N. 16 - Settembre 2006
ELEONORA
D'ARBOREA
Una donna
stratega a capo della Sardegna
di
Tiziana Bagnato
Esile nella corporatura quanto energica e vigorosa nel
carattere, Eleonora D’Arborea, nobildonna sarda, portò
con la storia di cui lei stessa si volle rendere
protagonista, un vero e proprio cono di luce sulla
capacità delle donne di essere strateghe.
Quella che da tutti è ricordata come la “giudichessa”
nacque in Catalogna intorno al 1340 da Mariano de Bas
– Serra e da Timbra di Roccabertì ed ebbe due
fratelli, Ugone e Beatrice. La sua vita si svolse e
riguardò la Sardegna dove nel 1347 il padre Mariano
venne nominato giudice dalla Corona de Logu, assemblea
dei notabili, prelati e funzionari delle città e dei
villaggi dell’isola.
Prima della morte del padre, Eleonora aveva sposato
Brancaleone Doria, un matrimonio dettato dall’esigenza
di creare un’alleanza tra gli Arborea e i Doria da
frapporre agli Aragonesi. Dal matrimonio nacquero due
figli: Federico e Mariano.
Nel
1382 Eleonora prestò 4000 fiorini d’oro a Nicolò
Guarco, doge della Repubblica di Genova, il quale si
impegnò a restituirli entro dieci anni; in caso
contrario il doge avrebbe dovuto non solo pagare il
doppio della somma che gli era stata prestata ma anche
concedere sua figlia Bianchina al figlio di Eleonora,
Federico. Il prestito di una tale ed ingente somma di
denaro ad una delle più potenti famiglie di Genova e
le clausole del contratto, erano già segni del disegno
dinastico che la futura giudichessa aveva in mente.
Inoltre, accordando quel credito, Eleonora intendeva
mantenere alto il prestigio della sua famiglia,
riconoscere l'importanza degli interessi liguri e
assicurarsi un collegamento, mediante la rete delle
loro navi, con tutti i porti del mediterraneo. In
sostanza Eleonora D’Arborea con questo passo entrò
alla pari nel gioco della politica europea.
Quando il fratello Ugone III, che era a capo del
giudicato, si ammalò si profilò il problema della
successione ed Eleonora si rivolse al re d’Aragona
perché sostenesse suo figlio piuttosto che il visconte
di Barbona, vedovo di sua sorella Beatrice. A trattare
con il re inviò il marito Brancaleone, il quale però
venne trattenuto dal re che ne fece un ostaggio e uno
strumento di pressione contro Eleonora.
Il
disegno di Eleonora, che gli spagnoli avevano intuito,
era quello di riunire nelle mani del figlio due terzi
della Sardegna che Ugone aveva occupato. Così il re
non ritenendo opportuno avere una famiglia tanto
potente nel suo regno, tanto più che non essendoci
erede diretto maschio di Ugone quei possedimenti,
secondo la "iuxta morem italicum", avrebbero dovuto
essere incamerati dal fisco, trattenne Brancaleone col
pretesto di farlo rientrare in Sardegna non appena una
flotta fosse stata pronta.
Ma
la risposta di Eleonora non si fece attendere. La
donna punì i congiurati e si proclamò giudichessa di
Arborea secondo l'antico diritto regio sardo, per cui
le donne possono succedere sul trono al loro padre o
al loro fratello.
Nella prassi e negli orientamenti di governo la
giudichessa si riallacciò direttamente all'esperienza
del padre abbandonando definitivamente la politica
antiautoritaria del fratello Ugone III. Punti
nevralgici della suo governo furono la difesa della
sovranità e dei confini territoriali del giudicato e,
infine, l'opera di riordino e di sistemazione
definitiva degli ordinamenti e degli istituti
giuridici locali che diede vita alla Carta de Logu.
La
Carta de Logu fu il fiore all’occhiello della politica
di Eleonora d’Arborea e fu definita come un
distillato di modernità e saggezza. Nel reagire ai
tentativi di infeudazione aragonese, Eleonora emanò,
infatti, una nuova disciplina giuridica nei propri
territori, i quali erano in uno stato di perenne
agitazione politica.
Tale
legislazione non era episodica o sporadica ma era la
componente di una più vasta politica intesa allo
sviluppo dello stato degli Arborea. Tra le norme più
importanti sono da citare quelle che salvavano dalla
confisca “i beni della moglie e dei figli,
incolpevoli, del traditore” , i quali secondo quanto
disposto dal parlamento aragonese del 1355,
diventavano servi del signore della terra.
Inoltre la giudichessa inserì anche una norma che
permetteva il matrimonio riparatore alla violenza
carnale subita da una nubile solo qualora la giovane
fosse stata consenziente. Altri esempi della portata
innovativa della carta sono la contemplazione del
reato di omissione di atti d'ufficio, la parità del
trattamento dello straniero a condizione di
reciprocità, ed il controllo, attraverso "boni homines"
delle successioni"ab intestatio" in presenza di
minori.
Dopo
essere riuscita a completare il progetto del padre di
riunire quasi tutta l'isola sotto il suo scettro di
giudichessa reggente, tenendo in scacco e ricacciando
ai margini dell'Isola, in alcune fortezze sulla costa,
gli aragonesi, Eleonora vide crollare il suo progetto
per un’imprevedibile incognita della sorte: la peste,
che consegnò, senza combattere, la Sardegna agli
Aragonesi. |