N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
La battaglia di El Alamein
L’illusione della Blitzkrieg e le strategie di
Governance militare – Parte I
di Norberto Soldano
Ad
El
Alamein,
in
Egitto,
si
svolse,
fra
l’estate
e
l’autunno
del
1942,
una
cruenta
battaglia,
divenuta
poi
storica
in
quanto
decisiva
per
le
sorti
del
conflitto
nella
Seconda
Guerra
Mondiale.
Lo
scontro
vide
opporsi
lo
schieramento
italo-tedesco
comandato
dal
feldmaresciallo
Erwin
Rommel
e
quello
britannico
del
generale
Bernard
Law
Montgomery.
Nel
corso
di
questa
battaglia,
per
la
prima
volta
dall’inizio
del
conflitto
mondiale,
le
forze
dell’Asse
subirono
una
battuta
d’arresto.
Alla
fine
del
1942,
tre
sanguinose
battaglie
segnarono
una
vera
e
propria
svolta
nella
storia
della
guerra:
la
più
importante
di
queste
fu
combattuta
a
Stalingrado
sul
fronte
russo,
le
altre
due
ad
El
Alamein
in
Africa
e a
Guadalcanal
nel
Pacifico.
Quella
di
El
Alamein
fu
la
prima
vittoria
alleata
nel
conflitto.
L’Africa
Settentrionale
ricopriva
una
posizione
strategica
per
i
traffici
dell’Europa
continentale
con
l’India
e
costituiva
un
importante
corridoio
d’accesso
alle
risorse
petrolifere
e
minerarie
del
Medioriente.
Gli
inglesi,
consapevoli
di
ciò,
erano,
infatti,
decisi
a
difenderla
con
le
unghie
e
coi
denti.
I
tedeschi,
che
avevano
concentrato
gran
parte
delle
loro
forze
in
Unione
Sovietica,
inevitabilmente,
quasi
per
causa
di
forza
maggiore,
trascurarono
la
campagna
d’Africa
riponendo
grande
fiducia,
ingenuamente,
nelle
potenzialità
tanto
millantate
dall’alleato
italiano.
In
un
aleatorio
e
burrascoso
alternarsi
di
vicende
rocambolesche,
fra
offensive
dilaganti,
anche
se a
corta
distanza,
e
controffensive
violente,
emersero
le
problematicità
che
dovettero
affrontare
i
contrapposti
schieramenti
e,
nei
più
delicati
frangenti,
anche
le
qualità
di
spicco
dei
loro
comandanti.
Rommel
era
considerato
un
vero
trascinatore:
un
leader
carismatico.
Conosceva
le
capacità
del
suo
esercito
e
aveva
fiducia
nei
suoi
uomini.
Se
da
un
lato,
eccedeva
di
intraprendenza,
dall’altro,
peccava
di
prudenza.
Aveva,
in
altre
parole,
coraggio
da
vendere.
Non
temeva
pericoli
o
avversità.
Era
spesso
presente
in
prima
linea
per
guidare
i
suoi
uomini
ed
impartire
nuovi
ordini
ai
comandanti
suoi
subalterni.
Vantava
della
sincera
stima
anche
degli
inglesi.
Si
tramanda
che
circolassero,
dietro
le
linee
britanniche,
voci
del
tipo
“che
peccato
non
avere
Rommel
a
capo
delle
nostre
divisioni”.
Erwin
Rommel
aveva
già
prestato
servizio
durante
la
campagna
polacca
e
dimostrato
le
sue
doti
militari
nelle
operazioni
condotte
con
successo
dalla
Wermacht
sul
fronte
occidentale.
Verso
la
fine
del
1940 gli
fu
affidato
il
comando
dell'Afrikakorps
e
sarà
nell’Africa
del
Nord
che,
per
il
suo
genio
e
l’imprevedibilità
dei
suoi
attacchi,
si
guadagnerà
l’appellativo
di
“volpe
del
deserto”.
Fu
un
grande
stratega
e
riuscì
infatti
ad
infliggere
agli
inglesi
gravi
perdite,
nonostante
gli
esigui
mezzi
a
sua
disposizione.
Le
forze
dell’Asse
avevano
una
maggiore
padronanza
delle
tecniche
di
guerra
moderne
e
nei
primissimi
stadi
della
battaglia
di
El
Alamein
potevano
ancora
contare
su
una
discreta
superiorità
tecnologica
nei
confronti
del
nemico.
I
tedeschi
avevano
una
maggiore
esperienza
di
guerra
rispetto
agli
inglesi
e i
generali
britannici
erano
letteralmente
in
crisi.
Questi
elementi
motivano
i
loro
i
primi
importanti
successi
nello
svolgimento
della
battaglia.
Anche
se,
di
lì a
poco,
la
situazione
sarebbe
stata
destinata
a
ribaltarsi.
Per
entrambe
le
parti,
il
problema
dei
rifornimenti
e
del
carburante
era
diventato
pressante:
gli
inglesi
circumnavigano
l’Africa
con
le
proprie
navi
per
sfuggire
ai
temibili
Stuka
e i
tedeschi,
pur
disponendo
di
una
linea
di
rifornimenti
più
breve
dal
Mediterraneo,
erano
costantemente
esposti
alle
rapaci
incursioni
aeree
della
Royal
Air
Force,
la
cui
base
operativa
era
stanziata
sulla
vicina
isola
di
Malta.
Nell’estate
del
1942
la
situazione
era
di
stallo.
Come
si
spiega?
I
tedeschi
non
ci
avevano
abituato,
almeno
fino
a
quel
momento,
a
vittoriose
offensive
fulminee?
Nicola
Zotti,
in
una
dettagliata
analisi
sulla
sua
piattaforma
di
storia,
arte
militare
e
cultura
strategica
denominata
Warfare,
ha
schematicamente
riassunto
i
tratti
peculiari
dell’innovativa
quanto
devastante
tattica
di
guerra
che,
senza
ombra
di
dubbio,
ha
permesso
all'esercito
tedesco
di
ottenere
le
incalzanti
conquiste
e i
trionfi
dei
primi
anni
della
Seconda
Guerra
Mondiale:
la
Blitzkrieg.
Una
strategia
militare
che
si
fonda
sull'impiego
combinato
di
forze
armate:
carri
armati,
truppe
di
fanteria,
artiglieria,
genieri
d'assalto,
logistica
e
supporto
aereo.
La
morfologia
del
territorio
e la
carenza
di
rifornimenti
costringevano
i
tedeschi
ad
una
“guerra
di
posizione”
e,
quindi,
una
serie
di
aspetti
ci
inducono
a
ritenere
che
questi,
in
Nord
Africa,
accantonarono,
quasi
in
definitiva,
le
loro
tradizionali
tecniche
di
guerra
per
le
vaste
sacche
di
terra
impraticabili
dai
mezzi
corazzati,
a
causa
di
sabbie
mobili
e
paludi.
Se
da
un
lato,
la
Blitzkrieg
mostrava
i
suoi
limiti,
dall’altro,
per
contrappeso,
era
sempre
più
basso
il
morale
degli
inglesi.
Si
vociferava
addirittura
di
un
possibile,
repentino
ed
improvvisato
rientro
in
patria.
Un’umiliazione
che
sarebbe
stata
alquanto
difficile
da
digerire
e
che
avrebbe
aperto
ai
tedeschi
la
strada
verso
la
foce
del
Nilo.
Lo
“stallo”
estivo
aveva
però
le
settimane
contate.
Non
era
destinato
a
protrarsi
ancora
per
molto.
La
“volpe
del
deserto”
dovette,
in
Africa
Settentrionale,
fare
i
conti
con
le
doti
tattiche
e
strategiche
di
un
altro
genio
della
guerra,
il
generale
Montgomery,
detto
“Monty”,
metodico
e
minuzioso
organizzatore,
profondo
conoscitore
dei
metodi
e
della
mentalità
dei
militari
tedeschi.
Anche
se,
come
riportato
da
un
accurato
pamphlet
sulla
Battaglia
di
El
Alamein
stilato
da
Ars
Storia,
per
molti
storici
non
fu
un
vero
e
proprio
stratega
d'alto
livello. Certo
godeva
di
una
schiacciante
superiorità
numerica,
nonché
disponeva
delle
primordiali
tecnologie
di
radar
e
sistemi
di
decriptazione
delle
comunicazioni
nemiche.
Tuttavia,
provvidenziale
fu
il
suo
arrivo
ed
innegabili
le
sue
qualità
di
generale.
La
meticolosità
era
un
suo
tratto
caratteristico.
Anch’egli
era
un
grande
trascinatore.
Era
capace
di
infondere
fiducia
nel
suo
esercito
anche
nei
momenti
più
critici.
A
differenza
di
Rommel,
era
solito
pianificare
sempre
tutto
“a
tavolino”
nel
suo
quartier
generale.
Dalla
sua
tenda
impartiva
gli
ordini,
era
calmo
ed
imperturbabile.
Prima
che
infuriasse
una
battaglia
aveva
già
previsto
tutto,
curato
ogni
singolo
aspetto
dello
scontro
e
previsto
possibili
contromosse
agli
inattesi
piani
di
guerra
del
nemico
sempre
imprevedibile.
In
un
articolo
su
La
Repubblica
del
recente
2002,
Stefano
Malatesta
ha
ricalcato
il
delicato
tema
della
“disparità
di
forze
presenti
sul
campo”,
per
molti
anni
omesso
dai
libri
di
storia
e
dalla
propaganda
inglese
postbellica.
Dal
suo
dettagliato
resoconto
sulla
Battaglia
di
El
Alamein,
risulta
che
Montgomery
all’inizio
della
battaglia
disponesse
di
1100
carri,
di
cui
270
erano
i
nuovissimi
Sherman
inviati
dagli
americani
e
210
Grant.
I
tedeschi
erano,
invece,
in
grado
di
schierare
appena
200
carri
armati
di
cannone.
Tra
i
carri
tedeschi
solo
i
Mark
IV
erano
in
grado
di
competere
con
gli
Sherman
e la
“volpe
del
deserto”
ne
aveva
in
tutto
a
disposizione
solo
30.
Rommel
e
Montgomery
presentavano
due
distinti
profili
e
differenti
attitudini
al
comando
militare.
Per
rendere
facilmente
l’idea
con
un’efficace
metafora
visiva:
Rommel
era
un
grande
giocatore
d’azzardo,
Montgomery
era
un
incallito
giocatore
di
scacchi.
Le
sue
tattiche
di
contenimento
e
contrattacco
si
rivelarono
estremamente
efficaci.
Se
Rommel
proiettava
sulla
linea
del
fronte
tutte
le
sue
attenzioni,
Montgomery
curava
fanaticamente
il
fronte
interno
occupandosi
delle
ore
di
riposo
da
concedere
ai
suoi
uomini,
preoccupandosi
di
fornire
loro
equipaggiamenti
adeguati
e
assicurare
l’approvvigionamento
di
rifornimenti
sempre
più
consistenti.
L’approccio
metodico
di
Montgomery
è
stato
rivoluzionario,
al
netto
della
vantaggiosa
posizione
in
cui
questi
venne
a
trovarsi.