[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

169 / GENNAIO 2022 (CC)


medievale

SUL DUCATO DI BORGOGNA
UNA STORIA TRA MITO, REALTà e SIMBOLI

di Titti Brunori Zezza

  

Numerosi sono i dipinti, tra cui quelli eseguiti da Tiziano, che ci restituiscono i tratti somatici dell’imperatore Carlo V e  allo stesso tempo documentano il grandioso ruolo politico da lui avuto nell’Europa del Cinquecento. Nel volgere di pochi anni egli diverrà infatti erede dei domini della Casa d’Asburgo, signore dei Paesi Bassi storici, imperatore del Sacro Romano Impero, quindi re di Spagna con gli annessi possedimenti italiani di Napoli, Sicilia e Sardegna e le nuove colonie americane, mentre del ducato di Borgogna, che pur era stato possedimento degli Asburgo, conserverà solo il titolo.

 

Nato a Gant nelle Fiandre il 24 febbraio del 1500 egli infatti aveva ereditato  dalla madre Giovanna, detta “la Pazza”, figlia dei sovrani cattolici Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia, i succitati domini spagnoli, mentre attraverso il padre Filippo  d’Asburgo, detto il Bello, era entrato in possesso degli altri domini, frutto in parte dell’abile politica del nonno, l’arciduca d’Austria Massimiliano, che fu imperatore del Sacro Romano Impero e che, a seguito del suo matrimonio con Maria, figlia del duca di Borgogna Carlo il Temerario, aveva inglobato nei suoi possedimenti, alla morte della moglie, quel ducato e anche tutti i territori dei Paesi Bassi storici  appartenenti ai borgognoni.

 

In quei ritratti spicca sul petto dell’imperatore Carlo V una onorificenza particolare a cui non credo molti prestino attenzione: è un  collare d’oro chiuso da un pendente  che raffigura la pelle riccioluta di un ariete la cui conquista fu la finalità della mitica impresa di Giasone. La medesima onorificenza aveva ancor prima adornato il petto di suo padre Filippo il Bello, come si vede nel ritratto di Juan de Flandes e prima di lui la vediamo anche al collo del nonno Massimiliano nel ritratto di Bernhard Strigel, come a quello del bisnonno Federico III  a cui risale l’avvento degli Asburgo sulla scena europea, una volta  eletto nel 1438 imperatore del Sacro Romano Impero.

 

L’Ordine cavalleresco del “Vello d’oro” (in francese “Toison d’or) era stato istituito nel 1430 a Bruges dal duca di Borgogna Filippo il Buono in occasione del suo matrimonio con Isabella del Portogallo. Costui, allora era  il principe più potente della cristianità e vedeva in quella  istituzione uno strumento di coesione tra i suoi vasti possedimenti.

 

Tale onorificenza, centoventotto anni dopo la sua istituzione, alla morte di Carlo V, sarà ancora portata con fierezza dai dignitari che ne erano stati insigniti. La loro presenza nell’impressionante corteo funebre che sfilò per le strade di Bruxelles in onore dell’imperatore in quel settembre del 1558 è documentata da una preziosa incisione, quasi una fotografia ante litteram, dello stampatore di Anversa Christoffel Plantijn.

 

Sappiamo che l’albero della mitologia ha continuato nel tempo a emettere germogli e uno di questi è stato anche l’Ordine cavalleresco della “Toison d’or” generato appunto dalla mitica impresa compiuta dagli Argonauti e materia del poema di Apollonio Rodio intitolato appunto “Le Argonautiche”.

 

La conquista della pelle  di quell’ariete alato era stata imposta a Giasone dal re Pelia, suo zio, quale condizione per la restituzione del trono paterno, ma con l’intento segreto di sbarazzarsene data la difficoltà insormontabile dell’impresa. Infatti un drago insonne stava a guardia di quel vello appeso ai rami di una quercia in un giardino sacro ad Ares, nelle terre di Eete nel vicino Oriente.

 

In groppa a quell’ariete alato, inviato provvidenzialmente dalla madre naturale Nefele, due giovani, Frisso e la sorella Elle, erano  riusciti a sfuggire al dominio della matrigna gelosa che ne voleva la morte. Purtroppo Elle durante il tragitto era scivolata dal dorso dell’animale precipitando nel tratto di mare  che separa l’Europa dall’Asia e da allora questo si chiamerà Ellesponto. Il fratello, invece, raggiunta la Colchide, aveva voluto sacrificare l’ariete a Zeus protettore degli esuli e aveva inchiodato a una quercia la sua pelle “simile a una nuvola che rosseggia/ infiammandosi ai raggi del primo mattino” (Apollonio Rodio, Argonautiche, Mondadori, IV 125-126).

 

Giasone per raggiungere quelle terre così lontane dall’Ellade si era fatto costruire una nave di nome Argo, la veloce, e aveva radunato gli eroi più valorosi di tutta la Grecia, stirpe di dei e di uomini,  uniti da un eroico compito: quello di avventurarsi in una impresa straordinaria che si presumeva costellata di molteplici rischi.

 

Ebbene quell’Ordine cavalleresco, uno tra i vari che fiorirono dopo il decadimento dei precedenti di carattere religioso-militare legati alle Crociate, ispirandosi a quel mito della classicità univa allo spirito di avventura dei suoi adepti il desiderio di compiere  gesta coraggiose tradotte in linguaggio cristiano: era un travestimento del cavaliere cortese.

 

Esso presentava caratteri molto selettivi: i suoi trentun cavalieri (il numero era rigorosamente chiuso) erano principi sovrani e nobili di altissimo rango e il suo Gran Maestro era lo stesso duca di Borgogna, come in seguito sarebbero stati tutti i suoi eredi sino agli Asburgo di Spagna.  A partire da allora i temi argonautici in quel Ducato vengono diffusamente raffigurati su manufatti d’ogni tipo come lo sono anche le storie di Troia che ritroviamo in tanti manoscritti miniati.

 

Dal Cancelliere stesso dell’Ordine, tra il 1463 e il 1473, verrà scritta una Histoire de la Toison d’or distribuita ai suoi membri, anch’essa in preziosi manoscritti miniati, e poichè come patrono dell’Ordine era stata prescelta dal duca la biblica figura di Gedeone quest’ultimo ispirerà la composizione anche di numerosi arazzi commissionati dallo stesso Filippo il Buono. Manufatti questi di estrema rilevanza aventi per tema non solo cicli di storie sacre e profane, antiche e moderne, ma anche altri soggetti culturali, che per il loro pregio artistico e il loro costo diverranno per i  vari principi europei degli status symbol.

 

Nel secolo XV il Ducato di Borgogna infatti costituiva per il livello culturale e la raffinatezza raggiunti un polo d’attrazione per le corti di tutta Europa favorito dalla sua posizione geografica. Lungo la linea di demarcazione tra le attuali Francia e Germania i suoi duchi erano riusciti a creare uno Stato che ricordava l’antico regno di Lotaringia riunendo possedimenti su  entrambi i lati e congiungendo le Alpi con il mare del Nord dopo l’acquisizione delle Fiandre: ciò aveva favorito una fitta rete di scambi oltre che di relazioni politiche e commerciali.

 

La loro ascesa era stata lenta, ma progressiva: essi affondavano le proprie radici addirittura nel VI secolo quando compare il toponimo “Burgundia” (da cui “Borgogna”) derivante dalla tribù germanica dei Burgundi che diede vita a uno dei regni romano-barbarici che presto però si dissolverà inglobato da quello franco. Vari sovrani franchi  della dinastia merovingia, anche quando il regno ormai non esisterà più, continueranno ad assumere il titolo di “re di Burgundia”.

 

L’istituzione successiva del Ducato di Borgogna, che si estendeva più a ovest della Burgundia, è una filiazione di quei sovrani. Il suo primo duca fu Riccardo il Giustiziere e dal 1015  Digione, che ne diverrà il centro propulsore, entra a far parte di quel Ducato. 

 

In quel  medesimo periodo storico in esso si creano le condizioni perchè diventi un importante punto di riferimento per la cristianità. Nel settembre del 910, infatti, in  un villaggio della Borgogna, precisamente a Cluny, era sorto un centro monastico benedettino che si era  imposto da subito all’attenzione, dando vita a una rete di monasteri (se ne contarono presto varie centinaia) che gli fecero acquisire un enorme potere nonché una cospicua ricchezza materiale grazie alle numerose donazioni.

 

La sua prima, modesta, abbazia, dopo l’ultimo grandioso rimaneggiamento, rimarrà la più grande chiesa d’Europa sino alla costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. A partire dal 1049 un suo abate, Ugo, guiderà quel monastero per sessant’anni e si può dire che in quel periodo si verificò che la chiesa cattolica facesse capo  tanto alla Borgogna quanto al papa di Roma.

 

Alcuni decenni più tardi, ad appena cento chilometri di distanza, un altro monaco, Roberto, per reazione al rilassamento religioso e morale del monachesimo cluniacense, fonderà a Citeaux (“Cistercium” da cui cistercense) un nuovo monastero di osservanza più rigida della regola benedettina in cui si privilegiava più  il “labora” che l’”ora”, più il lavoro manuale che la preghiera. E’ Ottone di Borgogna a donare il terreno su cui sarebbe sorta la loro abbazia finanziandone l’espansione. Quei monaci cistercensi accrebbero di molto la loro visibilità quando entrò a far parte dell’ordine la figura eminente di Bernardo da Chiaravalle, la “Clara Vallis” corrispondente al toponimo francese “Clairvoux” indicante il luogo dove il monaco successivamente si ritirò.

 

Nato e cresciuto in Borgogna, egli concepiva la propria comunità monastica come animata da un profondo misticismo fondato sulla povertà e l’ascesi spirituale. Da quando ne fece parte, a partire dal 1112, Bernardo si adoperò molto per promuovere i valori in cui credeva, così che  alla fine del secolo XIII si contavano 700 monasteri cistercensi.  Malgrado la vocazione ascetica dei suoi adepti  anche quella  comunità si trasformò  nel tempo in una delle più ricche e fortunate istituzioni religiose d’Europa  acquisendo grande visibilità e influenza e la storia ci dirà in seguito che i punti di forza del potere borgognone saranno proprio la cultura cavalleresca e il mondo dello spirito e della fede.

 

A quella regola benedettina che imponeva ai monaci, oltre alla preghiera, il lavoro manuale è stato attribuito un ruolo importante nello sviluppo dell’economia agraria medievale e in particolare nello sviluppo della viticoltura in Borgogna, da molti secoli ormai produttrice di superbi vini. Le fonti storiche, però, ci dicono che già in epoca romana, e quindi burgunda, la coltivazione della vite in quell’area geografica era diffusa, ma certamente a quei monaci si dovette l’introduzione di alcune importanti elaborazioni tecniche che presiedevano alla vinificazione così come nuovi accorgimenti nelle pratiche agricole.

 

Nel 1361 la linea secondaria dei Capetingi che successivamente si era  instaurata in Borgogna a partire dal 1032,  morto l’ultimo duca privo di eredi, si esaurì e quel Ducato tornò alla corona francese. Sarà il successivo passaggio del titolo di duca di Borgogna con gli annessi possedimenti dal re francese Giovanni il Buono al figlio minore Filippo l’Ardito nell’anno 1369 a  rendere di nuovo autonomo quel Ducato facendone  una delle regioni più ricche d’Europa. E ciò potè avvenire  grazie anche all’acquisizione da parte di quel duca di altri territori, quelli dei Paesi Bassi storici, detti allora anche Fiandre, che tanto contribuiranno a rafforzarne il prestigio.

 

Tale acquisizione avvenne quando il duca Filippo l’Ardito prese in moglie  Margherita, figlia del Conte delle Fiandre, con un matrimonio i cui festeggiamenti avrebbero tolto il fiato a mezza Europa. Anche allora, come in ogni importante ricevimento borgognone, il vino dovette scorrere a fiumi con un rituale scenografico di grande impatto visivo, ma in particolare ciò sarà avvenuto poiché fu proprio quel duca ad adoperarsi molto per valorizzare i vigneti della  sua Borgogna. 

 

I  nuovi possedimenti fiamminghi erano costituiti allora da quell’insieme di territori nordici, all’origine scarsamente centralizzati, che corrispondevano a una delle aree più avanzate d’Europa e che a causa della loro crescente prosperità  faranno gola sia al re di Francia che all’Inghilterra. Al primo le province fiamminghe si sentivano legate da un principio di fedeltà feudale, all’altra invece da rapporti commerciali, partendo dal fatto che grazie alla lana inglese l’industria tessile locale si era potuta così ampiamente sviluppare e fare la fortuna di quelle popolazioni.

 

La loro forte identità non fu mai pienamente intaccata dai duchi borgognoni ed esse continuarono a prosperare e a essere governate da una dinastia di conti fiamminghi pur avendo a che fare anche con il potere centrale dei borgognoni.

 

I corsi d’acqua di quella regione divennero le loro arterie economiche quando ancora il trasporto fluviale e marittimo era più conveniente di quello terrestre. La crescente domanda di manodopera da impiegare nell’industria tessile trasformò molti  loro villaggi in città e queste divennero grandi centri mercantili facendo di quell’area la regione più densamente popolata d’Europa.

 

Il commercio internazionale accrebbe in particolare l’importanza di Bruges, divenuta una città di mercanti, intermediari e cambiavalute, una sorta di culla del capitalismo, mentre Gand si affermò come centro manifatturiero di rilevante importanza e al tempo stesso centro del potere politico. “Le Fiandre si trasformarono così nella Silicon Valley del Medioevo, una regione all’avanguardia dell’industria, della tecnologia e del commercio” ci dice Bart Van der Loo nel suo prezioso recente saggio intitolato Il regno scomparso.

 

Era ormai un grande Stato, quello di Borgogna, che si sapeva per un certo periodo abilmente destreggiare tra Francia, Inghilterra, Fiandre e  Sacro Romano Impero. Filippo l’Ardito, stante il declino delle facoltà mentali di Carlo VI, re di Francia, fu arbitro con Luigi d’Orleans della vita francese mentre durante il ducato di suo figlio Giovanni senza Paura i borgognoni si alleeranno con gli Inglesi minacciando la corona francese. L’aggressivo duca farà uccidere addirittura il rivale Luigi d’Orleans, ma a sua volta verrà ucciso e gli succederà il duca Filippo il Buono. 

 

Improvvisamente, però, qualche decennio dopo quel  Ducato, caratterizzato sino ad allora da grande potenza e vitalità, finirà per implodere. Ciò avvenne quando il suo ultimo ambizioso duca, Carlo il Temerario, verrà sconfitto tragicamente in battaglia a Nancy dalla coalizione di forze nemiche che gli aveva opposto il rivale re di Francia Luigi XI.

 

Il sogno di quel duca, una volta minato alla base il legame con la Francia, era quello di diventare re dei Romani e quindi, dopo la consacrazione papale, imperatore del Sacro Romano Impero, dal momento che più della metà dei suoi territori ne facevano parte ed egli era allora il sovrano più potente dell’Occidente. Ma il sostegno alla realizzazione di quel suo sogno, che egli  aveva sperato di ottenere dall’imperatore Federico III d’Asburgo, venne meno e tutto naufragò. Restano fissate negli annali della storia le immagini di quel duca borgognone che all’incontro con l’imperatore fissato a Treviri nel 1473 si presenta con un’armatura dorata su cui sfoggia un mantello ornato di 1400 perle e 23 rubini, e dei cappelli che sfoggiò in quei giorni, in particolare quello sormontato da una gigantesca piuma di cicogna tempestata di pietre preziose. 

 

Così le terre del Ducato di Borgogna a partire dal 1477 rientreranno nei possedimenti  della corona francese. Quando Carlo V assumerà il potere cercherà in più modi di riprendersi quei territori perduti a cui si sentiva profondamente legato, ma non gli sarà più possibile, anche se continuerà a rivendicarne il titolo. Egli sentiva la Borgogna come la terra dei suoi antenati tanto da essere definito come l’ultimo dei borgognoni.

 

L’acquisizione di quel Ducato da parte di suo nonno Massimiliano aveva fatto della Casa d’Asburgo la diretta erede di quella straordinaria tradizione culturale, politica, cortigiana. Una “grandeur” testimoniata dallo sfarzo e dalla magnificenza di molti oggetti conservati ancor oggi in collezioni museali che documentano la liberalità di quei duchi mecenati, protettori di molti artisti e animatori di una vivacissima vita di corte allietata da tornei, banchetti e feste. 

 

Egli potrà invece estendere ulteriormente il suo dominio sui Paesi Bassi Storici, che pure erano stati tanto legati al Ducato borgognone, rispolverando per questi una denominazione che si attribuisce a Carlo il Temerario, quella delle “Diciassette Province”.

 

Egli voleva conservare quella loro specificità politico-economico-amministrativa che era stata accettata dai duchi borgognoni. Solo tre decenni dopo, invece, dopo che Carlo V trasmise la sua sovranità su di esse al figlio Filippo, quelle medesime Province perdendo il loro carattere unitario  e quell’interazione tra nord e sud che tanti buoni risultati aveva dato, si sarebbero divise in due Paesi distinti: i Paesi Bassi spagnoli, trasformatisi poi nell’attuale Belgio, e la Repubblica delle Sette Province Unite, che diverranno gli attuali Paesi Bassi, detti successivamente anche Olanda.     

 

Oggi pochi sanno di quell’antico Ducato di Borgogna e del suo ruolo significativo nella storia  degli Stati europei nei primi  secoli del secondo millennio. In particolare pochi sanno di quei suoi principi dai nomi evocativi come Filippo l’Ardito, Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono e Carlo il Temerario che in quel lasso di tempo ebbero a rapportarsi, a volte diplomaticamente, altre volte bellicosamente, con le grandi potenze di allora, la Francia, l’Inghilterra e l’Impero asburgico.

 

La guerra dei Cent’anni, quella delle Due Rose, l’epoca eroica di Giovanna d’Arco, li vide attivamente coinvolti, alleati o  nemici degli altri protagonisti di quella stagione tormentata della  nostra storia, mentre le loro corti fastose e raffinate si imponevano sulla scenario europeo offrendo un modello di vita culturale e artistico di cui ancor oggi possiamo percepire la valenza.

 

A distanza di tanti secoli  ne cogliamo ancora un’eco lontana in una delle tante iniziative pseudoculturali che tendono a vivacizzare durante la stagione estiva le località turistiche. A Vasto, sino a qualche anno fa, la sera del 24 luglio era usanza allestire una rappresentazione in costume della consegna della onorificenza del Collare del “Toson d’oro” alla famiglia dei marchesi del Vasto, i D’Avalos, il cui palazzo si erge imponente tra le gradevoli costruzioni che connotano la parte alta della cittadina adriatica.

 

Illustre famiglia spagnola, giunta in Italia al seguito di Alfondo d’Aragona nel 1435, essa aveva ottenuto dapprima il possesso del marchesato di Pescara e quindi nel 1496 il titolo ereditario di marchesi del Vasto, uno dei quali, fedelissimo di Carlo V, divenne Governatore di Milano tra il 1538 e il 1544 ottenendo per questo dall’imperatore quel prestigioso riconoscimento.

 

Tale onorificenza sarebbe sopravvissuta alle turbolenze dei secoli futuri: lo prova il fatto che in tempi a noi vicini ne siano stati insigniti ancora due re del Belgio, Baldovino e Alberto II, nonché la regina d’Olanda, Beatrice.                   

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]