N. 129 - Settembre 2018
(CLX)
Dragon Boat: dalla Cina al mondo
Un'antica
disciplina
come
terapia
riabilitativa
e
socializzante
di
Sara
Fresi
L’origine
della
disciplina
sportiva
denominata
Dragon
Boat
ha
radici
molto
antiche.
La
tradizione
la
fa
risalire
a
circa
2.300
anni
fa,
quando
il
poeta
nazionalista
Qū
Yuán
annegò
nel
fiume
Mìluó,
sito
nella
provincia
di
Húnán.
Egli
faceva
parte
di
una
nobile
famiglia,
considerato
uomo
saggio,
onesto
e di
cultura,
fu
consigliere
del
sovrano
di
Chu
rivestendo
il
ruolo
di
ministro.
In
quel
tempo
il
regno
di
Chu
stava
contrastando
le
mire
espansionistiche
del
regno
di
Qín
ed
egli
consigliò
al
re
di
rifiutare
le
offerte
di
pace
dell’avversario.
Il
partito
moderato
denigrò
Qū
Yuán,
convincendo
in
tal
modo
il
re
ad
allontanarlo
in
esilio.
Il
poeta
divenne
triste
e
riversò
il
suo
dolore
nella
poesia
Li
Sao
(incontro
al
dolore),
considerata
la
prima
opera
in
versi
attribuita
a un
singolo
autore
e un
modello
della
poesia
classica
cinese.
Sempre
secondo
la
tradizione,
il
quinto
giorno
della
quinta
luna
del
calendario
lunare,
anno
corrispondente
al
278
a.C.
del
calendario
gregoriano,
il
poeta
annegò
nel
fiume
Mìluó.
Alcuni
pescatori
corsero
con
le
loro
barche
per
cercarlo
nelle
acque
del
fiume,
quindi
batterono
forte
i
tamburi
provocando
un
gran
frastuono
per
allontanare
i
pesci
e
recuperare
il
suo
corpo.
In
onore
di
Qū
Yuán,
considerato
grande
uomo
vicino
al
popolo,
è
nata
la
festa
del
dragon
boat,
annualmente
celebrata
il
giorno
della
sua
morte.
Durante
le
gare
le
barche-drago
simbolicamente
vanno
a
cercare
il
corpo
di
Qū
Yuán
e i
tamburini
che
fanno
parte
dell’equipaggio
fanno
un
gran
frastuono
e,
secondo
la
tradizione,
allontanano
gli
spiriti
maligni.
Dal
2
ottobre
2009
il
Festival
del
Dragon
Boat
è
iscritto
nella
lista
dei
rappresentanti
del
patrimonio
culturale
immateriale
dell’umanità
(UNESCO).
Il
comitato
intergovernativo
con
decisione
4.COM
13.12
ha
preso
atto
che
ogni
anno
dal
quinto
giorno
del
quinto
mese
lunare,
numerosi
gruppi
etnici
cinesi,
nell’area
centrale
e
meridionale
del
fiume
Yangtze,
e
nel
mondo
celebrano
il
Festival
del
dragon
boat.
Nello
specifico,
si
tratta
di
una
cerimonia
che
commemora
un
eroe
locale,
coniuga
eventi
sportivi,
gastronomia,
con
la
preparazione
di
zongzi,
gnocchi
di
riso
glutinoso
avvolti
nelle
foglie
di
bambù,
uova
e
vino
di
zolfo
rubino
e
spettacoli
folkloristici
con
danze
e
canti.
L’eroe
può
essere
diverso
da
regione
in
regione:
il
più
famoso
è il
poeta
nazionalista
Qū
Yuán
celebrato
nelle
province
di
Húběi
e
Húnán;
il
vecchio
Wu
Zixu
morto
mentre
uccideva
un
drago
nella
provincia
di
Guizhou,
nel
sud
della
Cina;
Yan
Hongwo
commemorato
nella
provincia
dello
Yúnnán
tra
la
comunità
Dai.
Coloro
che
prendono
parte
al
Festival
scacciano
gli
spiriti
maligni
facendo
il
bagno
nell’acqua
profumata
di
fiori,
indossano
abiti
di
seta
con
cinque
colori,
vengono
appese
sulle
porte
piante
di
moxa
e
calamo
e
incollano
ritagli
di
carta
nelle
loro
finestre.
Il
Festival
Dragon
Boat
comprende
cerimonie,
danze,
spettacoli,
giochi
e la
preparazione
di
cibi
e
bevande
e
attività
che
consolidano
i
legami
all’interno
delle
famiglie,
in
un’atmosfera
di
armonia
in
grado
di
rafforzare
la
coesione
sociale.
Tali
tradizioni
vengono
trasmesse
dalla
comunità
di
generazione
in
generazione. Inoltre,
è in
grado
di
promuovere
il
dialogo
e il
rispetto
tra
le
culture
offrendo
un
esempio
di
ospitalità
che
consolida
l’affetto
tra
le
persone
e
incoraggia
anche
l’espressione
dell’immaginazione
e
della
creatività.
Interessante
il
contributo
di
Christian
Bromberger,
professore
emerito
di
Antropologia
all’Università
di
Aix-Marseille,
con
la
ricerca
Il
calcio
come
“gioco
profondo”
e
denso
di
significati
inserito
all’interno
del
volume
L’umanità
in
gioco.
Egli
analizza
i
motivi
che
portano
le
nostre
società
ad
appassionarsi
alle
competizioni
sportive
e,
in
particolare,
al
gioco
del
calcio.
All’interno
del
saggio
vengono
affrontati
aspetti
che
possono
essere
rapportati
al
dragon
boat.
Partendo
dalla
necessità
di
ricerca
di
emozioni,
aspetto
essenziale
dello
spettacolo
sportivo
è la
tifoseria,
condizione
necessaria
i
cui
effetti
fanno
provare
sul
nostro
stesso
corpo
la
tensione
preparativa,
l’intensità
del
dramma
che
si
svolge
sul
campo
sentimenti
che
possono
passare
dalla
gioia
per
la
vittoria
alla
tristezza
per
la
sconfitta.
La
parola
tifoso
indica
la
violenza
delle
sensazioni
che
vengono
vissute
durante
la
gara
e
deriva
da
tifo,
una
malattia
contagiosa
che,
tra
i
vari
effetti,
prevede
febbre
e
agitazione.
Spesso
i
tifosi
esprimono,
attraverso
le
parole
e i
comportamenti,
l’intensità
di
questa
esperienza
corporea.
Il
dragon
boat,
così
come
nel
calcio,
valorizza
il
lavoro
di
squadra,
la
solidarietà,
la
pianificazione
collettiva
e la
divisione
dei
compiti,
per
esempio
nel
dragon
boat
i
tamburini
e i
timonieri
hanno
la
responsabilità
di
guidare
i
rematori.
Il
motto
della
squadra
di
calcio
Benfica
e
pluribus
unum
indica
la
coesione
necessaria
in
vista
del
successo,
nel
campo
di
gioco
così
come
nella
vita
e
questa
è
condizione
fondamentale
anche
per
le
squadre
di
dragon
boat,
i
cui
componenti
devono
instaurare
rapporti
di
concordia
tra
loro.
Altro
aspetto
essenziale
è il
sacrificio
a
favore
del
gruppo.
Nelle
gare
emergono
le
appartenenze
e
gli
antagonismi
collettivi
ed
entrambe
le
predette
discipline
sportive
sono
di
squadra
e di
contatto,
perciò
è
importante
che
gli
atleti
instaurino
rapporti
di
armonia
e
serenità,
utili
al
progresso
delle
prestazioni
durante
le
gare.
Venerdì
11
maggio
2018
ho
effettuato
una
ricerca
per
trovare
le
squadre
di
dragon
boat
che
hanno
sede
nella
regione
Lazio.
Il
mio
interesse
è
andato
alla A.S.D.
Elliott
Dragon
Boat,
un
nome
che
rievocava
la
mia
giovinezza,
nello
specifico
la
simpatia
per
il
protagonista
del
film
d’animazione
Elliott
il
drago
invisibile.
Ho
inviato
una
mail
di
presentazione
chiedendo
un
incontro
alla
squadra
per
fare
un
colloquio
e
scoprire
i
benefici
di
questa
disciplina
sportiva.
La
sera
stessa
ho
ricevuto
una
mail
di
risposta
con
l’invito
a
presenziare
a un
evento
sportivo
denominato
“Palio
Sabatinus
-
Ventennale
ASD
Elliott
Dragon
Boat
Bracciano
-
Gara
Nazionale
di
Fondo
FIDB
-
1000
m
standard
-
Gara
Staffetta
Canoa
Polinesiana
2-3000m
-
Trofeo
Magda
Macchi”.
Positivamente
sorpresa
per
la
celere
risposta
e
l’invito
ricevuto,
non
ho
esitato
a
confermare
la
mia
presenza,
per
la
mattina
di
domenica
13
maggio,
al
lago
di
Bracciano,
presso
via
della
Sposetta
Vecchia,
nonché
lo
specchio
acqueo
dove
solitamente
la
squadra
si
riunisce
per
gli
allenamenti.
Arrivata
in
loco
mi è
stato
assegnato
un
posto
vicino
alla
giuria.
Mi è
stata
data
una
bella
opportunità
per
comprendere,
da
vicino,
le
regole
di
questa
disciplina
sportiva.
Alla
manifestazione
hanno
partecipato
altre
due
squadre:
Etruria
Dragon
ASD
(Capodimonte)
e
ASD
Indiana
Club
(Roma).
A
intervalli
di
circa
30
minuti
le 3
squadre
hanno
effettuato
3
gare
denominate:
misto,
femminile
e
open,
a
bordo
di
dragon
boat
(barche
lunghe
12,40m
e
larghe
1,12m),
su
un
percorso
di
1000
metri
in
linea.
In
tale
occasione,
era
presente
Antonio
De
Lucia,
il
Presidente
della
Federazione
Italiana
Dragon
Boat
(FIDB)
che,
con
grande
disponibilità,
mi
ha
argomentato
la
diffusione
di
questa
disciplina
sportiva
in
Italia.
Le
prime
barche
arrivarono
nel
nostro
Paese
nel
1987
al
“Canottieri
Roma”.
Lo
scorso
anno
sono
stati
festeggiati
i 20
anni
dalla
fondazione
della
Federazione
Italiana
Dragon
Boat.
In
Italia
sono
circa
30
le
società
agonistiche
e
ognuna
ha
molti
atleti,
da
30 a
oltre
40.
Il
Presidente
De
Lucia
ha
ricordato
che
questo
è
uno
sport
facile
che
può
essere
praticato
da
bambini,
anziani,
persone
disabili
e,
negli
ultimi
anni,
è
entrato
nelle
aziende
per
migliorare
e
cementare
i
rapporti
interpersonali.
La
sede
della
FIDB
è a
Roma
e
nella
regione
Lazio
è
vivo
un
importante
nucleo
presente
nei
laghi
di
Bracciano,
Bolsena,
Sabaudia,
Castel
Gandolfo
ed
Eur.
Quest’anno
ci
saranno
tre
appuntamenti
internazionali
prestigiosi:
mondiali
per
club
a
Szeged
in
Ungheria,
europei
per
nazione
a
Brandeburgo
in
Germania
e
mondiali
per
nazioni
ad
Atlanta
capitale
dello
Stato
della
Georgia
(U.S.A.).
In
Italia
ha
una
buona
diffusione
e la
nostra
nazionale
è
tra
le
più
forti
in
Europa:
nel
2017
è
arrivata
prima
nei
campionati
europei
svoltisi
a
Roma;
lo
scorso
anno
sono
stati
vinti
4
titoli
mondiali;
due
anni
fa
19
medaglie
europee.
Nel
2010
l’Italia
ha
partecipato
al
Festival
che
si è
svolto
a
Hong
Kong,
con
gare
a
Macao,
e ha
vinto
il
titolo
internazionale.
Il
Presidente
della
FIDB
ha
dichiarato:
“Siamo
una
piccola
comunità,
cerchiamo
di
essere
uniti.
Le
persone
che
sono
venute
a
mancare
ci
ricordano
quanto
sia
importante
essere
qui
a
sorridere
alla
vita”.
Testimonianza
che
fa
comprendere
come
questa
disciplina
sportiva
sia
anche
elemento
di
unione
tra
i
vivi
che
la
praticano
e
quei
defunti
il
cui
ricordo
diventa
nitido
tra
i
compagni
di
squadra.
Il
pensiero
è
andato
alla
compianta
atleta
della
Elliott
Magda
Macchi,
alla
quale
è
stato
dedicato
il
trofeo,
e
anche
a
tutte
quelle
donne
operate
al
seno
che
hanno
svolto
questo
sport
per
la
riabilitazione
e il
benessere
e
che
sono
venute
a
mancare
all’affetto
dei
propri
cari
e
degli
amici.
Dopo
le
gare
e la
cerimonia
di
premiazione
di
tutti
i
partecipanti
ho
avuto
un
colloquio
con
Sabrina
Rossi,
socia
fondatrice
e
Presidente
della
A.S.D.
Elliott
Dragon
Boat.
La
stessa
mi
ha
riferito
che
questa
associazione
è
nata
nel
1997
e
attualmente
è
l’unica
presente
sul
lago
di
Bracciano.
Nel
2017
hanno
registrato
una
crescita
qualitativa
diventando
campioni
del
mondo
e
quantitativa
per
il
numero
di
iscrizioni,
tra
questi
molti
sono
giovani.
Gli
atleti
junior
sono
attratti
dal
dragon
boat
e
dalla
canoa
polinesiana,
quest’ultima
è
pensata
proprio
per
i
più
giovani
che
hanno
maggiore
forza
e
vitalità
da
esprimere,
perciò
viene
lasciata
loro
la
possibilità
di
scegliere,
al
fine
di
far
emergere
le
loro
potenzialità
e
capacità.
La
Elliott
è
frequentata
anche
da
persone
con
difficoltà
motorie.
Una
ragazza
è
affetta
da
sclerosi
multipla
e si
allena
costantemente.
Questa
disciplina
si è
diffusa
nelle
aziende
come
team
building,
è
stata
compresa
l’importanza
di
questo
sport
anche
per
il
miglioramento
dei
rapporti
umani
tra
persone
che
condividono
lo
stesso
ambiente
lavorativo
e
sono
emersi
risultati
positivi
nel
rendimento.
La
presidente
Rossi
ha
affermato:
“Stare
nella
stessa
barca
diventa
un
lavoro
di
squadra
dove
ognuno
ha
delle
responsabilità
e se
qualcuno
è in
difficoltà
riceve
l’aiuto
dai
compagni.
Tutti
diventano
parte
di
un
unico
corpo.
Quando
la
squadra
sta
bene
dal
punto
di
vista
mentale,
in
gara
si
dà
il
massimo”.
In
tale
dichiarazione
emerge
un
aspetto
importante:
questo
è
uno
sport
che
necessita
della
sensibilità
di
tutti
i
componenti
del
gruppo
nella
coordinazione
della
barca
e la
capacità
di
saper
gestire
sforzi
elevati
che
incidono
sulla
concentrazione.
Una
visione
sugli
aspetti
della
condivisione
e
socializzazione
tra
gli
atleti
è
stata
fornita
da
Stanislao
Codella,
esponente
del
Consiglio
Direttivo,
che
ha
ricordato
la
nascita
della
Elliott,
quando
inizialmente
erano
8-9
persone,
l’evoluzione
della
tecnica
e la
formazione
di
un
gruppo
più
ampio
di
partecipanti.
Esiste
una
forte
unione.
Tra
gli
atleti
della
Elliott,
sono
iscritti
nuclei
famigliari
che
praticano
questa
disciplina,
non
mancano
casi
di
genitori
e
figli.
Spesso
la
settimana
successiva
alle
gare
gli
atleti
si
riuniscono
il
week
end
per
mangiare
insieme,
un
buon
modo
per
conoscersi
meglio
e
consolidare
i
rapporti
di
squadra.
Di
prassi
si
effettuano
delle
attività
in
palestra
e,
prima
di
salire
sulla
barca,
il
riscaldamento
pre
gara
garantisce
una
migliore
prestazione.
Uno
degli
obiettivi
è la
ricerca
dell’armonia
all’interno
del
gruppo,
la
barca
è
importante
per
imparare
a
conoscersi
ed è
stato
riferito
dallo
stesso
Consigliere
Codella
che
“ogni
tanto
pagaiamo
a
occhi
chiusi”,
per
accrescere
il
senso
dell’equilibrio,
ricordare
meglio
i
movimenti
e
quelli
dei
compagni
di
squadra.
Il
dragon
boat
si è
avvicinato
molto
alla
vita
sociale,
favorisce
l’integrazione
dei
giovani
per
farli
sentire
parte
attiva
della
società
ed è
utile
per
la
prevenzione
e il
benessere
psico-fisico
delle
donne
operate
al
seno.
Su
quest’ultimo
aspetto
mi
soffermo
per
accennare
al
progetto
“Abreast
in a
boat”
e
alla
scoperta
fatta
dal
Dott.
McKenzie
nel
1996.
Siamo
in
Canada
e un
équipe
di
medici
è
guidato
dal
Dott.
Don
McKenzie,
specializzato
in
medicina
sportiva
e
fisiologia
dell’allenamento
all’Università
della
British
Columbia,
di
Vancouver.
Egli
andò
contro
le
teorie
mediche
di
allora,
secondo
le
quali,
dopo
il
trattamento
chirurgico
del
tumore
al
seno,
la
parte
superiore
del
busto
doveva
essere
tenuta
a
riposo,
altrimenti
ogni
sforzo
o
esercizio
fisico
avrebbe
potuto
causare
l’insorgere
di
linfedema.
Il
Dott.
McKenzie
coinvolse
24
donne
operate
al
seno
aventi
differenti
fasce
di
età,
dai
30
ai
60
anni,
aventi
diversi
stili
di
vita
e
propose
loro
di
aderire
a
questo
suo
progetto
di
ricerca.
Le
partecipanti
a
questo
progetto
vennero
sottoposte
a un
allenamento
sia
a
terra
che
in
acqua
con
il
dragon
boat,
una
disciplina
sportiva
a
pagaia
che
mette
a
duro
allenamento
la
parte
superiore
del
corpo.
Dopo
cinque
mesi
il
gruppo
di
donne
fu
pronto
per
partecipare
alle
gare
di
650
metri
al
Festival
Rio
Tinto
di
dragon
boat
di
Alcan.
Quella
fu
la
prima
squadra
di
donne
con
il
tumore
al
seno.
Gli
effetti
di
questo
allenamento
ebbero
ricadute
positive
in
tutte
loro,
si
sentirono
maggiormente
in
salute
e in
forma
e
nessuna
sviluppò
il
linfedema.
Fu
un
successo
per
il
dott.
McKenzie
e le
24
donne
continuarono
ad
allenarsi,
coscienti
di
aver
vinto
la
sfida,
e
incontrarsi
per
condividere
quel
divertimento
e
quel
modo
di
sentirsi
nella
“stessa
barca”.
Nacquero
così
le
prime
“Donne
Rosa
nel
Mondo”,
le
Dragon
Ladies
e
Breast
Cancer
Survivor
(BCS).
Oggi
sono
attive
in
tutti
i
continenti
oltre
150
squadre
di
donne
operate
di
tumore
al
seno.
Tornando
all’attività
di
ricerca
su
campo
che
ho
svolto
domenica
13
maggio,
nell’ambito
della
gara
di
Bracciano,
ho
avuto
il
piacere
di
avere
un
colloquio
con
Annamaria
Mazzini
che
ha
partecipato
alla
manifestazione
sportiva
con
la
squadra
ASD
Elliott
Dragon
Boat.
Una
donna
solare
che
ha
accolto
il
dialogo
con
piacere,
nel
quale
ha
affrontato
il
tema
dei
benefici
di
questo
sport
per
le
donne
operate
al
seno.
Annamaria
è
stata
operata
anni
fa e
sente
di
avere
una
missione:
dipingere
sui
corpi
delle
donne
operate
al
seno
attraverso
la
body
art
therapy.
Lei
è
un’artista,
dipinge
sin
da
bambina
ed è
autrice
di
una
pubblicazione
dal
titolo
Gioia
di
vivere
-
Dialogo
tra
una
pittrice
e il
suo
cancro.
Quando
ha
scoperto
di
avere
una
neoplasia
era
sconvolta
e da
quel
dolore
ha
pensato
di
fare
qualcosa,
maturò
l’idea
che
la
sua
arte
era
un
mezzo
a
disposizione
che
poteva
essere
utilizzato
come
forma
di
guarigione.
Per
lei
è
stata
una
medicina.
La
cicatrice
lascia
un
segno,
non
solo
sull’epidermide,
ma
soprattutto
nella
mente,
spesso
diventa
un
trauma
profondo.
Quella
cicatrice
che
è un
brutto
segno,
attraverso
i
colori
potrebbe
essere
trasformata
in
opera
d’arte.
Una
forma
di
terapia
che
all’estero
ha
riscontrato
notevole
successo.
Annamaria
ha
avuto
esperienze
in
Florida,
negli
Stati
Uniti
d’America,
a
Melbourne
in
Australia
ed è
una
terapia
che
in
alcune
strutture
ospedaliere
private
viene
utilizzata
come
sostegno
psicologico
prima,
durante
e
dopo
gli
interventi
e la
chemioterapia.
Gli
effetti
di
questa
terapia
sono
molto
soggettivi,
dipende
da
come
la
persona
sta
attraversando
quella
fase.
La
body
art therapy
ha
un
valore
potente
per
l’anima
e
per
i
valori
personali.
Il
seno
è un
simbolo
della
femminilità
e
quando
una
donna
viene
sottoposta
a un
intervento
del
genere
la
mente
fatica
a
cancellare
il
dolore.
Le
donne
devono
sentirsi
belle
e
Annamaria
vuole
aiutarle.
Ha
così
dichiarato:
“I
colori
emanano
energia
che
può
essere
una
cura
per
l’anima
e la
psiche,
a
lungo
termine
accade
qualcosa
di
meraviglioso”.
A
questo
punto,
dopo
una
breve
pausa
mi
ha
parlato
del
suo
intervento.
Dopo
l’operazione
ha
iniziato
a
utilizzare
le
garze
nei
suoi
dipinti,
come
lei
ha
riferito
“proprio
le
garze
quelle
usate
per
le
ferite
che
dobbiamo
proteggere.
Così
come
dobbiamo
proteggere
la
vita,
l’arte
e la
bellezza
e
proprio
attraverso
l’arte
terapia
cerco
di
far
sentire
meglio
le
donne”.
Lei
utilizza
colori
specifici
per
la
pelle
a
base
di
acqua
che
lavandosi
vanno
via,
ma
può
restare
un
bel
ricordo
fotografico.
Annamaria
fa
parte
anche
dell’Associazione
delle
pagaie
rosa
Pink
Butterfly
di
Roma,
una
squadra
di
donne
operate
al
seno
che
praticano
il
dragon
boat.
Con
emozione
mi
ha
informata
che
a
luglio,
da
venerdì
6 a
domenica
8, è
in
programma
per
la
prima
volta
in
Italia,
nella
città
di
Firenze,
l’International
Breast
Cancer
Paddler’s
Commission
Dragon
Boat
Festival
(IBCPC).
Un
evento
internazionale,
che
si
svolge
ogni
quattro
anni,
a
cui
possono
aderire
squadre
di
donne
operate
di
tumore
al
seno
(Breast
Cancer
Survivors)
che
svolgono
detta
pratica
sportiva
come
attività
riabilitativa
post-operatoria.
Tale
manifestazione
vedrà
il
coinvolgimento
di
129
squadre
in
rappresentanza
di
17
paesi
e,
per
la
prima
volta,
di
tutti
i
continenti.
Sabato
19
maggio
ho
partecipato
a
una
cena
organizzata
dalla
Elliott.
Senza
pensarci
troppo
ho
accettato
di
buon
grado
l’invito,
felice
per
l’opportunità
di
trascorrere
una
serata
con
un
bel
gruppo
sportivo
così
unito
e di
continuare
la
ricerca
sul
campo
osservando
da
vicino
i
rapporti
tra
gli
atleti
fuori
dal
contesto
sportivo
e di
allenamento.
Presenti
alla
cena
alcuni
giovani
atleti
della
Elliott,
ho
colloquiato
con
Daniele
(18
anni),
Simone
(19
anni)
e
Valerio
(20
anni).
Simone
e
Valerio
da
circa
un
mese
praticano
questo
sport
ed
entrambi
hanno
affermato
di
non
essersi
mai
sentiti
esclusi.
Daniele
è da
un
anno
che
fa
dragon
boat
e
dice
di
essere
stato
introdotto
da
suo
padre
che
lo
pratica
da
oltre
15
anni.
I
tre
giovani
hanno
dichiarato
che,
oltre
a
divertirsi,
fanno
comunità
tutti
insieme,
vengono
trattati
nello
stesso
modo
e
gli
allenamenti
non
hanno
tolto
tempo
al
loro
studio.
Interessante
la
dichiarazione
di
Daniele:
“Se
mi
impegno
nell’attività
sportiva
ricevo,
come
ricompensa,
la
medaglia
e la
stessa
cosa
vale
con
lo
studio.
Se
mi
sono
impegnato
nello
sport,
riesco
anche
con
lo
studio
a
ricevere
un
bel
voto”.
I
tre
giovani
hanno
la
volontà
di
praticare
questo
sport
che
emerge
anche
quando
partecipano
alle
cene,
dimostrando
così
la
volontà
e il
piacere
di
vedere
quelle
persone
con
cui
praticano
dragon
boat.
Un
solido
rapporto
di
amicizia
è
visibile
anche
attraverso
la
condivisione
del
cibo
che
diventa
un’opportunità
molto
sentita
per
ritrovarsi
insieme.
Una
caratteristica
di
queste
cene
è
che
alcuni
componenti
della
squadra
cucinano
per
tutti;
coloro
che
partecipano
sono
invitati
a
portare
alcuni
cibi.
Un’atmosfera
famigliare
è
emersa
sia
a
tavola
che
dopo
la
cena,
dove
tutti
sono
stati
coinvolti
in
balli,
compresi
i
giovani
atleti
e la
sottoscritta.
Tra
le
danze
sono
stati
effettuati
balli
di
gruppo,
latino
americani
e
mazurca.
Ricordo
che
quest’ultima
tipologia
nasce
come
danza
nazionale
polacca
ed
ebbe
una
larga
diffusione
in
tutta
Europa
tra
il
XVIII
e
XIX
secolo
e
osservare
adulti
e
soprattutto
giovani
cimentarsi
in
questo
ballo
è
stata
un’ulteriore
dimostrazione
della
coesione
presente
all’interno
della
squadra.
Nessuno
poteva
sentirsi
escluso,
tutti
erano
inclusi
e si
sentivano
parte
di
una
grande
famiglia.
Riferimenti
bibliografici:
Bromberger
C.
(2017),
Il
calcio
come
"gioco
profondo"
e
denso
di
significati,
in
L'umanità
in
gioco,
Milano:
Utet
Libri.