiesta da parte degli osservatori rimarrà quella di garantire alla regione l’indipendenza.

 

Konstantin Kosachev, a capo della delegazione russa nel Consiglio d’Europa (PACE), ha recentemente dichiarato che la Russia è sfavorevole a qualsiasi menomazione dell’integrità territoriale dello Stato serbo.

 

La Russia dimostra di voler riprendere il suo ruolo di potenza antagonista agli Stati Uniti d’America in un bipolarismo di transizione basato, per il momento, sulla sfida alle risorse economiche.

 

La posizione russa sulla questione kosovara ha fatto improvvisamente mutare l’orientamento dei singoli paesi all’interno dell’UE; i paesi europei economicamente dipendenti dalla Russia hanno subito ritrattato le loro posizioni circa l’indipendenza al Kosovo.

 

Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato che la Germania farà, durante il suo semestre di presidenza europea, della questione kosovara una priorità.

 

Secondo la Merkel la decisione sullo status del Kosovo dovrà soddisfare la domanda di una maggiore autonomia dell’etnia albanese, il 90% della popolazione in Kosovo, ma senza affievolire la democrazia in Serbia.

 

Sul fronte interno l’approvazione della nuova Costituzione ha ribadito la volontà del popolo serbo a mantenere la sua unità.

 

La Carta costituzionale è stata approvata con il 53,04% dei voti, a seguito di una consultazione referendaria del 28 e 29 ottobre 2006, e ha sostituito la precedente Legge fondamentale promulgata nel 1990 sotto il regime di Slobodan Milošević.

 

La partecipazione al referendum sulla Costituzione è stato del 96%, solo i serbi di etnia albanese hanno boicottato il suffragio.

 

La maggior parte dei Serbi considera il Kosovo come parte integrante della nazione e il timore che una decisione della comunità internazionale potesse essere loro “imposta” senza possibilità di negoziazione ha acuito le spinte nazionaliste all’interno della Serbia.

 

La reazione di nazionalismo interna ha nettamente favorito i radicali, che hanno sfruttato, attraverso una compagna elettorale populista, il malcontento dei Serbi.

 

I risultati elettorali hanno confermato, senza colpi di scena, il consenso popolare degli ultranazionalisti del Partito radicale (SRS) Tomislav Nikolić con il 28,7% dei voti per 81 seggi e un incremento di 1,1 punti.

 

I radicali non hanno raggiunto, però, la maggioranza assoluta per poter governare.

 

Il partito del presidente Boris Tadić (DS) ha ottenuto il 22,9% con 65 seggi e un incremento di 10,3 punti, mentre il Partito democratico della Serbia (DSS) del premier Vojislav Kostunica ha raggiunto il terzo posto con il 16,7% per 16 seggi e un decremento di un punto rispetto alle precedenti politiche.  

 

Tra gli altri partiti che hanno superato la soglia dello sbarramento del 5% G17 Plus (anche detto Partito degli esperti), guidato dall’ex Ministro delle finanze Mlađan Dinkić e formato da vari membri della coalizione uscente, ha ottenuto il 6,8% con 19 seggi e un decremento di 4,7 punti; SPS, formazione dell’ex presidente Milošević, attualmente capeggiato da Ivica Dačić, ha ottenuto il 5,9%, con un decremento di 1,7 punti; infine LDP ha conseguito il 5,3% con 15 seggi.

 

Inoltre hanno ottenuto altri seggi quattro partiti delle minoranze: la Lega della Vojvodina-Ungheria con 3 seggi, il partito dell’Azione democratica con 2 seggi, l’Unione dei Rom di Serbia e il Partito dei Rom, rispettivamente con un seggio ciascuno.

 

Nessuno dei maggiori partiti in Serbia è favorevole all’indipendenza del Kosovo.

 

La partecipazione alle elezioni ha raggiunto il 63% degli aventi diritto al voto, con un incremento di 3,3 punti rispetto alle elezioni legislative del 28 dicembre 2003.

 

Tra i tre partiti con il maggior consenso ci sono due chiari schieramenti: da una parte i radicali antieuropei e dall’altra i due maggiori partiti europeisti della Serbia, DS e DSS.

 

Tra gli europeisti il partito dei DS si caratterizza per essere vicino alle compagine socialdemocratica europea, mentre quello dei DSS è connotato da una chiara matrice cristiano-ortodossa, che ancora è legata al mito di una “grande Serbia”.

 

Una coalizione tra DS e DSS e G17 Plus, un altro partito europeista, garantirebbe una, se pur fievole, maggioranza; i radicali hanno dichiarato, invece, di non voler governare all’interno di una coalizione e, comunque, ad eccezione dei Socialisti di Milošević, nessun altro partito serbo accetterebbe Nikolić come primo Ministro.

 

Secondo la nuova Costituzione il governo dovrà essere formato entro 90 giorni dalla costituzione del nuovo Parlamento; se ciò non avverrà saranno indette nuove elezioni.

 

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