N. 95 - Novembre 2015
(CXXVI)
DROGHE E CONFLITTI
ADDICTED JIHAD
di Filippo Petrocelli
Il rinvenimento di siringhe e lacci emostatici in uno dei covi dei terroristi responsabili del massacro di venerdì 13 novembre 2015 ha occupato grande spazio nelle tragiche cronache del post-attentato di Parigi.
A
partire
da
questo
ritrovamento
sono
cominciate
innumerevoli
speculazioni
rispetto
al
consumo
di
droghe
da
parte
di
miliziani
dello
Stato
islamico,
guidate
più
dalla
voglia
di
scoop
che
non
da
sana
curiosità
professionale.
Tra
voli
pindarici
e
analisi
poco
aderenti
alla
realtà,
la
confusione
è
diventata
grande.
Al
solito
il
sensazionalismo
ha
prevalso
sulla
serietà,
sulla
deontologia
professionale
e la
confusione
generata
ha
offuscato
quel
che
rimane
della
verità.
Un
argomento
in
cui
diventa
difficile
orientarsi
perché
le
informazioni
scarseggiano,
non
sono
sempre
attendibili
o
quantomeno
risultano
filtrate.
Quasi
certamente
però
le
siringhe
che
hanno
acceso
l’attenzione
su
questa
questione
sono
servite
per
confezionare
gli
ordigni
più
che
per
assumere
sostanze
psicotrope,
come
riportano
già
diverse
fonti
vicine
agli
inquirenti.
Questo
perché
le
sostanze
più
diffuse
nei
recenti
conflitti
sono
in
maggioranza
anfetaminici,
che
per
convenienza
si
assumono
sotto
forma
di
pasticche
o
pillole
e
che
non
occorre
iniettare.
La
polizia
francese
sostiene
di
aver
trovato
tracce
di
questa
droga
sul
corpo
di
uno
dei
terroristi
responsabili
degli
attacchi
parigini.
Ma
le
smentite
e le
conferme
si
sovrappongono.
“Dottrinalmente”
non
solo
l’alcool,
ma
anche
le
droghe
e
persino
le
sigarette
sono
considerate
haram,
“proibite”
per
lo
Stato
islamico.
Nel
territorio
compreso
fra
Raqqa
e
Mosul,
posto
oggi
sotto
l’autorità
del
califfo
ci
sono
gruppi
di
miliziani
dedicati
proprio
al
controllo
di
queste
irregolarità
che
vengono
considerate
come
vere
e
proprie
perversioni,
punibili
con
punizioni
corporali
e il
carcere.
Per
i
trafficanti
di
droga
è in
vigore
la
pena
di
morte.
Per
chi
distilla
alcool
la
prigione
è
invece
una
certezza.
Ma
questo
non
sembra
fermare
sostanze
e
traffici.
Caso
emblematico
è
quello
del
Captagon,
anfetaminico
a
base
di
fenetillina,
diventato
per
molti
analisti
la
droga
più
diffusa
al
tempo
dei
conflitti
asimmetrici.
Sintetizzato
e
commercializzato
fin
dagli
anni
Sessanta
questa
sostanza
veniva
impiegata
per
curare
i
disturbi
dell’attenzione
e
problemi
di
depressione,
mentre
ora
è
diventata
per
molti
massmedia
la
temibile
“droga
dei
jihadisti”.
Come
ogni
anfetaminico
riduce
la
fatica
e la
fame
ed è
principalmente
per
questo
che
è
diventato
così
popolare
nella
macelleria
siriana.
Migliora
la
resistenza
dei
miliziani
più
che
abbattere
le
loro
paure,
almeno
stando
a
ciò
che
affermano
i
medici.
In
diversi
covi
di
jihadisti
e
ribelli
siriani,
sono
state
rinvenute
sia
da
parte
dell’esercito
siriano
fedele
a
Bashar
al
Assad
sia
dalle
milizie
curde
delle
Ypg,
Ypj
– le
Unità
di
difesa
del
popolo
vicine
al
Pkk
di
Ocalan
–
grandi
quantitativi
di
questa
sostanza.
Droga
molto
diffusa
in
Medioriente,
il
Captagon
è
prodotto
in
Libano,
ma
si
stanno
radicando
diversi
laboratori
anche
in
Siria,
installati
da
organizzazioni
criminali
o
milizie
interessate
al
traffico
di
droghe,
che
beneficiano
del
conflitto
in
corso
e
del
vuoto
di
potere
conseguente
per
affari
spregiudicati.
Nel
2013
sono
stati
rinvenute
oltre
15
milioni
di
pillole
in
un
laboratorio
di
Aleppo
gestito
da
ribelli
siriani.
L’Arabia
Saudita
è
invece
uno
dei
maggiori
consumatori
di
Captagon:
abusarne
è
diventato
uno
dei
passatempi
preferiti
dei
rampolli
annoiati
della
famiglie
bene
saudite,
a
suo
modo
una
droga
di
“moda”.
Questo
anfetaminico
è
anche
al
centro
di
un
complesso
scandalo
internazionale
che
sembra
partorito
dalla
penna
dei
migliori
scrittori
di
thriller
politici:
su
un
aereo
privato
del
principe
saudita
Abdul
Mohsen
bin
Walid
bin
Abdul
Aziz
al-Saud,
membro
della
famiglia
reale,
in
partenza
da
Beirut,
sono
stati
rinvenuti
diversi
milioni
di
pillole
diretti
non
si
sa
dove,
ma
che
sembra
fossero
destinati
alla
Siria,
proprio
sul
fronte
jihadista.
Droghe
e
conflitti
camminano
di
pari
passo
da
millenni:
ma
la
guerra
moderna
ha
comunque
stravolto
le
regole
anche
di
queste
pratiche
e
dalla
fine
dell’Ottocento,
le
strade
dei
conflitti
bellici
e
delle
sostanze
psicotrope
si
sono
ulteriormente
legate.
Dalla
Prima
alla
Seconda
guerra
mondiale,
arrivando
al
Vietnam
e
all’Afghanistan,
stati
alterati
e
operazioni
belliche
sono
diventati
una
realtà
anche
documentata.
Nelle
trincee
della
Prima
guerra
mondiale
oltre
a
quantità
inimmaginabili
di
tabacco
e
alcool
abbondavano
anche
le
anfetamine,
così
come
durante
la
Seconda
compariva
la
cocaina,
le
metanfetamine
e
tornavano
di
gran
moda
gli
oppiacei.
Stime
ufficiali
del
governo
americano
parlano
del
20%
di
soldati
tossicodipendenti
al
ritorno
dalla
guerra
in
Vietnam,
quando
all’ombra
della
macchina
bellica
a
stelle
e
strisce
proliferava
il
commercio
di
eroina
del
Triangolo
d’oro,
più
per
il
“tempo
libero”
dei
soldati
che
per
migliorarne
le
qualità
di
combattimento.
Sono
all’incirca
le
stesse
percentuali
dei
soldati
sovietici
tornati
dal
conflitto
afgano.
In
fondo
troppe
volte
si
dimentica
che
molte
droghe
sono
state
create
e
brevettate
dalle
case
farmaceutiche.
E
che
l’uso
bellico
di
queste
sostanze
è
spesso
un
terreno
privilegiato
di
sperimentazione.
Ancora
oggi,
molti
medicinali
contengo
estratti
o
percentuali
di
quelle
che
sono
comunemente
conosciute
come
sostanze
psicotrope.
Fino
al
metà
degli
anni
Venti
l’eroina
era
venduta
dalla
Bayer
come
calmante
per
la
tosse
molto
adatto
ai
bambini,
e
questa
ormai
è
storia,
così
come
la
cocaina
veniva
venduta
da
una
società
vicina
alla
Pfizer,
per
curare
diversi
disturbi.
A
dimostrazione
che
il
Captagon
è
solo
l’ultima
parentesi
di
una
lunga
storia.