medievale
SUL DUCATO DI BORGOGNA
UNA STORIA TRA MITO, REALTà
e SIMBOLI
di Titti Brunori Zezza
Numerosi sono i dipinti, tra cui quelli
eseguiti da Tiziano, che ci
restituiscono i tratti somatici
dell’imperatore Carlo V e allo stesso
tempo documentano il grandioso ruolo
politico da lui avuto nell’Europa del
Cinquecento. Nel volgere di pochi anni
egli diverrà infatti erede dei domini
della Casa d’Asburgo, signore dei Paesi
Bassi storici, imperatore del Sacro
Romano Impero, quindi re di Spagna con
gli annessi possedimenti italiani di
Napoli, Sicilia e Sardegna e le nuove
colonie americane, mentre del ducato di
Borgogna, che pur era stato possedimento
degli Asburgo, conserverà solo il
titolo.
Nato a Gant nelle Fiandre il 24 febbraio
del 1500 egli infatti aveva ereditato
dalla madre Giovanna, detta “la Pazza”,
figlia dei sovrani cattolici Ferdinando
II d’Aragona e Isabella di Castiglia, i
succitati domini spagnoli, mentre
attraverso il padre Filippo d’Asburgo,
detto il Bello, era entrato in possesso
degli altri domini, frutto in parte
dell’abile politica del nonno,
l’arciduca d’Austria Massimiliano, che
fu imperatore del Sacro Romano Impero e
che, a seguito del suo matrimonio con
Maria, figlia del duca di Borgogna Carlo
il Temerario, aveva inglobato nei suoi
possedimenti, alla morte della moglie,
quel ducato e anche tutti i territori
dei Paesi Bassi storici appartenenti ai
borgognoni.
In quei ritratti spicca sul petto
dell’imperatore Carlo V una onorificenza
particolare a cui non credo molti
prestino attenzione: è un collare d’oro
chiuso da un pendente che raffigura la
pelle riccioluta di un ariete la cui
conquista fu la finalità della mitica
impresa di Giasone. La medesima
onorificenza aveva ancor prima adornato
il petto di suo padre Filippo il Bello,
come si vede nel ritratto di Juan de
Flandes e prima di lui la vediamo anche
al collo del nonno Massimiliano nel
ritratto di Bernhard Strigel, come a
quello del bisnonno Federico III a cui
risale l’avvento degli Asburgo sulla
scena europea, una volta eletto nel
1438 imperatore del Sacro Romano Impero.
L’Ordine cavalleresco del “Vello d’oro”
(in francese “Toison d’or) era stato
istituito nel 1430 a Bruges dal duca di
Borgogna Filippo il Buono in occasione
del suo matrimonio con Isabella del
Portogallo. Costui, allora era il
principe più potente della cristianità e
vedeva in quella istituzione uno
strumento di coesione tra i suoi vasti
possedimenti.
Tale onorificenza, centoventotto anni
dopo la sua istituzione, alla morte di
Carlo V, sarà ancora portata con
fierezza dai dignitari che ne erano
stati insigniti. La loro presenza
nell’impressionante corteo funebre che
sfilò per le strade di Bruxelles in
onore dell’imperatore in quel settembre
del 1558 è documentata da una preziosa
incisione, quasi una fotografia ante
litteram, dello stampatore di Anversa
Christoffel Plantijn.
Sappiamo che l’albero della mitologia ha
continuato nel tempo a emettere germogli
e uno di questi è stato anche l’Ordine
cavalleresco della “Toison d’or”
generato appunto dalla mitica impresa
compiuta dagli Argonauti e materia del
poema di Apollonio Rodio intitolato
appunto “Le Argonautiche”.
La conquista della pelle di
quell’ariete alato era stata imposta a
Giasone dal re Pelia, suo zio, quale
condizione per la restituzione del trono
paterno, ma con l’intento segreto di
sbarazzarsene data la difficoltà
insormontabile dell’impresa. Infatti un
drago insonne stava a guardia di quel
vello appeso ai rami di una quercia in
un giardino sacro ad Ares, nelle terre
di Eete nel vicino Oriente.
In groppa a quell’ariete alato, inviato
provvidenzialmente dalla madre naturale
Nefele, due giovani, Frisso e la sorella
Elle, erano riusciti a sfuggire al
dominio della matrigna gelosa che ne
voleva la morte. Purtroppo Elle durante
il tragitto era scivolata dal dorso
dell’animale precipitando nel tratto di
mare che separa l’Europa dall’Asia e da
allora questo si chiamerà Ellesponto. Il
fratello, invece, raggiunta la Colchide,
aveva voluto sacrificare l’ariete a Zeus
protettore degli esuli e aveva
inchiodato a una quercia la sua pelle
“simile a una nuvola che rosseggia/
infiammandosi ai raggi del primo
mattino” (Apollonio Rodio, Argonautiche,
Mondadori, IV 125-126).
Giasone per raggiungere quelle terre
così lontane dall’Ellade si era fatto
costruire una nave di nome Argo, la
veloce, e aveva radunato gli eroi più
valorosi di tutta la Grecia, stirpe di
dei e di uomini, uniti da un eroico
compito: quello di avventurarsi in una
impresa straordinaria che si presumeva
costellata di molteplici rischi.
Ebbene quell’Ordine cavalleresco, uno
tra i vari che fiorirono dopo il
decadimento dei precedenti di carattere
religioso-militare legati alle Crociate,
ispirandosi a quel mito della classicità
univa allo spirito di avventura dei suoi
adepti il desiderio di compiere gesta
coraggiose tradotte in linguaggio
cristiano: era un travestimento del
cavaliere cortese.
Esso presentava caratteri molto
selettivi: i suoi trentun cavalieri (il
numero era rigorosamente chiuso) erano
principi sovrani e nobili di altissimo
rango e il suo Gran Maestro era lo
stesso duca di Borgogna, come in seguito
sarebbero stati tutti i suoi eredi sino
agli Asburgo di Spagna. A partire da
allora i temi argonautici in quel Ducato
vengono diffusamente raffigurati su
manufatti d’ogni tipo come lo sono anche
le storie di Troia che ritroviamo in
tanti manoscritti miniati.
Dal Cancelliere stesso dell’Ordine, tra
il 1463 e il 1473, verrà scritta una
Histoire de la Toison d’or
distribuita ai suoi membri, anch’essa in
preziosi manoscritti miniati, e poichè
come patrono dell’Ordine era stata
prescelta dal duca la biblica figura di
Gedeone quest’ultimo ispirerà la
composizione anche di numerosi arazzi
commissionati dallo stesso Filippo il
Buono. Manufatti questi di estrema
rilevanza aventi per tema non solo cicli
di storie sacre e profane, antiche e
moderne, ma anche altri soggetti
culturali, che per il loro pregio
artistico e il loro costo diverranno per
i vari principi europei degli status
symbol.
Nel secolo XV il Ducato di Borgogna
infatti costituiva per il livello
culturale e la raffinatezza raggiunti un
polo d’attrazione per le corti di tutta
Europa favorito dalla sua posizione
geografica. Lungo la linea di
demarcazione tra le attuali Francia e
Germania i suoi duchi erano riusciti a
creare uno Stato che ricordava l’antico
regno di Lotaringia riunendo
possedimenti su entrambi i lati e
congiungendo le Alpi con il mare del
Nord dopo l’acquisizione delle Fiandre:
ciò aveva favorito una fitta rete di
scambi oltre che di relazioni politiche
e commerciali.
La loro ascesa era stata lenta, ma
progressiva: essi affondavano le proprie
radici addirittura nel VI secolo quando
compare il toponimo “Burgundia” (da cui
“Borgogna”) derivante dalla tribù
germanica dei Burgundi che diede vita a
uno dei regni romano-barbarici che
presto però si dissolverà inglobato da
quello franco. Vari sovrani franchi
della dinastia merovingia, anche quando
il regno ormai non esisterà più,
continueranno ad assumere il titolo di
“re di Burgundia”.
L’istituzione successiva del Ducato di
Borgogna, che si estendeva più a ovest
della Burgundia, è una filiazione di
quei sovrani. Il suo primo duca fu
Riccardo il Giustiziere e dal 1015
Digione, che ne diverrà il centro
propulsore, entra a far parte di quel
Ducato.
In quel medesimo periodo storico in
esso si creano le condizioni perchè
diventi un importante punto di
riferimento per la cristianità. Nel
settembre del 910, infatti, in un
villaggio della Borgogna, precisamente a
Cluny, era sorto un centro monastico
benedettino che si era imposto da
subito all’attenzione, dando vita a una
rete di monasteri (se ne contarono
presto varie centinaia) che gli fecero
acquisire un enorme potere nonché una
cospicua ricchezza materiale grazie alle
numerose donazioni.
La sua prima, modesta, abbazia, dopo
l’ultimo grandioso rimaneggiamento,
rimarrà la più grande chiesa d’Europa
sino alla costruzione della Basilica di
San Pietro a Roma. A partire dal 1049 un
suo abate, Ugo, guiderà quel monastero
per sessant’anni e si può dire che in
quel periodo si verificò che la chiesa
cattolica facesse capo tanto alla
Borgogna quanto al papa di Roma.
Alcuni decenni più tardi, ad appena
cento chilometri di distanza, un altro
monaco, Roberto, per reazione al
rilassamento religioso e morale del
monachesimo cluniacense, fonderà a
Citeaux (“Cistercium” da cui
cistercense) un nuovo monastero di
osservanza più rigida della regola
benedettina in cui si privilegiava più
il “labora” che l’”ora”, più il
lavoro manuale che la preghiera. E’
Ottone di Borgogna a donare il terreno
su cui sarebbe sorta la loro abbazia
finanziandone l’espansione. Quei monaci
cistercensi accrebbero di molto la loro
visibilità quando entrò a far parte
dell’ordine la figura eminente di
Bernardo da Chiaravalle, la “Clara
Vallis” corrispondente al toponimo
francese “Clairvoux” indicante il luogo
dove il monaco successivamente si
ritirò.
Nato e cresciuto in Borgogna, egli
concepiva la propria comunità monastica
come animata da un profondo misticismo
fondato sulla povertà e l’ascesi
spirituale. Da quando ne fece parte, a
partire dal 1112, Bernardo si adoperò
molto per promuovere i valori in cui
credeva, così che alla fine del secolo
XIII si contavano 700 monasteri
cistercensi. Malgrado la vocazione
ascetica dei suoi adepti anche quella
comunità si trasformò nel tempo in una
delle più ricche e fortunate istituzioni
religiose d’Europa acquisendo grande
visibilità e influenza e la storia ci
dirà in seguito che i punti di forza del
potere borgognone saranno proprio la
cultura cavalleresca e il mondo dello
spirito e della fede.
A quella regola benedettina che imponeva
ai monaci, oltre alla preghiera, il
lavoro manuale è stato attribuito un
ruolo importante nello sviluppo
dell’economia agraria medievale e in
particolare nello sviluppo della
viticoltura in Borgogna, da molti secoli
ormai produttrice di superbi vini. Le
fonti storiche, però, ci dicono che già
in epoca romana, e quindi burgunda, la
coltivazione della vite in quell’area
geografica era diffusa, ma certamente a
quei monaci si dovette l’introduzione di
alcune importanti elaborazioni tecniche
che presiedevano alla vinificazione così
come nuovi accorgimenti nelle pratiche
agricole.
Nel 1361 la linea secondaria dei
Capetingi che successivamente si era
instaurata in Borgogna a partire dal
1032, morto l’ultimo duca privo di
eredi, si esaurì e quel Ducato tornò
alla corona francese. Sarà il successivo
passaggio del titolo di duca di Borgogna
con gli annessi possedimenti dal re
francese Giovanni il Buono al figlio
minore Filippo l’Ardito nell’anno 1369
a rendere di nuovo autonomo quel Ducato
facendone una delle regioni più ricche
d’Europa. E ciò potè avvenire grazie
anche all’acquisizione da parte di quel
duca di altri territori, quelli dei
Paesi Bassi storici, detti allora anche
Fiandre, che tanto contribuiranno a
rafforzarne il prestigio.
Tale acquisizione avvenne quando il duca
Filippo l’Ardito prese in moglie
Margherita, figlia del Conte delle
Fiandre, con un matrimonio i cui
festeggiamenti avrebbero tolto il fiato
a mezza Europa. Anche allora, come in
ogni importante ricevimento borgognone,
il vino dovette scorrere a fiumi con un
rituale scenografico di grande impatto
visivo, ma in particolare ciò sarà
avvenuto poiché fu proprio quel duca ad
adoperarsi molto per valorizzare i
vigneti della sua Borgogna.
I nuovi possedimenti fiamminghi erano
costituiti allora da quell’insieme di
territori nordici, all’origine
scarsamente centralizzati, che
corrispondevano a una delle aree più
avanzate d’Europa e che a causa della
loro crescente prosperità faranno gola
sia al re di Francia che
all’Inghilterra. Al primo le province
fiamminghe si sentivano legate da un
principio di fedeltà feudale, all’altra
invece da rapporti commerciali, partendo
dal fatto che grazie alla lana inglese
l’industria tessile locale si era potuta
così ampiamente sviluppare e fare la
fortuna di quelle popolazioni.
La loro forte identità non fu mai
pienamente intaccata dai duchi
borgognoni ed esse continuarono a
prosperare e a essere governate da una
dinastia di conti fiamminghi pur avendo
a che fare anche con il potere centrale
dei borgognoni.
I corsi d’acqua di quella regione
divennero le loro arterie economiche
quando ancora il trasporto fluviale e
marittimo era più conveniente di quello
terrestre. La crescente domanda di
manodopera da impiegare nell’industria
tessile trasformò molti loro villaggi
in città e queste divennero grandi
centri mercantili facendo di quell’area
la regione più densamente popolata
d’Europa.
Il commercio internazionale accrebbe in
particolare l’importanza di Bruges,
divenuta una città di mercanti,
intermediari e cambiavalute, una sorta
di culla del capitalismo, mentre Gand si
affermò come centro manifatturiero di
rilevante importanza e al tempo stesso
centro del potere politico. “Le Fiandre
si trasformarono così nella Silicon
Valley del Medioevo, una regione
all’avanguardia dell’industria, della
tecnologia e del commercio” ci dice Bart
Van der Loo nel suo prezioso recente
saggio intitolato Il regno scomparso.
Era ormai un grande Stato, quello di
Borgogna, che si sapeva per un certo
periodo abilmente destreggiare tra
Francia, Inghilterra, Fiandre e Sacro
Romano Impero. Filippo l’Ardito, stante
il declino delle facoltà mentali di
Carlo VI, re di Francia, fu arbitro con
Luigi d’Orleans della vita francese
mentre durante il ducato di suo figlio
Giovanni senza Paura i borgognoni si
alleeranno con gli Inglesi minacciando
la corona francese. L’aggressivo duca
farà uccidere addirittura il rivale
Luigi d’Orleans, ma a sua volta verrà
ucciso e gli succederà il duca Filippo
il Buono.
Improvvisamente, però, qualche decennio
dopo quel Ducato, caratterizzato sino
ad allora da grande potenza e vitalità,
finirà per implodere. Ciò avvenne quando
il suo ultimo ambizioso duca, Carlo il
Temerario, verrà sconfitto tragicamente
in battaglia a Nancy dalla coalizione di
forze nemiche che gli aveva opposto il
rivale re di Francia Luigi XI.
Il sogno di quel duca, una volta minato
alla base il legame con la Francia, era
quello di diventare re dei Romani e
quindi, dopo la consacrazione papale,
imperatore del Sacro Romano Impero, dal
momento che più della metà dei suoi
territori ne facevano parte ed egli era
allora il sovrano più potente
dell’Occidente. Ma il sostegno alla
realizzazione di quel suo sogno, che
egli aveva sperato di ottenere
dall’imperatore Federico III d’Asburgo,
venne meno e tutto naufragò. Restano
fissate negli annali della storia le
immagini di quel duca borgognone che
all’incontro con l’imperatore fissato a
Treviri nel 1473 si presenta con
un’armatura dorata su cui sfoggia un
mantello ornato di 1400 perle e 23
rubini, e dei cappelli che sfoggiò in
quei giorni, in particolare quello
sormontato da una gigantesca piuma di
cicogna tempestata di pietre preziose.
Così le terre del Ducato di Borgogna a
partire dal 1477 rientreranno nei
possedimenti della corona francese.
Quando Carlo V assumerà il potere
cercherà in più modi di riprendersi quei
territori perduti a cui si sentiva
profondamente legato, ma non gli sarà
più possibile, anche se continuerà a
rivendicarne il titolo. Egli sentiva la
Borgogna come la terra dei suoi antenati
tanto da essere definito come l’ultimo
dei borgognoni.
L’acquisizione di quel Ducato da parte
di suo nonno Massimiliano aveva fatto
della Casa d’Asburgo la diretta erede di
quella straordinaria tradizione
culturale, politica, cortigiana. Una
“grandeur” testimoniata dallo sfarzo e
dalla magnificenza di molti oggetti
conservati ancor oggi in collezioni
museali che documentano la liberalità di
quei duchi mecenati, protettori di molti
artisti e animatori di una vivacissima
vita di corte allietata da tornei,
banchetti e feste.
Egli potrà invece estendere
ulteriormente il suo dominio sui Paesi
Bassi Storici, che pure erano stati
tanto legati al Ducato borgognone,
rispolverando per questi una
denominazione che si attribuisce a Carlo
il Temerario, quella delle “Diciassette
Province”.
Egli voleva conservare quella loro
specificità
politico-economico-amministrativa che
era stata accettata dai duchi
borgognoni. Solo tre decenni dopo,
invece, dopo che Carlo V trasmise la sua
sovranità su di esse al figlio Filippo,
quelle medesime Province perdendo il
loro carattere unitario e
quell’interazione tra nord e sud che
tanti buoni risultati aveva dato, si
sarebbero divise in due Paesi distinti:
i Paesi Bassi spagnoli, trasformatisi
poi nell’attuale Belgio, e la Repubblica
delle Sette Province Unite, che
diverranno gli attuali Paesi Bassi,
detti successivamente anche Olanda.
Oggi pochi sanno di quell’antico Ducato
di Borgogna e del suo ruolo
significativo nella storia degli Stati
europei nei primi secoli del secondo
millennio. In particolare pochi sanno di
quei suoi principi dai nomi evocativi
come Filippo l’Ardito, Giovanni Senza
Paura, Filippo il Buono e Carlo il
Temerario che in quel lasso di tempo
ebbero a rapportarsi, a volte
diplomaticamente, altre volte
bellicosamente, con le grandi potenze di
allora, la Francia, l’Inghilterra e
l’Impero asburgico.
La guerra dei Cent’anni, quella delle
Due Rose, l’epoca eroica di Giovanna
d’Arco, li vide attivamente coinvolti,
alleati o nemici degli altri
protagonisti di quella stagione
tormentata della nostra storia, mentre
le loro corti fastose e raffinate si
imponevano sulla scenario europeo
offrendo un modello di vita culturale e
artistico di cui ancor oggi possiamo
percepire la valenza.
A distanza di tanti secoli ne cogliamo
ancora un’eco lontana in una delle tante
iniziative pseudoculturali che tendono a
vivacizzare durante la stagione estiva
le località turistiche. A Vasto, sino a
qualche anno fa, la sera del 24 luglio
era usanza allestire una
rappresentazione in costume della
consegna della onorificenza del Collare
del “Toson d’oro” alla famiglia dei
marchesi del Vasto, i D’Avalos, il cui
palazzo si erge imponente tra le
gradevoli costruzioni che connotano la
parte alta della cittadina adriatica.
Illustre famiglia spagnola, giunta in
Italia al seguito di Alfondo d’Aragona
nel 1435, essa aveva ottenuto dapprima
il possesso del marchesato di Pescara e
quindi nel 1496 il titolo ereditario di
marchesi del Vasto, uno dei quali,
fedelissimo di Carlo V, divenne
Governatore di Milano tra il 1538 e il
1544 ottenendo per questo
dall’imperatore quel prestigioso
riconoscimento.
Tale onorificenza sarebbe sopravvissuta
alle turbolenze dei secoli futuri: lo
prova il fatto che in tempi a noi vicini
ne siano stati insigniti ancora due re
del Belgio, Baldovino e Alberto II,
nonché la regina d’Olanda, Beatrice.
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