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N. 129 - Settembre 2018 (CLX)

Dragon Boat: dalla Cina al mondo

Un'antica disciplina come terapia riabilitativa e socializzante

di Sara Fresi

 

L’origine della disciplina sportiva denominata Dragon Boat ha radici molto antiche. La tradizione la fa risalire a circa 2.300 anni fa, quando il poeta nazionalista Qū Yuán annegò nel fiume Mìluó, sito nella provincia di Húnán. Egli faceva parte di una nobile famiglia, considerato uomo saggio, onesto e di cultura, fu consigliere del sovrano di Chu rivestendo il ruolo di ministro.

 

In quel tempo il regno di Chu stava contrastando le mire espansionistiche del regno di Qín ed egli consigliò al re di rifiutare le offerte di pace dell’avversario. Il partito moderato denigrò Qū Yuán, convincendo in tal modo il re ad allontanarlo in esilio. Il poeta divenne triste e riversò il suo dolore nella poesia Li Sao (incontro al dolore), considerata la prima opera in versi attribuita a un singolo autore e un modello della poesia classica cinese.

 

Sempre secondo la tradizione, il quinto giorno della quinta luna del calendario lunare, anno corrispondente al 278 a.C. del calendario gregoriano, il poeta annegò nel fiume Mìluó. Alcuni pescatori corsero con le loro barche per cercarlo nelle acque del fiume, quindi batterono forte i tamburi provocando un gran frastuono per allontanare i pesci e recuperare il suo corpo.

 

In onore di Qū Yuán, considerato grande uomo vicino al popolo, è nata la festa del dragon boat, annualmente celebrata il giorno della sua morte. Durante le gare le barche-drago simbolicamente vanno a cercare il corpo di Qū Yuán e i tamburini che fanno parte dell’equipaggio fanno un gran frastuono e, secondo la tradizione, allontanano gli spiriti maligni.

 

Dal 2 ottobre 2009 il Festival del Dragon Boat è iscritto nella lista dei rappresentanti del patrimonio culturale immateriale dell’umanità (UNESCO). Il comitato intergovernativo con decisione 4.COM 13.12 ha preso atto che ogni anno dal quinto giorno del quinto mese lunare, numerosi gruppi etnici cinesi, nell’area centrale e meridionale del fiume Yangtze, e nel mondo celebrano il Festival del dragon boat.

 

Nello specifico, si tratta di una cerimonia che commemora un eroe locale, coniuga eventi sportivi, gastronomia, con la preparazione di zongzi, gnocchi di riso glutinoso avvolti nelle foglie di bambù, uova e vino di zolfo rubino e spettacoli folkloristici con danze e canti.

 

L’eroe può essere diverso da regione in regione: il più famoso è il poeta nazionalista Qū Yuán celebrato nelle province di Húběi e Húnán; il vecchio Wu Zixu morto mentre uccideva un drago nella provincia di Guizhou, nel sud della Cina; Yan Hongwo commemorato nella provincia dello Yúnnán tra la comunità Dai.

 

Coloro che prendono parte al Festival scacciano gli spiriti maligni facendo il bagno nell’acqua profumata di fiori, indossano abiti di seta con cinque colori, vengono appese sulle porte piante di moxa e calamo e incollano ritagli di carta nelle loro finestre.

 

Il Festival Dragon Boat comprende cerimonie, danze, spettacoli, giochi e la preparazione di cibi e bevande e attività che consolidano i legami all’interno delle famiglie, in un’atmosfera di armonia in grado di rafforzare la coesione sociale.

 

Tali tradizioni vengono trasmesse dalla comunità di generazione in generazione. Inoltre, è in grado di promuovere il dialogo e il rispetto tra le culture offrendo un esempio di ospitalità che consolida l’affetto tra le persone e incoraggia anche l’espressione dell’immaginazione e della creatività.

 

Interessante il contributo di Christian Bromberger, professore emerito di Antropologia all’Università di Aix-Marseille, con la ricerca Il calcio come “gioco profondo” e denso di significati inserito all’interno del volume L’umanità in gioco. Egli analizza i motivi che portano le nostre società ad appassionarsi alle competizioni sportive e, in particolare, al gioco del calcio.

 

All’interno del saggio vengono affrontati aspetti che possono essere rapportati al dragon boat. Partendo dalla necessità di ricerca di emozioni, aspetto essenziale dello spettacolo sportivo è la tifoseria, condizione necessaria i cui effetti fanno provare sul nostro stesso corpo la tensione preparativa, l’intensità del dramma che si svolge sul campo sentimenti che possono passare dalla gioia per la vittoria alla tristezza per la sconfitta.

 

La parola tifoso indica la violenza delle sensazioni che vengono vissute durante la gara e deriva da tifo, una malattia contagiosa che, tra i vari effetti, prevede febbre e agitazione. Spesso i tifosi esprimono, attraverso le parole e i comportamenti, l’intensità di questa esperienza corporea.

 

Il dragon boat, così come nel calcio, valorizza il lavoro di squadra, la solidarietà, la pianificazione collettiva e la divisione dei compiti, per esempio nel dragon boat i tamburini e i timonieri hanno la responsabilità di guidare i rematori. Il motto della squadra di calcio Benfica e pluribus unum indica la coesione necessaria in vista del successo, nel campo di gioco così come nella vita e questa è condizione fondamentale anche per le squadre di dragon boat, i cui componenti devono instaurare rapporti di concordia tra loro. Altro aspetto essenziale è il sacrificio a favore del gruppo.

 

Nelle gare emergono le appartenenze e gli antagonismi collettivi ed entrambe le predette discipline sportive sono di squadra e di contatto, perciò è importante che gli atleti instaurino rapporti di armonia e serenità, utili al progresso delle prestazioni durante le gare.

 

Venerdì 11 maggio 2018 ho effettuato una ricerca per trovare le squadre di dragon boat che hanno sede nella regione Lazio. Il mio interesse è andato alla A.S.D. Elliott Dragon Boat, un nome che rievocava la mia giovinezza, nello specifico la simpatia per il protagonista del film d’animazione Elliott il drago invisibile. Ho inviato una mail di presentazione chiedendo un incontro alla squadra per fare un colloquio e scoprire i benefici di questa disciplina sportiva. La sera stessa ho ricevuto una mail di risposta con l’invito a presenziare a un evento sportivo denominato “Palio Sabatinus - Ventennale ASD Elliott Dragon Boat Bracciano - Gara Nazionale di Fondo FIDB - 1000 m standard - Gara Staffetta Canoa Polinesiana 2-3000m - Trofeo Magda Macchi”. Positivamente sorpresa per la celere risposta e l’invito ricevuto, non ho esitato a confermare la mia presenza, per la mattina di domenica 13 maggio, al lago di Bracciano, presso via della Sposetta Vecchia, nonché lo specchio acqueo dove solitamente la squadra si riunisce per gli allenamenti.

 

Arrivata in loco mi è stato assegnato un posto vicino alla giuria. Mi è stata data una bella opportunità per comprendere, da vicino, le regole di questa disciplina sportiva. Alla manifestazione hanno partecipato altre due squadre: Etruria Dragon ASD (Capodimonte) e ASD Indiana Club (Roma). A intervalli di circa 30 minuti le 3 squadre hanno effettuato 3 gare denominate: misto, femminile e open, a bordo di dragon boat (barche lunghe 12,40m e larghe 1,12m), su un percorso di 1000 metri in linea.

 

In tale occasione, era presente Antonio De Lucia, il Presidente della Federazione Italiana Dragon Boat (FIDB) che, con grande disponibilità, mi ha argomentato la diffusione di questa disciplina sportiva in Italia. Le prime barche arrivarono nel nostro Paese nel 1987 al “Canottieri Roma”. Lo scorso anno sono stati festeggiati i 20 anni dalla fondazione della Federazione Italiana Dragon Boat. In Italia sono circa 30 le società agonistiche e ognuna ha molti atleti, da 30 a oltre 40. Il Presidente De Lucia ha ricordato che questo è uno sport facile che può essere praticato da bambini, anziani, persone disabili e, negli ultimi anni, è entrato nelle aziende per migliorare e cementare i rapporti interpersonali. La sede della FIDB è a Roma e nella regione Lazio è vivo un importante nucleo presente nei laghi di Bracciano, Bolsena, Sabaudia, Castel Gandolfo ed Eur. Quest’anno ci saranno tre appuntamenti internazionali prestigiosi: mondiali per club a Szeged in Ungheria, europei per nazione a Brandeburgo in Germania e mondiali per nazioni ad Atlanta capitale dello Stato della Georgia (U.S.A.).

 

In Italia ha una buona diffusione e la nostra nazionale è tra le più forti in Europa: nel 2017 è arrivata prima nei campionati europei svoltisi a Roma; lo scorso anno sono stati vinti 4 titoli mondiali; due anni fa 19 medaglie europee. Nel 2010 l’Italia ha partecipato al Festival che si è svolto a Hong Kong, con gare a Macao, e ha vinto il titolo internazionale. Il Presidente della FIDB ha dichiarato: “Siamo una piccola comunità, cerchiamo di essere uniti. Le persone che sono venute a mancare ci ricordano quanto sia importante essere qui a sorridere alla vita”.

 

Testimonianza che fa comprendere come questa disciplina sportiva sia anche elemento di unione tra i vivi che la praticano e quei defunti il cui ricordo diventa nitido tra i compagni di squadra. Il pensiero è andato alla compianta atleta della Elliott Magda Macchi, alla quale è stato dedicato il trofeo, e anche a tutte quelle donne operate al seno che hanno svolto questo sport per la riabilitazione e il benessere e che sono venute a mancare all’affetto dei propri cari e degli amici.

 

Dopo le gare e la cerimonia di premiazione di tutti i partecipanti ho avuto un colloquio con Sabrina Rossi, socia fondatrice e Presidente della A.S.D. Elliott Dragon Boat. La stessa mi ha riferito che questa associazione è nata nel 1997 e attualmente è l’unica presente sul lago di Bracciano. Nel 2017 hanno registrato una crescita qualitativa diventando campioni del mondo e quantitativa per il numero di iscrizioni, tra questi molti sono giovani. Gli atleti junior sono attratti dal dragon boat e dalla canoa polinesiana, quest’ultima è pensata proprio per i più giovani che hanno maggiore forza e vitalità da esprimere, perciò viene lasciata loro la possibilità di scegliere, al fine di far emergere le loro potenzialità e capacità. La Elliott è frequentata anche da persone con difficoltà motorie. Una ragazza è affetta da sclerosi multipla e si allena costantemente. Questa disciplina si è diffusa nelle aziende come team building, è stata compresa l’importanza di questo sport anche per il miglioramento dei rapporti umani tra persone che condividono lo stesso ambiente lavorativo e sono emersi risultati positivi nel rendimento. La presidente Rossi ha affermato: “Stare nella stessa barca diventa un lavoro di squadra dove ognuno ha delle responsabilità e se qualcuno è in difficoltà riceve l’aiuto dai compagni. Tutti diventano parte di un unico corpo. Quando la squadra sta bene dal punto di vista mentale, in gara si dà il massimo”. In tale dichiarazione emerge un aspetto importante: questo è uno sport che necessita della sensibilità di tutti i componenti del gruppo nella coordinazione della barca e la capacità di saper gestire sforzi elevati che incidono sulla concentrazione.

 

Una visione sugli aspetti della condivisione e socializzazione tra gli atleti è stata fornita da Stanislao Codella, esponente del Consiglio Direttivo, che ha ricordato la nascita della Elliott, quando inizialmente erano 8-9 persone, l’evoluzione della tecnica e la formazione di un gruppo più ampio di partecipanti. Esiste una forte unione. Tra gli atleti della Elliott, sono iscritti nuclei famigliari che praticano questa disciplina, non mancano casi di genitori e figli. Spesso la settimana successiva alle gare gli atleti si riuniscono il week end per mangiare insieme, un buon modo per conoscersi meglio e consolidare i rapporti di squadra. Di prassi si effettuano delle attività in palestra e, prima di salire sulla barca, il riscaldamento pre gara garantisce una migliore prestazione.

 

Uno degli obiettivi è la ricerca dell’armonia all’interno del gruppo, la barca è importante per imparare a conoscersi ed è stato riferito dallo stesso Consigliere Codella che “ogni tanto pagaiamo a occhi chiusi”, per accrescere il senso dell’equilibrio, ricordare meglio i movimenti e quelli dei compagni di squadra.

 

Il dragon boat si è avvicinato molto alla vita sociale, favorisce l’integrazione dei giovani per farli sentire parte attiva della società ed è utile per la prevenzione e il benessere psico-fisico delle donne operate al seno. Su quest’ultimo aspetto mi soffermo per accennare al progetto “Abreast in a boat” e alla scoperta fatta dal Dott. McKenzie nel 1996. Siamo in Canada e un équipe di medici è guidato dal Dott. Don McKenzie, specializzato in medicina sportiva e fisiologia dell’allenamento all’Università della British Columbia, di Vancouver.

 

Egli andò contro le teorie mediche di allora, secondo le quali, dopo il trattamento chirurgico del tumore al seno, la parte superiore del busto doveva essere tenuta a riposo, altrimenti ogni sforzo o esercizio fisico avrebbe potuto causare l’insorgere di linfedema. Il Dott. McKenzie coinvolse 24 donne operate al seno aventi differenti fasce di età, dai 30 ai 60 anni, aventi diversi stili di vita e propose loro di aderire a questo suo progetto di ricerca. Le partecipanti a questo progetto vennero sottoposte a un allenamento sia a terra che in acqua con il dragon boat, una disciplina sportiva a pagaia che mette a duro allenamento la parte superiore del corpo. Dopo cinque mesi il gruppo di donne fu pronto per partecipare alle gare di 650 metri al Festival Rio Tinto di dragon boat di Alcan. Quella fu la prima squadra di donne con il tumore al seno. Gli effetti di questo allenamento ebbero ricadute positive in tutte loro, si sentirono maggiormente in salute e in forma e nessuna sviluppò il linfedema. Fu un successo per il dott. McKenzie e le 24 donne continuarono ad allenarsi, coscienti di aver vinto la sfida, e incontrarsi per condividere quel divertimento e quel modo di sentirsi nella “stessa barca”. Nacquero così le prime “Donne Rosa nel Mondo”, le Dragon Ladies e Breast Cancer Survivor (BCS). Oggi sono attive in tutti i continenti oltre 150 squadre di donne operate di tumore al seno.

 

Tornando all’attività di ricerca su campo che ho svolto domenica 13 maggio, nell’ambito della gara di Bracciano, ho avuto il piacere di avere un colloquio con Annamaria Mazzini che ha partecipato alla manifestazione sportiva con la squadra ASD Elliott Dragon Boat. Una donna solare che ha accolto il dialogo con piacere, nel quale ha affrontato il tema dei benefici di questo sport per le donne operate al seno. Annamaria è stata operata anni fa e sente di avere una missione: dipingere sui corpi delle donne operate al seno attraverso la body art therapy. Lei è un’artista, dipinge sin da bambina ed è autrice di una pubblicazione dal titolo Gioia di vivere - Dialogo tra una pittrice e il suo cancro. Quando ha scoperto di avere una neoplasia era sconvolta e da quel dolore ha pensato di fare qualcosa, maturò l’idea che la sua arte era un mezzo a disposizione che poteva essere utilizzato come forma di guarigione. Per lei è stata una medicina. La cicatrice lascia un segno, non solo sull’epidermide, ma soprattutto nella mente, spesso diventa un trauma profondo. Quella cicatrice che è un brutto segno, attraverso i colori potrebbe essere trasformata in opera d’arte. Una forma di terapia che all’estero ha riscontrato notevole successo. Annamaria ha avuto esperienze in Florida, negli Stati Uniti d’America, a Melbourne in Australia ed è una terapia che in alcune strutture ospedaliere private viene utilizzata come sostegno psicologico prima, durante e dopo gli interventi e la chemioterapia.

 

Gli effetti di questa terapia sono molto soggettivi, dipende da come la persona sta attraversando quella fase. La body art therapy ha un valore potente per l’anima e per i valori personali. Il seno è un simbolo della femminilità e quando una donna viene sottoposta a un intervento del genere la mente fatica a cancellare il dolore. Le donne devono sentirsi belle e Annamaria vuole aiutarle. Ha così dichiarato: “I colori emanano energia che può essere una cura per l’anima e la psiche, a lungo termine accade qualcosa di meraviglioso”. A questo punto, dopo una breve pausa mi ha parlato del suo intervento. Dopo l’operazione ha iniziato a utilizzare le garze nei suoi dipinti, come lei ha riferito “proprio le garze quelle usate per le ferite che dobbiamo proteggere. Così come dobbiamo proteggere la vita, l’arte e la bellezza e proprio attraverso l’arte terapia cerco di far sentire meglio le donne”. Lei utilizza colori specifici per la pelle a base di acqua che lavandosi vanno via, ma può restare un bel ricordo fotografico. Annamaria fa parte anche dell’Associazione delle pagaie rosa Pink Butterfly di Roma, una squadra di donne operate al seno che praticano il dragon boat. Con emozione mi ha informata che a luglio, da venerdì 6 a domenica 8, è in programma per la prima volta in Italia, nella città di Firenze, l’International Breast Cancer Paddler’s Commission Dragon Boat Festival (IBCPC). Un evento internazionale, che si svolge ogni quattro anni, a cui possono aderire squadre di donne operate di tumore al seno (Breast Cancer Survivors) che svolgono detta pratica sportiva come attività riabilitativa post-operatoria. Tale manifestazione vedrà il coinvolgimento di 129 squadre in rappresentanza di 17 paesi e, per la prima volta, di tutti i continenti.

 

Sabato 19 maggio ho partecipato a una cena organizzata dalla Elliott. Senza pensarci troppo ho accettato di buon grado l’invito, felice per l’opportunità di trascorrere una serata con un bel gruppo sportivo così unito e di continuare la ricerca sul campo osservando da vicino i rapporti tra gli atleti fuori dal contesto sportivo e di allenamento. Presenti alla cena alcuni giovani atleti della Elliott, ho colloquiato con Daniele (18 anni), Simone (19 anni) e Valerio (20 anni). Simone e Valerio da circa un mese praticano questo sport ed entrambi hanno affermato di non essersi mai sentiti esclusi. Daniele è da un anno che fa dragon boat e dice di essere stato introdotto da suo padre che lo pratica da oltre 15 anni. I tre giovani hanno dichiarato che, oltre a divertirsi, fanno comunità tutti insieme, vengono trattati nello stesso modo e gli allenamenti non hanno tolto tempo al loro studio. Interessante la dichiarazione di Daniele: “Se mi impegno nell’attività sportiva ricevo, come ricompensa, la medaglia e la stessa cosa vale con lo studio. Se mi sono impegnato nello sport, riesco anche con lo studio a ricevere un bel voto”. I tre giovani hanno la volontà di praticare questo sport che emerge anche quando partecipano alle cene, dimostrando così la volontà e il piacere di vedere quelle persone con cui praticano dragon boat. Un solido rapporto di amicizia è visibile anche attraverso la condivisione del cibo che diventa un’opportunità molto sentita per ritrovarsi insieme.

 

Una caratteristica di queste cene è che alcuni componenti della squadra cucinano per tutti; coloro che partecipano sono invitati a portare alcuni cibi. Un’atmosfera famigliare è emersa sia a tavola che dopo la cena, dove tutti sono stati coinvolti in balli, compresi i giovani atleti e la sottoscritta. Tra le danze sono stati effettuati balli di gruppo, latino americani e mazurca. Ricordo che quest’ultima tipologia nasce come danza nazionale polacca ed ebbe una larga diffusione in tutta Europa tra il XVIII e XIX secolo e osservare adulti e soprattutto giovani cimentarsi in questo ballo è stata un’ulteriore dimostrazione della coesione presente all’interno della squadra. Nessuno poteva sentirsi escluso, tutti erano inclusi e si sentivano parte di una grande famiglia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bromberger C. (2017), Il calcio come "gioco profondo" e denso di significati, in L'umanità in gioco, Milano: Utet Libri.



 

 

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