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N. 118 - Ottobre 2017 (CXLVIII)

Albert Einstein e la bomba atomica
Genialità a servizio del male

di Ilaria La Fauci

 

“All matter is speed and flame”. Questa frase fu stampata sulla copertina del Time uscito il 1° luglio del 1946: la guerra era finita, la bomba atomica era stata sganciata su Hiroshima e Nagasaki, la conta dei morti saliva ad un numero orripilante, i danni ambientali erano enormi e un uomo, un fisico tedesco di primo livello, diventò il capo espiatorio dell’atomica.

 

Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nel 1921, dopo diverse intemperie si era trasferito negli Stati Uniti, in cerca di un ambiente che non lo giudicasse in base alla sua origine, alla sua religione o al suo orientamento politico: credeva di aver trovato il posto adatto fin quando non venne coinvolto nel progetto Manhattan e nel secondo dopoguerra ogni uomo che pensava a lui, pensava alla teoria della relatività, e ogni uomo che pensava alla teoria della relatività pensava alle esplosioni atomiche in Giappone. Ma chi era davvero Albert Einstein?

 

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Einstein sulla copertina del Time del 1 luglio 1946

 

Nacque nel 1879 ad Ulma, dovette impegnare la sua intera vita nel rincorrere i suoi sogni e le sue intuizioni nonostante non avesse l’appoggio completo della famiglia, in particolar modo del padre. Diventò un fisico superando i tentativi di intralcio da parte di altri fisici affermati come Philipp Von Lenard e Johannes Stark: egli era solo un ragazzo ma aveva intuizioni geniali, aveva il pregio di essere curioso verso il mondo, di non dare nulla per scontato, di non accettare la verità come dogma ma di scardinarla e provarla.

 

Nel 1933 accadde un evento: Albert sapeva che Adolf Hitler sarebbe riuscito ad attrarre il popolo e quando salì al potere, egli capì che le cose sarebbero cambiate. Esisteva una legge, quella della Restaurazione del Servizio Civile, secondo cui tutti i professori di origine ebraica sarebbero stati licenziati: a gennaio Einstein insegnava a Princeton come ospite e a ottobre si trasferì definitivamente negli Stati Uniti.

 

Era sempre stato un uomo pacifista (nel 1913 si rifiutò di firmare un manifesto a favore della guerra), distaccato dalla politica, ma era rivoluzionario nel pensiero, era egli stesso baluardo della libertà e tutto ciò era scomodo per il nuovo governo nazista. In più, nonostante egli non avesse mai realmente professato alcuna religione, era di origine ebraica: tutto ciò che non era ariano era da eliminare e questo non risparmiò neanche le menti più geniali dell’epoca.

 

Iniziò la sua nuova vita in America e nel 1940 ne ottenne la cittadinanza. Come in ogni cosa nel mondo, egli fece un errore che credeva potesse essere il minore dei mali: Einstein venne accusato di aver costruito la bomba atomica e in effetti in parte corrisponde a verità.

 

Aveva un forte timore: che i tedeschi potessero anticiparli nel costruirla e temeva che potessero creare un danno irreversibile, motivo per cui si trovò inizialmente a favore di un progetto inerente la ricerca scientifico-tecnologica per usare l’energia nucleare a scopo civile, pur sapendo che potesse essere usata anche per creare bombe. Ciò si deduce da una lettera che scrisse il 2 agosto 1939 con Leo Szilard e indirizzata al presidente Roosevelt (Foto 2):

 

“Some recent work by E. Fermi and L. Szilard, which has been communicated to me in manuscript, leads me to expect that the element uranium may be turned into a new and important source of energy in the immediate future. […] In the course of the last four months it has been made probable through the work of Joliot in France as well as Fermi and Szilard in America--that it may be possible to set up a nuclear chain reaction in a large mass of uranium, by which vast amounts of power and large quantities of new radium-like elements would be generated. […] This new phenomenon would also lead to the construction of bombs, and it is conceivable – though much less certain – that extremely powerful bombs of this type may thus be constructed. A single bomb of this type, carried by boat and exploded in a port, might very well destroy the whole port together with some of the surrounding territory”.

Roosevelt si attivò subito e creò un comitato diretto da Lyman Briggs e formato da nove persone, ma Einstein non era tra questi: era un progetto di “difesa”, di ricerca e sviluppo militare e riuscirono ad ottenere alti finanziamenti dal Regno Unito e dal Canada.

 

Inizialmente Szilard, Teller e Wingner contattarono Albert per scrivere una lettera alla regina del Belgio chiedendole di non vendere l’uranio alla Germania: l’Istituto Kaiser Wihelm infatti aveva avviato una ricerca simile e alcuni uomini americani vi furono inviati come spie per scoprire il progetto ed arruolare altri scienziati tedeschi convertendoli alla loro causa.

 

Il progetto Manhattan invece era diretto dal generale Leslie Groves e occupò quasi centotrentamila persone. Nel 1942 ottennero i primi risultati: una reazione nucleare a catena auto-alimentata. Ciò solleticò la volontà americana nell’aumentare le pretese e porre nuovi obiettivi: creare un ordigno atomico.

 

Einstein non partecipò, si oppose all’uso militare del nucleare, ma non ci fu nulla da fare: la sua formula E=mc^2 fu indispensabile per sviluppare la bomba atomica perché implicava l’equivalenza tra massa ed energia generando una bomba a fissione nucleare, un arma di distruzione di massa.

 

Tutto iniziò con la teoria della relatività ristretta: si intuì che ci potesse essere la possibilità di trasformare la materia in energia; Enrico Fermi sviluppò le ricerche e Robert Oppenheimar scoprì che la costruzione della bomba era fattibile.

 

Nel distretto Manhattan furono realizzate quattro bombe: un prototipo chiamato The Gadget, la Little Boy sganciata su Hiroshima, la Fat Man sganciata su Nagasaki e la Thin Man. Quali le responsabilità dunque?

 

Albert Einstein era un genio e quando creò l’equazione letale non pensò che questa potesse essere creata per fini militari, non scrisse a Roosevelt di creare la bomba poiché egli era contrario alle guerre e infatti non venne incluso nel progetto perché Vannevar Bush temeva che non mantenesse il segreto.

 

Eppure venne additato come il padre della bomba atomica: sentiva che in qualche modo fosse responsabile, ebbe l’amara soddisfazione di vedere applicata la sua formula.

 

“I have always condemned the use of the atomic bomb against Japan” narra il libro Einstein on Peace.

 

Dopo la guerra insistette per il disarmo nucleare pronunciando la famosa frase: “Non so con quali armi verrà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre”.

 

Aveva un intuito forte, era lungimirante e sapeva che il mondo si poteva salvare ma solo eliminando la violenza e la brutalità, evitando la competizione militare e ricordando di rimanere umani. La colpa cadde su di lui: un uomo pacifista e sognatore ritratto come crudele ed egoista.

 

Eppure oggi il suo nome è sinonimo di genialità, creatività e curiosità: in merito al passato si dice sempre di “lasciare ai posteri l’ardua sentenza” e ricordarlo così è conseguenza dell’aver capito che le sue responsabilità erano ben poche, che la sua genialità fu usata per creare distruzione, la peggiore forma di distruzione che l’uomo potesse adoperare.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Maurizi S., Una bomba, dieci storie. Gli scienziati e l’atomica, Milano, 2004.

Pais A., La scienza e la vita di Albert Einstein, Torino 1986.



 

 

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