N. 129 - Settembre 2018
(CLX)
Le politiche economiche del brasile
tra
gli
anni
80 e
la
presidenza
lula
PARTE
III
-
Il
Primo
mandato
di
lula
di
Riccardo
Filippo Mancini
«Il
1°
Gennaio
2003
Brasilia
era
battuta
da
un
vento
fresco
e da
una
pioggia
sottile.
Non
vi
badavano
i
300
mila
che
affollavano
la
Esplanada
dos
ministerios,
sulla
quale
si
affacciano
i
palazzi
del
potere
politico:
il
Congresso
nazionale,
il
Governo
e il
Planalto,
la
residenza
ufficiale
del
Presidente
della
Repubblica.
La
folla
formava
un
immenso
prato
di
tre
colori:
verde
e
oro,
come
la
bandiera
del
Brasile,
e
rosso,
come
la
bandiera
del
Partito
dos
trabalhadores,
Partito
dei
lavoratori
(PT),
il
cui
leader,
Luiz
Inacio
Lula
da
Silva,
stava
per
insediarsi
come
nuovo
capo
dello
Stato
e
del
governo»
(R.
Giacomelli,
Brasile
al
bivio.
La
scommessa
di
Lula,
presidente
operaio)
Iniziava
così
l’avventura
di
Lula
come
capo
di
Stato
brasiliano.
Una
avventura
cominciata
con
molti
dubbi
e
interrogativi
da
parte
degli
osservatori
internazionali.
La
possibilità
di
una
sua
elezione,
nei
mesi
precedenti
al
voto,
aveva
messo
in
agitazione
i
mercati,
timorosi
che
Lula
volesse
“rompere”
col
recente
passato,
col
rischio
di
minare
le
piccole
certezze
in
campo
economico
che
il
Brasile
aveva
costruito
negli
ultimi
anni.
Con
la
Carta
ao
povo
Brasileiro,
scritta
durante
la
campagna
elettorale,
il
candidato
presidente
affermava
invece
che
la
stabilità,
il
controllo
dei
conti
pubblici
e
dell’inflazione
erano
un
patrimonio
di
tutti
i
brasiliani.
Queste
parole
non
servirono
del
tutto
a
tranquillizzare
i
mercati,
ma
diedero
l’idea
della
linea
che
Lula
voleva
seguire,
riconoscendo
al
predecessore
l’importanza
di
alcuni
traguardi
raggiunti.
Dopo
essere
stato
sconfitto
per
tre
volte
(nel
1989
da
Collor,
nel
1994
e
1998
da
Cardoso),
il
candidato
del
Partido
dos
Trabalhadores
riusciva
a
imporsi
nello
scontro
elettorale
contro
il
delfino
di
Cardoso,
Josè
Serra.
Uomo
di
origini
molto
umili,
operaio
metalmeccanico
e
poi
sindacalista,
studente
autodidatta,
aveva
sperimentato
in
prima
persona
la
mancanza
di
equità
sociale
del
suo
Paese
ed
era
ora
chiamato
a
invertire
la
rotta.
L’eredità
lasciatagli
dal
suo
predecessore
non
era
certo
delle
migliori:
il
Paese
versava
in
una
condizione
difficile,
sotto
tutti
i
punti
di
vista.
Le
politiche
restrittive
applicate
da
Cardoso
soprattutto
nell’ultima
fase
della
sua
presidenza,
avevano
congelato
la
crescita
economica
e
portato
malcontento;
a
questo
si
era
aggiunta
la
crisi
energetica.
L’inizio
del
nuovo
millennio
aveva
portato
con
sé
nuovi
problemi
(anche
se
non
paragonabili
a
quelli
del
decennio
precedente)
legati
all’inflazione
e
soprattutto
a un
forte
allarme
sociale,
ben
rappresentato
dal
Movimento
dos
Trabalhadores
Rurais
Sem
Terra
(Movimento
dei
lavoratori
rurali
senza
terra,
o
più
semplicemente
MST),
che
chiedeva
a
gran
voce
la
riforma
agraria
da
tempo
promessa
e
aveva
creato
forte
imbarazzo
anche
a
Cardoso
e al
suo
governo,
senza
ottenere
risposta.
Risposta
che
era
chiamato
a
dare
proprio
il
nuovo
presidente
e
non
solo
al
Movimento
dei
Sem
terra.
Le
misure
intraprese
dal
Governo
Cardoso
sul
fronte
interno
erano
state
poco
efficaci
soprattutto
in
campo
sociale.
Il
divario
ricchi-poveri
restava
ancora
altissimo
e
impediva
di
fatto
alla
fascia
più
bassa
della
popolazione
di
accedere
anche
a
servizi
minimi.
Cardoso
era
intervenuto
con
una
serie
di
piani
che
cercavano
di
coprire
i
tanti
aspetti
del
disagio
sociale,
ma
erano
tra
loro
disarticolati,
non
connessi.
Lula
ebbe
il
merito
e
l’intuizione
di
non
gettare
via
in
toto
il
lavoro
del
suo
predecessore,
prendendolo
come
base
di
spunto
per
una
riforma
organica
che
unendo
i
campi
di
azione
riuscisse
a
raggiungere
lo
scopo
prefissato.
L’aspetto
delle
politiche
sociali
era
per
Lula
uno
dei
cardini
del
suo
progetto
politico.
Il
nuovo
governo
rilanciò,
migliorandola,
la
Bolsa
familia
(il
Governo
Cardoso
aveva
introdotto
la
Bolsa
Escola,
che
aveva
contenuti
simili),
strumento
che
ha
avuto
ruolo
centrale
per
il
processo
di
riequilibrio
sociale.
Questa
manovra
era
(ed
è
ancora)
un
piano
di
aiuti
economici
elargiti
in
modo
diretto
dallo
Stato,
con
contributo
variabile,
alle
famiglie
che
avevano
un
reddito
pro
capite
inferiore
a
140
Reais
(circa
56$
al
cambio
dell’epoca,
cifra
individuata
come
soglia
di
povertà)
e
che
richiedevano
assistenza.
Allo
stesso
tempo
il
piano
di
aiuti
prevedeva
l’obbligo
di
frequentazione
scolastica
dei
figli
delle
famiglie
beneficiate,
a
cui
si
aggiungeva
un
programma
sanitario
di
vaccinazioni
stabilito
dal
Ministero
della
Salute.
Queste
disposizioni
andavano
seguite,
pena
l’esclusione
dal
sussidio.
Stiamo
parlando
della
più
grande
manovra
al
mondo
di
assistenza
diretta
da
parte
di
uno
Stato
verso
la
sua
popolazione,
con
ben
12
milioni
di
famiglie
coinvolte
nei
primi
anni
di
attuazione.
L’idea
di
migliorare
le
condizioni
della
fascia
più
povera
non
è
stata
solamente
un’azione
sociale,
ma
un
valore
per
l’economia
in
sé.
La
bontà
delle
manovre
economico-sociali
di
Lula
è
stata
testimoniata
in
modo
evidente
quando
si è
raggiunto
un
risultato
chiaro:
nel
momento
in
cui
la
domanda
estera
è
calata
a
causa
della
crisi
internazionale
il
sistema
economico
brasiliano
non
ne
ha
sofferto
come
tanti
altri
paesi,
grazie
proprio
alla
vitalità
della
domanda
interna.
Sono
stati
infatti
consumi
e il
lavoro
delle
classi
meno
abbienti
ad
aiutare
a
risollevare
in
modo
rapido
l’economia
brasiliana
dalla
crisi.
Quella
di
Lula
era
una
visione,
come
detto
in
precedenza,
organica:
lo
sviluppo
dell’economia
e il
benessere
dei
poveri
dovevano
sostenersi
l’un
l’altro,
con
l’obiettivo
di
favorire
la
prosperità
economica
come
mezzo
per
consentire
il
riequilibrio
sociale.
La
crescita
economica
brasiliana
dunque
si è
sempre
accompagnata
a
politiche
di
redistribuzione
e di
inclusione.
Attraverso
una
oculata
gestione
delle
risorse,
il
Brasile
di
Lula
riuscì
a
saldare
l’intero
debito
contratto
all’epoca
di
Cardoso
con
l’FMI,
versando
in
una
sola
tranche
ben
15
miliardi
di
dollari.
Un
risultato
senza
dubbio
importantissimo.
Proprio
in
quella
fase
coì
importante,
nel
2005
scoppiò
lo
scandalo
del
“Mensalao”.
Con
questo
nome
era
indicato
il
sistema
di
mazzette
mensili
pagate
dal
PT
all'opposizione,
che
garantivano
il
voto
dei
deputati
a
favore
di
alcuni
provvedimenti
del
governo
Lula.
Questo
momento
di
crisi
interna
però
non
scalfì
l’immagine
di
Lula,
anzi
la
rese
più
forte.
Da
questo
momento
in
poi
il
Presidente
godrà
di
un
consenso
personale
altissimo,
slegato
dai
destini
del
suo
partito.
I
detrattori
di
Lula
spesso
indicano
il
suo
primo
mandato
come
una
sorta
di
“terzo
mandato
Cardoso”,
sottolineando
la
continuità
nell’azione
di
governo.
Lula
senza
dubbio
ha
corretto
il
tiro
in
corsa
rispetto
ai
suoi
proclami
iniziali,
così
come
ha
fatto
il
suo
partito.
All’opposizione
per
tanti
anni,
il
PT
si
era
infine
“adattato”
al
ruolo
di
governo,
abbracciando
politiche
economiche
ortodosse,
contrastate
per
lungo
tempo,
soprattutto
negli
anni
’90.
Di
sicuro
Lula
ha
avuto
il
merito
di
non
cancellare
il
lavoro
fatto
da
Cardoso,
ma
cercare
di
migliorarlo
nei
suoi
punti
deboli.
In
campo
internazionale,
è
stata
importante
l’azione
di
Lula
in
seno
al
Mercosur.
La
situazione
non
era
semplice
nel
2002,
il
quadro
geopolitico
dell’area
presenteva
delle
problematiche.
Lula
seppe
dare
nuovo
slancio
all’organizzazione.
Già
nel
2003
infatti
gli
stati
membri,
in
un
incontro,
si
impegnarono
per
rafforzare
l’integrazione,
armonizzare
le
tariffe
verso
l’esterno
e
costituire
un’assemblea
legislativa
ad
elezione
popolare
entro
il
2007.
Lula
sapeva
che
le
relazioni
con
i
vicini
paesi
latinoamericani
erano
fondamentali.
Il
suo
Brasile,
oltre
ad
essere
fondatore
del
Mercosur,
era
anche,
in
quegli
anni,
l’economia
più
forte
e
con
le
aspettative
di
maggior
crescita
(complice
anche
la
grave
crisi
argentina
del
2001,
che
aveva
lasciato
al
solo
Brasile
la
leadership
regionale).
Il
Brasile
stava
avviandosi
a
diventare
una
grande
potenza
agricola:
era
il
più
grande
esportatore
di
carne
bovina,
di
caffè,
di
succo
d’arancia
ed
era
ai
vertici
nell’export
di
soia,
pollame
e
carne
suina.
Il
settore
energetico,
con
petrolio
e
bioetanolo,
era
sempre
più
competitivo
su
scala
internazionale.
Il
governo
a
guida
Partito
do
Trabalhadores
sin
da
subito
volle
dare
priorità
all’integrazione
latinoamericana,
partendo
dal
Mercosur,
come
dichiarato
dallo
stesso
presidente
brasiliano
nel
2003:
«Il
Sud
America
è la
mia
casa.
Il
Messico
e il
Centro
America
hanno
altri
interessi;
io
penso
che
il
Sud
America
sia
vicino
a
trasformare
in
realtà
il
sogno
dell’integrazione».
Le
parole
del
presidente
brasiliano
erano
molto
chiare
e
incentravano
il
discorso
sul
Sudamerica.
Lula
si
impegnò
anche
ad
estendere
il
fronte
del
Mercato
comune
del
Sud,
puntando
all’inclusione
del
Venezuela
di
Chávez.
Lula
pensava
che
l’ingresso
del
Venezuela
avrebbe
potuto
aumentare
il
peso
politico
internazionale
del
Mercosur,
e
quindi
anche
il
proprio.
L’ostacolo
più
importante
alla
riuscita
dell’operazione
era
rappresentato
dalle
nette
posizioni
antiamericane
di
Chávez,
con
Lula
che
prediligeva
una
linea
più
morbida
per
ragioni
economiche,
visto
che
gli
USA
erano
per
il
Brasile
un
mercato
importante
soprattutto
per
il
ad
un
asse
diretto
tra
il
suo
Paese
e il
Brasile
per
guidare
l’integrazione
regionale.
Lula
invece
vedeva
come
partner
per
la
leadership
latinoamericana
l’Argentina,
per
non
andare
in
contrasto
con
gli
Stati
Uniti.
Alla
fine
si
trovò
una
quadra:
il
Venezuela
entrò
nell’organizzazione,
dandole
ulteriore
spinta
sul
palcoscenico
internazionale.
Forte
del
consenso
e
dei
suoi
successi
personali,
Lula
si
presentò
alle
elezioni
del
2006,
battendo
nettamente
al
ballottaggio
il
candidato
dell’opposizione
Geraldo
Ackmin.
Riferimenti
bibliografici:
P.F.
Galgani,
America
Latina
e
Stati
Uniti,
dalla
dottrina
Monroe
ai
rapporti
tra
G.
W.
Bush
e
Chávez,
FrancoAngeli,
Milano
2007;
R.
Giacomelli,
Brasile
al
bivio.
La
scommessa
di
Lula,
presidente
operaio,
Edizioni
Paoline,
Milano
2004.