N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
La dottrina Monroe
Il “firewall” contro l’Europa
di Giovanni De Notaris
Nei
primi
anni
Venti
dell’Ottocento
il
sud-America
fu
scosso
da
una
sequenza
di
movimenti
insurrezionali
che
resero
per
la
monarchia
spagnola
alquanto
difficile
gestire
colonie
come
Argentina,
Cile,
Colombia
e
Messico.
Questi
movimenti
insurrezionali
furono
visti
dagli
Stati
Uniti
come
un
imperdibile
occasione
per
sferrare
un
colpo
decisivo
alla
presenza
europea
in
tutto
l’emisfero
americano,
oltre
a
suscitare
in
loro
anche
un
sentimento
di
solidarietà.
Anche
la
Russia,
intanto,
tentava
di
espandersi
in
territorio
nordamericano.
Tutto
questo
avveniva
durante
il
secondo
mandato
di
James
Monroe,
5°
presidente
degli
Stati
Uniti.
Per
quanto
il
presidente
volesse
mantenere
buone
relazioni
diplomatiche
con
la
monarchia
spagnola,
non
poteva
però
certo
trascurare
quelle
che,
tra
i
politici
di
Washington,
venivano
viste
come
tante
piccole
rivoluzioni
sorelle
contro
le
dittature
europee.
Cosicché
in
un
primo
momento
la
politica
del
presidente
fu
quella
di
un’assoluta
neutralità,
anche
perché
gli
Stati
Uniti,
privi
di
forze
tali
da
poter
sostenere
una
nuova
guerra,
non
potevano
inviare
supporti
militari
ai
paesi
sudamericani.
Nel
1822,
tra
l’altro,
al
presidente
stava
a
cuore
anche
la
ratifica
del
Transcontinental
Treaty,
firmato
nel
1819
con
la
Spagna.
Con
quel
trattato
finalmente
gli
Stati
Uniti
acquisirono
la
Florida,
incrementando
così
ancor
di
più
il
territorio
nazionale
dopo
l’acquisto
della
Louisiana
effettuato
da
Thomas
Jefferson
nel
1803,
confermando
così
l’imperativo
espansionistico
fino
al
Pacifico.
Monroe
continuava,
quindi,
solo
a
sostenere
i
comuni
principi
con
le
rivoluzioni
sudamericane.
Non
voleva
infatti
apparire
lontano
da
quei
paesi
anche
per
un
motivo
molto
banale:
le
risorse
naturali
dei
luoghi
e
l’apertura
di
nuovi
orizzonti
commerciali.
Dopo
la
ratifica
del
trattato,
però,
le
cose
cominciarono
a
cambiare.
Proprio
perché
ora
gli
Stati
Uniti
sentivano
ancor
più
vicino
il
traguardo
del
Pacifico,
dovevano
per
questo
tutelare
anche
i
confini
meridionali
da
eventuali
infiltrazioni
europee.
Guardavano
adesso
con
nuovi
occhi
all’America
centrale
e
meridionale,
laddove
appunto
la
presenza
europea,
spagnola
in
particolare,
era
ancora
ben
forte.
Ma
le
sciagure
non
vengono
mai
da
sole.
Mentre
si
ragionava
su
come
risolvere
questo
problema,
se
ne
pose
un
altro.
Lo
zar
Alessandro
I di
Russia
lasciò
trapelare
di
non
condividere
l’evoluzione
liberale
delle
colonie
spagnole.
È
probabile
che
questa
fosse
una
risposta
alla
mai
celata
insofferenza
degli
Stati
Uniti
alla
presenza
russa
in
territorio
nordamericano.
Nel
1821
dunque,
la
Russia
delimitò
un
area
di
100
miglia
a
nord
del
51°
parallelo,
nel
Pacifico
del
nord,
vietandone
il
passaggio
a
navi
straniere.
Gli
Stati
Uniti
protestarono,
comunicando
che
non
avrebbero
tollerato
più
interferenze
europee
sul
territorio
nordamericano.
Ma
il
timore
di
un
intervento
della
Santa
Alleanza
(Russia,
Prussia
e
Austria),
consigliò
ancora
una
volta
cautela.
In
questa
fase
di
stallo
inaspettatamente
si
inserì
il
nemico
di
sempre,
l’Inghilterra.
L’ex
madrepatria
poteva
essere
funzionale
ai
disegni
americani
in
due
modi:
perché,
pur
di
arginare
il
potere
della
Santa
Alleanza
in
Europa,
avrebbe
aiutato
le
colonie
sudamericane
a
rivoltarsi,
e
perché,
secondo
il
governo
americano,
un
accordo
con
la
monarchia
britannica
avrebbe
potuto
mitigare
proprio
le
ambizioni
marittime
dell’Inghilterra
stessa.
La
Francia,
ad
esempio,
venne
diffidata
dagli
inglesi
dal
sostenere
la
Spagna
contro
le
sue
colonie.
Nel
1822
gli
Stati
Uniti
decisero
finalmente
di
riconoscere
formalmente
i
nuovi
stati
sudamericani.
Monroe
difatti
sosteneva
che
quegli
stati
che
si
erano
ribellati,
pur
restando
liberi
di
scegliere
la
forma
di
governo
che
desideravano,
di
certo
non
avrebbero
scelto
nuovamente
un
sistema
dispotico,
di
loro
spontanea
volontà.
Unicamente,
quindi,
per
tutelare
questa
scelta,
e
non
per
imporre
il
loro
sistema
politico,
gli
Stati
Uniti
si
sarebbero
sentiti
in
dovere
di
intervenire,
anche
perché
quegli
stati
non
potevano
difendersi
da
soli.
Monroe
si
consultò
allora
con
i
suoi
predecessori,
Jefferson
e
James
Madison,
che
dovettero
convenire
sulla
necessità
assoluta
di
mandar
via
dal
loro
emisfero
le
potenze
europee
e,
in
fondo,
un
accordo
con
l’Inghilterra
era
il
male
minore.
Cosicché
gli
Stati
Uniti
avvisarono
l’Europa
che
sia
loro
che
l’Inghilterra
non
avrebbero
acquisito
altri
domini
coloniali
nell’emisfero
americano,
auspicando
che
anche
le
altre
potenze
europee
seguissero
il
loro
esempio.
Gli
Stati
Uniti
affermarono,
inoltre,
che
non
avrebbero
interferito
in
alcuna
questione
europea,
ma
in
cambio
chiedevano
di
non
attentare
ai
loro
principi
nel
loro
emisfero
di
appartenenza.
La
linea
di
pensiero
americana
aveva
ormai
preso
piede;
ora
la
parola
definitiva
spettava
al
presidente.
Nel
dicembre
del
1823
Monroe
inviò
al
Congresso
il
suo
settimo
messaggio
sullo
stato
dell’Unione,
che
comprendeva
alcuni
passi
che
sarebbero
diventati
noti
come
la
“dottrina
Monroe”.
Vediamoli:
Il
nord
e
sud-America
non
sarebbero
più
stati
disposti
a
assoggettarsi
alla
colonizzazione
europea,
e
ogni
tentativo
delle
monarchie
europee
di
estendere
i
loro
principi
all’emisfero
occidentale
sarebbe
stato
considerato
come
atto
di
guerra
nei
confronti
degli
Stati
Uniti.
Gli
Stati
Uniti
mantenevano
la
loro
neutralità
nei
confronti
delle
repubbliche
sudamericane,
che
venivano
riconosciute
come
libere,
ma
se
gli
europei
le
avessero
oppresse
sarebbe
stato
un
atto
di
inimicizia
nei
confronti
degli
Stati
Uniti.
Gli
Stati
Uniti
sarebbero
rimasti
neutrali
nelle
guerre
tra
Spagna
e
paesi
sudamericani,
solo
se
quelle
guerre
non
avessero
causato
danni
alla
sicurezza
nazionale
degli
Stati
Uniti
stessi.
Gli
Stati
Uniti
avrebbero
sostanzialmente
continuato
a
perseguire
relazioni
cordiali
con
i
paesi
europei
senza
interferire
nelle
loro
faccende,
ma
chiedevano
lo
stesso
in
cambio.
Per
ciò
che
attiene,
quindi,
alle
repubbliche
sudamericane
gli
Stati
Uniti
volevano
semplicemente
che
si
amministrassero
da
sole.
Già
da
questo
momento,
dunque,
il
mondo
cominciava
a
assumere
quell’immagine
bipolare
che
avrebbe
avuto
fino
alla
fine
della
guerra
fredda:
l’occidente,
rappresentante
del
bene
e
della
libertà,
e
l’Europa,
il
vecchio
mondo
dell’oppressione
e
della
dittatura.
A
questo
punto
proviamo,
seppur
brevemente,
a
ricordare
alcuni
significativi
esempi
di
violazione
di
questa
dottrina.
Nel
1895,
sotto
la
presidenza
di
Grover
Cleveland,
esplose
una
disputa
tra
Venezuela
e
Inghilterra,
scaturita
dalla
scoperta
di
miniere
d’oro
lungo
quello
che
sembrava
essere
il
confine
tra
il
Venezuela
e la
Guyana
britannica.
Il
presidente
affermò,
timoroso
di
un
intervento
inglese
nel
suo
emisfero,
che
se i
due
paesi
non
si
fossero
accordati
per
definire
l’esatto
confine
tra
di
loro,
lo
avrebbe
fatto
lui.
Nel
1898
ci
fu
poi
la
ben
nota
guerra
ispano-americana
per
Cuba,
durante
la
presidenza
di
William
McKinley,
che
scacciò
definitivamente
la
Spagna
dall’isola,
per
evitare
che
questa
continuasse
a
essere
un
avamposto
spagnolo
nell’emisfero
americano.
Nel
1902
fu
nuovamente
il
Venezuela
l’oggetto
di
una
crisi
con
la
Germania
e
l’Inghilterra,
che
intervennero
militarmente
perché
lo
stato
sudamericano
risarcisse
i
danni
economici
arrecati
alle
compagnie
anglo-tedesche,
presenti
nella
zona.
Il
presidente
Theodore
Roosevelt
intervenne
arbitrando
la
disputa,
che
si
concluse
con
un
parziale
risarcimento
danni.
Non
possiamo
poi
non
sottolineare
come
pure
l’intervento
degli
Stati
Uniti
nella
seconda
guerra
mondiale
fu
dettato
anche
dal
timore
che
la
presenza
di
banchieri
tedeschi
nel
loro
emisfero
potesse
poi
facilitare
la
diffusione
dell’ideologia
nazista.
E
non
possiamo
ovviamente
esimerci
dal
citare
l’istallazione
di
rampe
di
missili
sovietici
a
Cuba
nel
1963,
forse
la
più
famosa
violazione
della
dottrina
Monroe
mai
avvenuta
-sotto
la
presidenza
di
John
F.
Kennedy
-
che
dopo
aver
rischiato
di
precipitare
il
mondo
sull’orlo
di
una
terza
guerra
mondiale,
si
concluse
con
un
tacito
accordo
di
disinstallazione
reciproca
dei
rispettivi
missili:
sovietici
a
Cuba,
americani
in
Turchia.
In
conclusione,
è
bene
ricordare
che
gli
intendimenti
del
presidente
Monroe
non
erano
quelli
di
dichiarare
guerra
a
ogni
potenza
straniera
che
fosse
stata
presente
nell’emisfero
americano.
Monroe
con
il
suo
discorso
voleva
semplicemente
riaffermare
con
forza
l’assoluta
non
interferenza
reciproca
negli
affari
politici
tra
i
due
emisferi,
per
il
timore
che
il
suo
emisfero
continuasse
a
essere
corrotto
dalle
ideologie
antidemocratiche
europee.