Ecuador in fiamme
un narco-golpe scuote
il sud america
di
Gian Marco Boellisi
Per quanto ormai assuefatti negli
ultimi anni al susseguirsi di
diversi colpi di Stato in tutto il
globo, un recente fenomeno del tutto
nuovo nelle sue modalità è il
narco-golpe avvenuto in Ecuador nel
gennaio 2024. Un tempo considerato
tra i paesi più sicuri e stabili
dell’intero Sud America, oggi
l’Ecuador si ritrova ad affrontare
un’ondata di violenza senza
precedenti causata principalmente
dai cartelli legati al narcotraffico
e al loro scontro diretto contro lo
Stato. Venuta meno la postura
storica dei cartelli colombiani nel
traffico globale di stupefacenti,
altre nazioni ne hanno preso il
testimone migliorando dove i
cartelli di Medellin e Cali avevano
fallito tra gli anni ’80 e ’90. Oggi
è senza dubbio il Messico ad avere
la fetta di maggioranza del mercato,
tuttavia anche altri paesi, come
appunto l’Ecuador, hanno iniziato ad
avere una voce non indifferente in
merito. Risulta quindi interessante
capire cosa stia succedendo nella
regione e comprendere quanto sia
cruciale la stabilità dell’Ecuador
per tutta l’area sudamericana.
Guardando la situazione ecuadoregna
in prospettiva, il paese ha subito
un crollo in ambito securitario di
proporzioni catastrofiche. Basti
pensare che secondo stime
dell’International Crisis Group il
numero di omicidi nel paese è
aumentato del 500% rispetto al 2016
e la maggior parte di queste morti
violente è dovuta proprio al
conflitto tra cartelli rivali e
gruppi armati che si contendono il
traffico di stupefacenti. Il
narcotraffico ha subito un boom in
Ecuador negli anni di governo del
socialista Rafael Correa, dal 2000
fino al 2017. In questo periodo il
governo ha completamente trascurato
la lotta alla criminalità, essendo i
livelli statistici rilevati di
delinquenza molto bassi. L’approccio
permissivo, unito all’endemica
mancanza di lavoro e un basso
livello di scolarizzazione tra le
fasce di popolazione meno abbienti,
ha portato ad avere in Ecuador
generazioni intere pronte a servire
tra i ranghi dei cartelli, rendendo
il lavoro nel narcotraffico l’unica
via di fuga da un futuro di fame e
miseria.
La mancanza di controllo del governo
ha portato i gruppi criminali ad
acquisire enormi fette del paese.
Acquisire va inteso nel senso
letterale del termine, visto che è
ben noto come una larga parte delle
forze dell’ordine ecuadoregne siano
al libro paga dei narcotrafficanti.
Tuttavia è lecito chiedersi come
l’Ecuador, paese inizialmente
coinvolto marginalmente nel traffico
di stupefacenti, ora sia diventato
un hub di primo livello in questo
profittevole ma sanguinoso mercato.
Il tutto nacque da un’idea di El
Chapo Guzman, capo del cartello di
Sinaloa, il quale vide nell’Ecuador
un ottimo paese per lo stoccaggio
delle foglie di coca prima della
raffinazione. Visti i costi bassi e
l’alta efficienza delle bande
locali, i cartelli ecuadoregni
vennero sempre più coinvolti nella
raffinazione della coca. Come si può
immaginare, i profitti che generò
questo salto di qualità furono
immensi, portando quindi l’Ecuador
verso l’essere ciò che è oggi,
ovvero uno degli snodi logistici, o
hub come vengono chiamati oggi, per
il traffico internazionale di
cocaina. E’ infatti importante
ricordare come l’Ecuador offra un
ampio accesso all’Oceano Pacifico,
rendendo la sua geografia perfetta
per garantire nuove opportunità e
nuovi mercati ai cartelli di tutto
il continente.
All’interno di questo instabile
contesto, si inquadrano gli eventi
di inizio gennaio che hanno
trascinato il paese nel caos e nella
violenza. Risale infatti a circa tre
settimane fa l’evasione di Adolfo
“Fito” Macías. José Adolfo Macías
Salazar, noto appunto come “Fito”, è
il capo dei Los Choneros, il gruppo
criminale egemene in Ecuador e
considerato tra i più pericolosi del
continente. Risulta essere infatti
questo il gruppo che avrebbe
intessuto le relazioni con Sinaloa
per far diventare l’Ecuador un paese
cardine nel narcotraffico mondiale.
Fito stava scontando una pena di 34
anni per traffico di droga,
associazione a delinquere e
omicidio. Il gruppo dei Los Choneros
ha origine negli anni ’90 nella
città di Chone, sulla provincia
costiera di provincia di Manabí, da
cui ha sempre operato nel corso
degli anni espandendosi fino a
raggiungere il livello di egemonia
odierno.
Ora, l’evasione di Fito dal
Penitenciaría del Litoral è solo
l’ultimo tassello di un domino che
coinvolge la lotta al narcotraffico
del governo ecuadoregno. La sua fuga
è stata accompagnata da disordini
nella maggior parte delle carceri
del paese in protesta alle recenti
politiche del presidente Daniel
Noboa, eletto lo scorso novembre.
Questi ha infatti deciso di
trasferire tutti i vertici del
narcotraffico in carceri di massima
sicurezza, al contrario di come
fatto in passato in cui i narcos
risiedevano in carceri controllate
da loro stessi con ogni sorta di
agio e privilegio. Inoltre, il
governo Noboa sta cercando di indire
un referendum per consentire
l’estradizione all’estero di
cittadini accusati di specifici
crimini (ricalcando quanto fatto in
Colombia durante gli anni di lotta a
Escobar) e il relativo sequestro dei
beni di appartenenza ai
narcotrafficanti. A oggi il voto
deve ancora ricevere l’approvazione
della Corte Costituzionale, tuttavia
anche solamente la possibilità che
una simile legge possa passare ha
portato i vari cartelli a reagire
nell’unico modo a loro conosciuto:
seminando violenza. Fito è stato
scoperto non essere più in prigione
il giorno in cui doveva essere
trasferito in una struttura di
massima sicurezza chiamata La Roca,
vicino Guayaquil.
All’evasione di Fito è seguita anche
l’evasione dal carcere di Riobamba
di Fabricio Colón, capo del gruppo
Los Lobos, così come rivolte
generalizzate, con conseguente presa
come ostaggi delle guardie
carcerarie, in quasi tutte le
carceri del paese ed evasioni di
massa. A seguito di questi
drammatici eventi, Noboa ha
decretato lo stato di emergenza per
60 giorni per far fronte
all’emergenza posta dai cartelli.
Qui ovviamente i gruppi criminali
hanno visto l’azione del governo
come fortemente limitante verso le
loro attività, motivo per cui hanno
messo in atto una vera e propria
insurrezione generale in tutto il
paese contro il governo centrale ma
anche contro la popolazione civile,
tanto da rendere pericoloso per gli
equadoregni andare a lavoro o
camminare per strada.
Un esempio fra tutti può essere
l’irruzione di uomini armati a volto
coperto nella sede del canale
televisivo TC a Guayaquil, nel
sud-ovest del Paese, prendendo in
ostaggio i conduttori mentre erano
in diretta. Rivolgendosi al
presidente Noboa, uno degli
aggressori ha detto in diretta “Hai
voluto la guerra e avrai la guerra”.
Un altro caso eclatante si è avuto
presso l’Università di Guayaquil,
dove professori e studenti sono
stati sequestrati da non ben
identificati uomini armati. Per non
parlare dei video di alcune città in
cui si possono vedere attentati
perpetrati contro cittadini comuni o
narcos con bazooka presenti ai
semafori. Secondo dichiarazioni del
sindaco di Guayaquil, gli edifici
presi di mira nei primi giorni di
violenze sarebbero stati 29, di cui
5 ospedali, e almeno 10 persone
avrebbero perso la vita.
Tutta questa efferatezza è
spiegabile con ciò che il decreto
comporta per i narcotrafficanti.
Infatti uno stato di emergenza così
lungo comporta più controlli sul
territorio, più posti di blocco
nelle strade ma soprattutto maggiori
tempi di attesa per le navi in
partenza dall’Ecuador. E ogni ora in
cui un carico di cocaina rimane
fermo in porto sono decine di
milioni di dollari che i cartelli
perdono. Il decreto di Noboa
identifica 22 organizzazioni
criminali transnazionali come gruppi
terroristici e legittimi obiettivi
militari, oltre a introdurre in
Ecuador lo stato di “conflitto
armato interno”.
Alla polizia è stata comunicato che
durante i giorni dell’emergenza non
gli verrà imputato alcun processo in
cui sparino a un narcotrafficante o
sospettato tale. Misura quanto mai
controversa, la verità è che una
simile politica non fa altro che
alimentare la strategia di violenza
dei narcos portando il paese verso
un vortice di instabilità di cui
difficilmente si vede la conclusione
oggi. Ovviamente una simile
polveriera non è passata inosservata
ai vicini dell’Ecuador. In
particolare, Colombia, Argentina e
Bolivia hanno espresso grande
preoccupazione per gli avvenimenti
ecuadoregni e hanno offerto il loro
supporto per risolvere la crisi.
Quale possa essere questo supporto e
se mai verrà fornito, anche questo è
da vedere.
Da quanto sopra riportato si può
evincere una differenza sostanziale
tra golpe e narco-golpe. Il primo è
quando delle forze interne allo
Stato cercano di prenderne il potere
per sostituirsi al governo
insediatosi precedentemente. In un
narco-golpe invece un’organizzazione
non statale, come in questo caso i
narcotrafficanti, cerca di
terrorizzare lo Stato per portarlo a
trattare e ottenere così condizioni
più favorevoli per svolgere i propri
traffici. A questo proposito, alcuni
analisti hanno supposto che, a
seguito di una mossa così
destabilizzante di Fito, vi è una
componente all’interno dei Los
Choneros che vorrebbe trattare e
consegnare Fito stesso alle
autorità, ottenendo spazio di
manovra per gli anni a venire. Che
siano voci di corridoio o fatti
aderenti alla realtà, la loro bontà
e gli effetti che avranno sul paese
potranno essere visti solamente
nelle prossime settimane.
In conclusione, l’Ecuador sta
attraversando una delle fasi più
complicate della sua storia recente.
Esso risulta essere un paese
fondamentale per la stabilità della
regione sia per la sua posizione
geografica sia per gli equilibri
politici all’interno della comunità
degli Stati sudamericani. L’ondata
di violenza che sta sconvolgendo il
paese si aggiunge alla
pluridecennale lista di lotta al
narcotraffico che coinvolge
l’America Latina da ormai troppo
tempo. In passato alcuni successi
nel contrasto al crimine organizzato
dell’area si sono ottenuti, anche se
il più delle volte passando per
degli accordi tra governi e cartelli
che hanno solamente nascosto il
fenomeno e mai debellato. Per
l’Ecuador si presenta lo stesso
rischio, e non è detto che né Noboa
né gli ecuadoregni siano disposti a
pagare il prezzo di una lotta così
complessa e sanguinosa.