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N. 23 - Novembre 2009
(LIV)
Quando l’ecumenismo diventa eretico
I casi de Mello e Dupuis
di Lawrence M. F. Sudbury
Secondo
un
numero
rilevante
di
fonti
cristiane
il
periodo
storico-religioso
che
da
circa
trent’anni
stiamo
vivendo
potrebbe
essere
definito
“Era
Ecumenica”.
Il
termine
“ecumenismo”,
dal
greco
“οκουμένη”
(ecumene),
“mondo
abitato”,
sostanzialmente
significa,
nella
sua
accezione
più
vasta,
tendenza
all’avvicinamento
tra
diverse
Fedi
o
Correnti
denominazionali.
Non
sembrerebbe
una
la
definizione
di
per
sé
particolarmente
problematica
ma,
in
effetti,
proprio
per
la
sua
vastità,
e
dunque
indeterminatezza,
essa
si
presta
a
interpretazioni
plurime
e a
notevoli
fraintendimenti,
in
particolare
per
quanto
riguarda
due
punti.
Innanzitutto,
cosa
si
intende
per
“diverse
Fedi
o
Correnti
denominazionali”?
In
prospettiva
storico-sociale
si
potrebbe
parlare
di
almeno
tre
livelli
di
lettura
in
questo
senso:
- un
primo
livello,
assolutamente
minoritario,
che
vede
come
obiettivo
ecumenico
l’unità
di
tutto
il
mondo
religioso;
- un
secondo
livello,
più
condiviso,
vede
nell’ecumenismo
l’esaltazione
di
un
maggiore
senso
di
spiritualità
condivisa
tra
le
tre
Fedi
abramitiche
del
Giudaismo,
del
Cristianesimo
e
dell’Islam:
-
l’interpretazione
maggioritaria,
infine,
vede
un
significato
più
ristretto
nel
termine,
riferendolo
essenzialmente
ad
una
maggiore
cooperazione
tra
le
diverse
Confessioni
religiose
di
una
sola
di
queste
Fedi,
in
particolare
del
Cristianesimo.
Vi è
anche
chi
ha
tentato
una
mediazione
sincretica
tra
queste
differenti
visioni,
distinguendo
tra
un
ecumenismo
in
senso
stretto,
inter-Cristiano,
e un
ecumenismo
inteso
come
pluralismo
religioso,
che
mira
ad
ottenere
maggiore
rispetto
reciproco,
tolleranza
e
cooperazione
tra
le
Religioni
del
mondo,
non
tanto
conciliando
i
loro
aderenti
in
piena
e
organica
unità,
ma
semplicemente
di
promuovendo
migliori
relazioni
tra
loro.
Inoltre,
sempre
comunque
in
riferimento
all’obiettivo
ultimo,
anche
il
grado
di
“avvicinamento”
da
considerarsi
ottimale
ha
subito,
sia
diacronicamente
che,
allo
stato
attuale,
sincronicamente
tra
Denominazioni
differenti,
una
serie
di
interpretazioni
diverse,
capaci
di
coprire
tutto
l’arco
di
significazione
attribuibile
al
termine
(andando,
ad
esempio,
dalla
totale
apertura
ecumenica
di
alcune
odierne
correnti
mistiche
transculturali
al
rifiuto
completo
dell’ecumenismo
da
parte,
solo
per
citare
un
esempio,
della
Chiesa
Russo-Ortodossa).
Anche
concentrandosi
sull’aspetto
prettamente
diacronico
di
una
singola
Denominazione,
come
può
essere
la
Chiesa
Cattolica,
il
livello
di
variazione
interpretativa
dell’ecumenismo
è
stato
piuttosto
impressionante.
Se,
di
base,
la
Chiesa,
infatti,
ha
sempre
considerato
un
dovere
cristiano
cercare
l’unità
con
le
altre
Comunioni,
allo
stesso
tempo
ha,
altrettanto
veementemente,
sempre
rifiutato
un
“contatto
promiscuo”
con
quelle
che
vedeva
come
false
Religioni
o
interpretazioni
erronee
del
Messaggio
evangelico.
Appare
piuttosto
indubitabile
che
questo
secondo
aspetto
abbia
nettamente
surclassato
il
primo
antecedentemente
al
Concilio
Vaticano
II.
Basta,
ad
esempio,
una
rapida
lettura
che
Canone
1258
del
Codice
di
Diritto
Canonico
del
1917
per
rendersene
conto.
Esso
recita:
“E’
fatto
divieto
ai
fedeli
assistere
o
partecipare
in
qualunque
forma
a
funzioni
religiose
non-cattoliche.
Solo
per
ragioni
gravi,
che,
in
caso
di
dubbio,
sono
da
sottoporre
all’approvazione
vescovile,
è
tollerabile
la
partecipazione,
unicamente
materiale
e
passiva,
a
funerali
e
matrimoni
non-cattolici,
come
atto
d’ufficio
o di
cortesia
e
sempre
che
ciò
non
ingeneri
pericoli
di
perversione
o di
scandalo”
Tutto
ciò
sembra
essere
sicuramente
cambiato
con
il
Vaticano
II,
che,
pur
ribadendo
che
la
Chiesa
Romana
rimane
“una,
santa,
cattolica
e
apostolica”,
sola
depositaria
del
Magistero
di
Cristo,
ha
riconosciuto,
in
particolare
nel
documento
“Lumen
Gentium”
(capitolo
VIIII),
la
possibilità
di
trovare
“molti
elementi
di
santità
e di
verità
anche
al
di
fuori
dei
Suoi
confini”.
Purtroppo,
però,
come
è
possibile
notare,
anche
questa
affermazione
rimane
piuttosto
vaga
e
interpretabile,
soprattutto
riguardo
a
cosa
s’intenda
per
tutto
ciò
che
“sta
fuori”
dai
confini
cattolici.
A
fare
le
spese
di
questa
“vaghezza”
sono
stati,
nel
tempo,
numerosi
ecclesiastici
che
hanno
tentato,
volontariamente
o
più
spesso
involontariamente,
di
forzare
i
termini
e di
spingersi
verso
interpretazioni
più
ampie
ed
onnicomprensive
del
dettato
conciliare.
Tra
gli
ultimi
e
più
eclatanti
esempi
in
questo
senso,
due
spiccano
particolarmente
per
fama
e
importanza:
quello
del
gesuita
indiano
Anthony
de
Mello
e
quello
del
gesuita
belga
Jacques
Dupuis.
Il
primo,
per
la
diffusione
e
notorietà
dei
suoi
scritti,
non
ha,
probabilmente,
bisogno
di
presentazione.
Nato
a
Bombay
nel
1931,
Anthony
De
Mello
ricevette,
durante
l’infanzia
in
India,
una
fortissima
influenza
delle
Tradizioni
indù
e
buddista
che,
a
suo
stesso
dire,
lo
indirizzarono
entusiasticamente
verso
lo
sviluppo
di
un
Cristianesimo
allo
stesso
tempo
semplice
e
profondamente
filosofico.
Entrato,
non
ancora
sedicenne,
nella
Compagnia
di
Gesù
nel
1947,
mentre
era
ancora
un
giovane
gesuita
fu
inviato
dai
suoi
superiori
in
Spagna,
dove
poté
studiarne
la
spiritualità
di
Santi
e
scrittori
mistici
cristiani
quali
Teresa
d’Avila
e
Giovanni
della
Croce.
In
seguito
fu
mandato,
sempre
dall'Ordine
Gesuita,
negli
Stati
Uniti
per
studiare
psicologia.
Probabilmente
la
fusione
del
retroterra
psicologico
di
De
Mello,
unito
alle
riflessioni
sulle
teorie
del
bene
e
del
male
contenute
sia
nella
spiritualità
orientale
sia
in
quella
occidentale,
gli
fornirono
quella
visione
che
affascinò
gran
parte
dei
lettori
dei
suoi
numerosi
libri
“psico-terapeutici”
in
seguito
tradotti
in
tutto
il
mondo.
In
particolare
durante
l'ultima
parte
della
sua
vita
egli
tenne
corsi
e
ritiri
nel
Centro
Spirituale
Sadhana,
nei
pressi
di
Bombay,
e la
sua
fama
crebbe
a
tal
punto
che
fu
chiamato
a
condurre
seminari
ed
esercizi
spirituali
in
ogni
continente.
Proprio
durante
uno
di
questi
corsi,
all’Università
di
Fordham,
nel
1987,
morì
improvvisamente
mentre
era
al
culmine
del
suo
successo.
Il
suo
“pensiero
positivo”,
basato
principalmente
sull’idea
che
la
maggior
parte
delle
persone
vivono
dormendo
mentre
dovrebbero
aprire
gli
occhi
per
vedere
la
realtà
di
ciò
che
sta
dentro
e
fuori
di
loro
e
per
ottenere
la
piena
consapevolezza
dei
poteri
del
loro
corpo
e
della
loro
mente,
però
continuò
a
diffondersi
anche
dopo
la
sua
morte,
grazie
alla
continua
divulgazione
dei
suoi
scritti
in
cui
spiritualità
cristiana
e
analisi
psicologica
si
uniscono,
spesso
con
voluto
umorismo,
a
parabole
buddiste
e
confuciane
e
addirittura
ad
esercizi
yoga
induisti.
Proprio
tale
diffusione
sta,
probabilmente,
alla
base
dell’interesse
“post-mortem”
della
Congregazione
della
Dottrina
della
Fede,
allora
retta
dal
Cardinal
Ratzinger,
oggi
Papa
Benedetto
XVI,
per
il
pensiero
del
Sacerdote
gesuita
che,
nell’ottica
Vaticana,
aveva
spinto
“troppo
oltre”
la
sua
visione
ecumenica
e i
cui
libri
vennero
nel
1998
condannati
per
la
loro
“visione
a
tratti
distorta”
e
dichiarati
“incompatibili”
con
la
Fede
Cristiana.
Una
analisi
delle
“Notifiche
Relative
agli
Scritti
di
Fr.
Anthony
de
Mello,
SJ”
della
Congregazione
può
essere
utile
per
comprendere
cosa
venga
visto
come
“eretico”
(perché,
in
termini
meno
velati,
di
questo
si
tratta)
nel
suo
pensiero
e
quindi,
per
comprendere
quali
siano
i
“confini”
che
la
Chiesa
Cattolica
ha
delimitato
nel
suo
sforzo
ecumenico.
Di
fatto,
i
punti
problematici
sono
cinque
e
riguardano:
1)
il
senso
della
rivelazione.
“In
luogo
della
rivelazione,
che
è
venuto
nella
persona
di
Gesù
Cristo,
egli
sostituisce
una
intuizione
di
Dio
senza
forma
né
immagini
…”;
“Il
concetto
di
rivelazione
cristiana
è
equiparata
a
quella
di
Lao-Tze,
con
una
certa
preferenza
per
la
seconda:
'Il
silenzio
è la
grande
rivelazione',
ha
detto
Lao-Tse
…”;
2) i
ruolo
della
Scrittura
e
delle
Formule
sacre.
“Le
parole
della
Scrittura
sono
delle
indicazioni
che
servono
solo
a
portare
una
persona
al
silenzio
…”;
“La
funzione
del
Credo
o la
professione
di
fede
è
giudicato
negativamente,
come
ciò
che
impedisce
l'accesso
personale
alla
verità
e
l'illuminazione
…”;
3)
la
figura
di
Gesù.
“Ma
egli
considera
Gesù
come
un
maestro
accanto
agli
altri.
L'unica
differenza
dagli
altri
uomini
è
che
Gesù
è
"sveglio"
e
pienamente
libero,
mentre
altri
non
lo
sono.
Gesù
non
è
riconosciuto
come
il
Figlio
di
Dio,
ma
semplicemente
come
colui
che
ci
insegna
che
tutti
gli
uomini
sono
figli
di
Dio
…”;
“Gesù
sulla
croce
è
l'uomo
libero
da
ogni
legame,
così
diventa
il
simbolo
della
liberazione
interiore
da
tutto
ciò
a
cui
siamo
stati
allegati.
Ma
Gesù
non
è
qualcosa
di
più
di
un
uomo
che
è
libero?...”;
4)
il
concetto
di
male.
“Il
male,
secondo
questo
autore,
è
solo
la
mancanza
di
auto-conoscenza
…”
5)
il
senso
delle
Religioni
e
della
Chiesa.
“Per
lui,
a
pensare
che
il
Dio
della
propria
religione
è
l'unica
è,
semplicemente,
fanatismo
…”;
“Coerente
con
quello
che
è
stato
presentato,
si
può
capire
come,
secondo
l'autore,
qualsiasi
credo
o
professione
di
fede
sia
in
Dio
o in
Cristo,
non
può
che
impedire
l'accesso
personale
alla
verità.
La
Chiesa,
facendo
della
parola
di
Dio
nella
Sacra
Scrittura
in
un
idolo,
ha
finito
per
scacciare
Dio
dal
tempio.
Di
conseguenza
essa
ha
perduto
l'autorità
di
insegnare
nel
nome
di
Cristo.”;
“Ogni
religione
concreta
è un
ostacolo
per
arrivare
alla
verità
…”;
“In
vari
punti
nei
suoi
libri
le
istituzioni
della
Chiesa
sono
criticati
in
modo
indiscriminato
…”
Il
tutto,
poi,
si
inserisce
in
un
quadro
coerente
(“Chiaramente,
c'è
un
collegamento
interno
tra
le
diverse
posizioni:
se
mette
in
discussione
l'esistenza
di
un
Dio
personale,
non
ha
senso
che
Dio
sarebbe
rivolgersi
a
noi
con
la
sua
parola.
La
Sacra
Scrittura,
dunque,
non
ha
valore
definitivo.
Gesù
è un
maestro
come
gli
altri,
solo
in
primi
libri
l'autore
non
ha
appaiono
come
il
Figlio
di
Dio,
una
affermazione
che
avrebbe
poco
significato
nel
contesto
di
una
tale
conoscenza
di
Dio.
Come
una
conseguenza,
non
può
attribuire
valore
dell'insegnamento
della
Chiesa.
La
nostra
sopravvivenza
personale
dopo
la
morte
è un
problema
se
Dio
non
è
personale.
Così
diventa
evidente
che
tali
concezioni
di
Dio,
Cristo
e
l'uomo
non
sono
compatibili
con
la
fede
cristiana.”)
che,
secondo
la
Congregazione,
si
pone
in
netta
antitesi
con
il
concetto
stesso
di
Cattolicesimo
ed
è,
quindi,
da
condannare
inappellabilmente.
In
realtà,
per
qualunque
lettore
dei
libri
di
de
Mello,
queste
interpretazioni
vaticane
non
posso
che
apparire
almeno
un
po’
radicali:
indubbiamente
il
Padre
gesuita
ricontestualizza
il
Messaggio
cristiano
inserendolo
in
una
ottica
nuova,
altamente
ecumenica,
di
“annuncio
universale”
delle
Fedi
che
puntano
tutte
ad
un
obiettivo
comune
di
“illuminazione”
del
singolo,
ma
solo
decontestualizzando
le
singole
affermazioni
dell’autore
è
possibile
parlare
di
una
contrapposizione
diretta
con
la
visione
generale
cattolica.
Infatti,
pur
mantenendo
l’assunto
di
condanna,
le
dichiarazioni
della
Congregazione
vennero
in
seguito
modificate
(“I
libri
di
Padre
Anthony
de
Mello
sono
stati
scritti
in
un
contesto
multi
-
religioso
per
aiutare
i
fedeli
di
altre
religioni,
agnostici
e
atei
nella
loro
ricerca
spirituale,
e
non
erano
intesi
dall'autore
come
istruzioni
per
i
fedeli
cattolici
nel
dogma
o
nella
dottrina
cristiano-cattolica”),
creando
una
situazione
particolare,
per
molti
versi
ibrida,
tale
per
cui,
ferma
restando
la
censura
della
Notifica,
gli
scritti
di
De
Mello
rimasero
comunque
disponibili
anche
in
molte
librerie
cattoliche,
venendo
sempre
letti
e
rispettati
da
numerosi
Cattolici
e da
fedeli
di
altre
Denominazioni
cristiane.
Meno
noto
al
di
fuori
degli
ambiti
strettamente
teologici,
ma
sotto
alcuni
aspetti
ancora
più
rappresentativo
dello
“stato
dell’arte”
dell’ecumenismo
vaticano
è il
caso
di
Padre
Dupuis.
Nato
nel
1923,
Jacques
Dupuis
entrò
nella
Compagnia
di
Gesù
nel
1941
e,
dopo
gli
studi
religiosi
e
accademici
in
Belgio,
partì
alla
volta
dell'India
nel
1948.
Per
3
anni
insegnò
nella
St.
Xavier's
High-School
di
Calcutta,
dove
scoprì
l'Induismo
e
diede
inizio
a
una
ricerca
che
durò
tutta
la
sua
vita
per
comprendere
se
l'auto-rivelazione
di
Dio
necessariamente
passi
interamente
attraverso
la
persona
di
Gesù
Cristo.
Dopo
essere
stato
ordinato
sacerdote
a
Kurseong
(India)
in
1954,
completò
il
dottorato
in
Teologia
alla
Pontificia
Università
Gregoriana
a
Roma
e fu
designato
ad
insegnare
teologia
dogmatica
nella
facoltà
gesuita
di
teologia
di
Kurseong.
Direttore
del
“Vidyajyoti
Journal
of
Theological
Reflection”,
autore
di
alcuni
scritti
teologici
ritenuti
fondamentali,
consigliere
della
Conferenza
Episcopale
Indiana,
nel
1984,
dopo
36
anni
trascorsi
in
India,
Dupuis
fu
chiamato
ad
insegnare
“Teologia
e
Religioni
non-cristiane”
alla
Gregoriana
di
Roma,
dove
fu
nominato
direttore
della
rivista
“Gregorianum”
e
consultore
del
“Pontificio
Consiglio
per
il
Dialogo
interreligioso”,
posizione
che
mantenne
fino
alla
sua
morte,
nel
2004.
Insomma,
una
carriera
teologico-religiosa
di
tutto
rispetto,
non
fosse
che
per
una
“macchia”
sopravvenuta
nel
1997,
proprio
verso
la
fine
della
sua
vita
accademica:
una
notifica,
ovviamente
ancora
una
volta
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede
diretta
dal
Cardinal
Ratzinger,
in
relazione
al
suo
testo
“Verso
una
Teologia
Cristiana
del
Pluralismo
Religioso”.
Per
comprendere
le
ragioni
di
tale
notifica,
con
la
quale,
è
bene
ricordarlo,
Dupuis
è
stato
richiesto
di
chiarire
la
sua
posizione
ma
non
è
stato
disciplinato,
è
necessario
dare
un
breve
sguardo
agli
assunti
fondamentali
del
testo.
In
buona
sostanza,
l’autore
propone,
allontanandosi
dalla
classica
metodologia
scritturale,
una
teologia
induttiva,
contestuale
e
ermeneutica,
nel
tentativo
di
presentare
una
comprensione
della
Salvezza
che
sia
fedele
al
ruolo
costitutivo
e
unico
di
Gesù
Cristo
ma
sia,
allo
stesso
tempo,
capace
di
affermare
una
vera
pluralità
di
percorsi
religiosi
in
conformità
con
il
piano
divino.
Punto
di
partenza
è
l’assunto
che
la
nostra
conoscenza
di
Dio
non
sia
assoluta
o
definitiva,
ma
necessariamente
limitata
e
che,
in
questo
quadro,
il
vertice
conoscitivo
sia
dato
dalla
nostra
visione
del
Padre
come
“Salvatore
assoluto”,
mentre
l'unicità
costitutiva
di
Gesù
“come
Salvatore
universale”
poggia
unicamente
sulla
sua
identità
personale
di
Figlio
di
Dio.
Ciò
non
significa
contestare
lo
stato
ontologico
divino
di
Gesù
Cristo
o il
ruolo
centrale
dell'incarnazione
nell'economia
divina
della
Salvezza
(Dupuis
rifiuta
espressamente
di
equiparare
il
ruolo
di
Gesù
Cristo
nel
Cristianesimo
al
ruolo
di
altre
figure
di
Salvatore
in
altre
Tradizioni),
ma
prendere
in
considerazione
la
particolarità
di
Gesù
di
Nazareth
come
“un
uomo
mortale”.
E'
qui
che
Dupuis
spera
di
trovare
un
varco
per
una
teologia
del
pluralismo
religioso:
le
limitazioni
di
ogni
esistenza
umana,
compresa
quella
del
Gesù
storico,
sono
reali
e,
dunque,
né
il
mistero
di
Dio,
né
il
Suo
potere
salvifico
può
essere
esaurito
persino
da
una
tale
rivelazione
sublime
come
quella
dell’“Evento-Cristo”.
Tenendo
conto
che
il
“Logos
non-incarnato”
e la
presenza
universale
dello
Spirito
sono
presenti
sia
prima
che
dopo
l'Incarnazione,
possiamo,
di
conseguenza,
pensare
che,
mentre
Gesù
Cristo
è il
Salvatore
“universale”,
Egli
non
può
essere
allo
stesso
modo
definito
il
Salvatore
“assoluto”.
Corollario
di
ciò
e
che
il
mistero
di
Gesù
Cristo
venga
storicamente
mediato
ai
non
Cristiani
attraverso
specifiche
credenze
e
pratiche
religiose,
come,
ad
esempio,
il
culto
delle
immagini
sacre
indù:
é
nella
pratica
delle
diverse
Religioni
che
Dio
è
presente
in
un
“canale
privilegiato”
di
auto-comunicazione
divina.
Nel
dire
questo,
Dupuis
afferma
l'integrità
delle
Tradizioni
religiose
nei
loro
stessi
termini
in
quanto
distinte
dal
Cristianesimo,
ma
questo
non
implica
l'uguaglianza
delle
Religioni
in
quanto
le
pratiche
religiose
e i
riti
sacramentali
di
altre
Tradizioni
possono
essere
autentici
percorsi
di
salvezza,
ma
rimangono
qualitativamente
distinte
dal
modo
in
cui
il
Cristianesimo
ha
trasmesso
il
mistero
di
Cristo
apertamente,
esplicitamente
e
con
piena
visibilità.
Semplicemente,
dirigendo
la
sua
attenzione
al
potere
universale
del
Logos
e
all'azione
dello
Spirito
non
legato
ad
una
singola
Figura,
Dupuis
afferma
la
Presenza
Divina
in
personaggi
storici
e
movimenti
presenti
in
altre
Tradizioni
religiose
e
questo
lo
porta
a
riconoscere
un
processo
a
doppio
senso
di
“arricchimento
reciproco
e di
trasformazione”
tra
il
Cristianesimo
e le
altre
Religioni,
in
cui
ciò
che
è
importante
è il
regno
di
Dio,
di
cui
la
Chiesa
è
“Sacramento
universale”,
ma
non
unica
mediazione
storica.
Che
cosa
è,
secondo
l’erede
del
Sant’Uffizio,
criticabile
in
questa
posizione?
La
Congregazione,
dopo
aver
interrogato
il
Padre
gesuita
(Sessione
Ordinaria
del
30
giugno
1999),
pur
riconoscendo
“il
suo
tentativo
di
voler
rimanere
nei
limiti
dell’ortodossia,
impegnandosi
nella
trattazione
di
problematiche
finora
inesplorate”
ha
trovato
nel
testo
“notevoli
ambiguità
e
difficoltà
su
punti
dottrinali
di
rilevante
portata,
che
possono
condurre
il
lettore
a
opinioni
erronee
o
pericolose”.
Riassumendo,
tali
punti
riguardano:
1)
l’interpretazione
della
mediazione
salvifica
unica
e
universale
di
Cristo.
Egli,
Figlio
e il
Verbo
del
Padre,
è
l’unico
e
universale
mediatore
della
Salvezza
di
tutta
l’umanità
ed è
contrario
alla
Fede
cattolica
non
soltanto
affermare
una
separazione
tra
il
Verbo
e
Gesù
o
una
separazione
tra
l’azione
salvifica
del
Verbo
e
quella
di
Gesù,
ma
anche
sostenere
la
tesi
di
un’azione
salvifica
del
Verbo
come
tale
nella
sua
divinità,
indipendente
dall’umanità
del
Verbo
incarnato;
2)
l’unicità
e
pienezza
della
rivelazione
di
Cristo.
E’
contrario
alla
Fede
della
Chiesa
sostenere
che
la
Rivelazione
di/in
Gesù
Cristo
sia
limitata,
incompleta
e
imperfetta:
la
Rivelazione
storica
di
Gesù
Cristo
offre
tutto
ciò
che
è
necessario
per
la
Salvezza
dell’uomo
e
non
ha
bisogno
di
essere
completata
da
altre
Religioni,
cosicché,
pur
essendo
corretto
ritenere
che
esistano
elementi
di
verità
e
bontà
anche
in
Esse,
è
opinione
erronea
ritenere
che
tali
elementi
di
verità
e di
bontà,
o
alcuni
di
essi,
non
derivino
ultimamente
dalla
mediazione
di
Gesù
Cristo;
3)
l’azione
salvifica
universale
dello
Spirito
Santo.
E’
contrario
alla
Fede
cattolica
ritenere
che
l’azione
salvifica
dello
Spirito
Santo
si
possa
estendere
oltre
l’unica
economia
salvifica
universale
del
Verbo
incarnato;
4)
l’ordinazione
di
tutti
gli
uomini
alla
Chiesa.
E’
contrario
alla
Fede
cattolica
considerare
le
varie
Religioni
del
mondo
come
vie
complementari
alla
Chiesa
in
ordine
alla
salvezza;
5)
il
valore
e il
significato
della
funzione
salvifica
delle
Religioni.
E’
legittimo
sostenere
che
lo
Spirito
Santo
opera
la
salvezza
nei
non
Cristiani
anche
mediante
quegli
elementi
di
verità
e di
bontà
presenti
nelle
varie
Religioni
ma
tali
religioni
non
vanno
considerate
come
tali,
vie
di
salvezza,
anche
perché
in
esse
sono
presenti
lacune,
insufficienze
ed
errori
che
riguardano
le
verità
fondamentali
su
Dio,
l’uomo
e il
mondo.
Tale
notificazione,
approvata
dal
Santo
Padre
nella
Udienza
del
24
novembre
2000,
è
stata
presentata
a
Padre
Dupuis,
ed è
da
lui
è
stata
accettata:
con
la
firma
del
testo
l’Autore
si è
impegnato
ad
assentire
alle
tesi
enunciate
e ad
attenersi
in
futuro
nella
sua
attività
teologica
e
nelle
sue
pubblicazioni
ai
contenuti
dottrinali
indicati
nella
Notificazione,
il
cui
testo
dovrà
comparire
anche
nelle
eventuali
ristampe
o
riedizioni
del
libro
in
questione,
e
nelle
relative
traduzioni.
E
strano
come,
dopo
tale
intervento,
che,
a
detta
di
alcuni
ha
addirittura
influito
pesante
sul
deterioramento
delle
condizioni
fisiche
del
Gesuita,
sia
stato
seguito,
nel
2001,
dal
riconoscimento
da
parte
di
Papa
Giovanni
Paolo
II
del
lavoro
pionieristico
Dupuis
sul
significato
di
altre
Religioni
nel
“piano
di
Dio
di
salvezza
del
genere
umano”,
ma,
probabilmente,
questa
contraddizione
è
più
spiegabile
sulla
base
delle
dinamiche
interne
vaticane
che
sul
piano
dogmatico-teologico.
Ciò
che
conta
è
che
i
due
esempi
riportati
rendono
assolutamente
chiaro
quali
siano
i
limiti
dell’ecumenismo
extra-cristiano
nella
concezione
cattolica,
limiti
invalicabili
anche
dopo
il
Concilio
Vaticano
secondo
che
possono
essere
riassunti
in
poche
parole:
rispetto
per
gli
elementi
positivi
nelle
atre
Fedi
ma
memoria
costante
e
definitoria
dell’antico
e
inviolabile
precetto
che
“extra
Ecclesia,
nulla
salus”.
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di
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Mello,
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Questions
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Answers
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The
New
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After
Vatican
II
Took
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the
Leadership
of
the
World
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Movement,
Alba
House
2009
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