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ambiente


N. 7 - Luglio 2008 (XXXVIII)

educazione ambientale
emergenze locali e futuro del pianeta

di Antonio Pisanti

 

L’allarme provocato dall’emergenza rifiuti negli ambiti territoriali investiti dagli avvenimenti dei giorni scorsi, l’attenzione ad essa rivolta dai mezzi di comunicazione di massa e gli interventi di quanti, a vari livelli di competenza, si occupano della tutela dell’ambiente, sono stati utili a suscitare una maggiore sensibilità ecologica da parte dell’opinione pubblica. Non solo a Napoli e in Campania.

Si è compreso, anche là dove non siano presenti o manifeste situazioni di allarme, che la difesa dell’ambiente e la vigilanza per la salvaguardia del territorio dai pericoli delle varie forme di inquinamento devono essere esercitate continuamente se si vogliono evitare danni e conseguenze irreversibili.
Da varie regioni e centri urbani non solo italiani, si sono apprese notizie sull’esistenza di numerose zone a rischio e sono denunciati traffici e depositi di rifiuti nocivi o pericolosi in clandestinità, dei quali sembrava nulla si sapesse precedentemente; ma sono anche pervenute svariate testimonianze sulle modalità di trattamento e di smaltimento, con conseguente circolarità e scambi di informazioni sulle diverse esperienze e sui risultati raggiunti.

Nelle stesse località direttamente coinvolte nella grave emergenza in Campania si registrano iniziative da parte di enti periferici, associazioni e privati che, per quanto poco incidenti nella risoluzione concreta del problema attuale, sono segnali importanti per una inversione di tendenza e per un diverso comportamento, utile a prevenire il riproporsi di analoghe condizioni di degrado ambientale.
Ferma restando l’esigenza di una corretta informazione per l’individuazione di responsabilità, connivenze ed omissioni di lunga durata, di cui si è già riferito, nonché per la ricerca di strategie istituzionali decise, utili ed efficaci per riportare alla normalità una situazione tuttora preoccupante, sembra opportuno ribadire il ruolo dell’educazione ambientale per la sostenibilità di uno sviluppo che appare sempre meno compatibile con la tutela del territorio e la salvaguardia della salute degli individui esposti ai fenomeni di inquinamento.

L’educazione ambientale, in quanto finalizzata ad assicurare la fruibilità e la vivibilità dell’ambiente non solo alle generazioni presenti, ma anche a quelle future, ha bisogno di una tensione morale tale da sostenere un patto di solidarietà non solo tra coloro che convivono in uno stesso territorio, ma anche a beneficio di quanti non possono far valere il loro diritto, né potrebbero mai rivalersi del danno irreversibile loro procurato dall’uso insano dell’ambiente da parte delle generazioni precedenti.
Indubbiamente una tale forma di educazione non può essere esaurita in un segmento particolare dei programmi scolastici, né essere limitata ad una fascia di età, ma ha pur bisogno di essere proposta tempestivamente in una certa fase del processo curricolare, con la specificità utile ad evitare la dispersione dell’intento educativo della scuola in enunciazioni generiche e in attività occasionali, prive di una sistematica programmazione e quindi di essenziali esiti formativi di base.
Se infatti può essere comprensibile ricorrere al facile slogan di “più educazione meno educazioni” o a quello di “meno progetti più progetto” per evitare, da un lato, il rischio di eccessiva parcellizzazione dell’attività scolastica e, dall’altro, il prevaricare di interessi ristretti nell’articolazione dell’insegnamento, è pur vero che solo la proposizione di aree di intervento ben definite, rispetto ai risultati che si vogliono raggiungere, può offrire alla scuola la possibilità di rendersi (e di dare) conto della concreta efficacia della sua azione educativa e didattica.

Alla luce di una inderogabile esigenza di verificabilità dei risultati , è inevitabile che a conclusione di determinati cicli di studio debba essere atteso il raggiungimento di traguardi con specifico riferimento a rispettive aree di apprendimento. In questa prospettiva, anche per quanto riguarda l’educazione ambientale, indicazioni come quelle contenute nel decreto legislativo 59/2004 sembrano poter essere molto più proficue, rispetto ad enunciazioni successive, proposte del resto in via sperimentale, nelle quali la preoccupazione di semplificazione e di superamento ad ogni costo di quanto precedentemente previsto finisce col prevalere sulla funzione che un documento ministeriale deve pur avere per essere di aiuto alla scuola e a quanti la frequentano.

Non è vero che i docenti rigettino per principio preso indicazioni curricolari e conseguenti attività di programmazione, di cui riconoscono invece l’utilità quando non siano ridotte a rituali formali e dispersivi, magari del tutto separati dall’azione didattica. Ma l’esasperazione suscitata dalla consuetudine di voler ridurre l’attività docente ad una predominante attività programmatoria, e ad una prevalenza del progettare sul fare, non può giustificare il ridimensionamento di una consapevolezza operativa supportata da indicazioni organiche e funzionali al modello di scuola che si intende realizzare.
Né si può dire che una serie di indicazioni su temi da affrontare e sulle conoscenze essenziali da raggiungere possa limitare la libertà dell’insegnante, quando tali temi e conoscenze costituiscano gli elementi di base per la comprensione dei problemi dell’ambiente e per l’assunzione di comportamenti individuali più opportuni per la sua salvaguardia.

Se possono essere discutibili ed essere giustamente oggetto di analisi le tesi delle “differenti scuole di pensiero nell’affrontare i problemi ambientali”, pare non vi siano dubbi sui comportamenti da adottare e da incentivare nel presente per la protezione della natura e dell’ambiente.
Mentre il nuovo e il vecchio ecologismo si sfidano alla luce di contrapposizioni ideologiche e le ricorrenti ipotesi catastrofiche di vecchi e nuovi ambientalisti tengono in apprensione scienziati e futurologi e accendono dispute sulle politiche e i protocolli che i vari governi debbano assumere di fronte alle minacce di inquinamento globale e di esaurimento delle risorse non rinnovabili, pare invece che ben poco vi sia da dibattere in merito a quanto ogni individuo può e deve fare per evitare l’aggravarsi di situazioni di degrado ambientale sempre più frequenti e diffuse.

Certo è che le condotte pubbliche e quelle private in materia di difesa ambientale sono correlate in modo tale che organismi internazionali, governi e amministrazioni locali hanno bisogno di orientare e di conformare non solo le scelte dei grandi produttori di inquinamento, ma anche i comportamenti dei singoli. Questi ultimi hanno bisogno, a loro volta, non solo di norme e di garanzie per la tutela dei comuni interessi di salvaguardia ambientale, ma anche di servizi adeguati che ne rendano possibile l’esercizio.
Nel corso degli incontri, dei dibattiti e delle manifestazioni che si vanno svolgendo in Campania per l’incalzare dell’emergenza e l’incombere timori e preoccupazioni per il diffondersi di patologie connesse alle varie forme di inquinamento, molti cittadini continuano a lamentare l’impossibilità di procedere alla raccolta differenziata per mancanza di strutture e servizi finalizzati a favorirla e a renderla utile per tutte le successive fasi del ciclo di trattamento dei rifiuti.
Ma se i comportamenti direttamente correlati al rispetto del territorio di “appartenenza” e alla salvaguardia dell’ambiente appaiono obbiettivi più immediatamente proponibili per l’educazione ambientale, contigui a quelli da perseguire per l’educazione alla cittadinanza, alla convivenza civile e alla salute, non esauriscono i compiti di cui l’educazione ambientale deve farsi carico nella complessa articolazione della società contemporanea.

Le stesse scelte che si compiono quotidianamente in materia di prodotti alimentari e di altri beni di consumo e quindi al loro confezionamento (quantità, imballaggi, ecc.), al loro uso e alla loro durata, comportano, indirettamente ma indiscutibilmente, delle conseguenze per l’ambiente, sulle quali si può incidere attraverso un cambiamento delle abitudini dei consumatori. Ma queste, come si sa, sono condizionate pesantemente da ben diversi interessi nel mondo della produzione e della distribuzione, che configgono con il difficile compito educativo a beneficio dell’ambiente e dispongono di mezzi e strategie di persuasione e suggestione molto più pervasivi ed efficaci.
È il caso di ribadire, ancora una volta, come già sottolineato per la risoluzione dei problemi locali dell’ambiente, che anche per quanto riguarda le più ampie prospettive di uno sviluppo sostenibile, più equo e duraturo, l’impegno educativo non è sufficiente se non è affiancato dalla costante collaborazione tra autorità di governo, imprese e società civile.
Le notizie più recenti in materia di disastri ambientali, provenienti dalla megadiscarica “scoperta” nel Pacifico e quelle che potrebbero letteralmente caderci sulla testa dallo spazio ci invitano ancora una volta a riflettere sulla portata del problema e di un’emergenza a livello planetario.

 



 

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