DOPPIO GIOCO AMERICANO IN COLOMBIA
(nota:
articolo di Noam Chomsky tratto da
'Le Monde Diplomatique'; riprende le
principali idee sviluppate durante una
conferenza tenuta dallo stesso Chomsky
il 13/3/1995 al Mit)
In
America latina, il paese che ha la
peggiore pagella in diritti umani è la
Colombia. Eppure, il suo governo è
quello che riceve più aiuti militari
dagli Stati uniti: circa la metà di
quelli forniti a tutto il subcontinente.
Si pone la questione di sapere, quindi,
se i due fenomeni siano legati tra
loro... Nel 1981, uno studio pubblicato
da Lars Schoultz, universitario
specializzato in diritti umani in
America latina, è giunto alla
conclusione che l'aiuto americano "aveva
la tendenza a dirigersi in maniera
sproporzionata verso i governi che
torturavano i loro cittadini... verso
quelli che violavano i diritti
fondamentali nel modo più vergognoso".
Un osservatore superficiale potrebbe
dedurre che a Washington la tortura
piace. Ma bisogna ben distinguere tra
correlazione e rapporto di causalità e
quindi cercare oltre la spiegazione. E'
quello che è stato fatto in una
approfondita inchiesta pubblicata nel
1979, che portava la firma mia e di
Edward Herman, economista alla Wharton
School dell'università della
Pennsylvania. Analizzando i rapporti tra
tortura e aiuti all'estero, Herman ha
constatato che esisteva una correlazione
tra i due fenomeni. In un secondo
studio, ha cercato di spiegare il
perché: confrontando il volume
dell'aiuto americano e l'esistenza di un
"clima favorevole agli affari", scoprì
che i due fatti erano intimamente
legati.
C'è da meravigliarsi? No, e la ragione è
semplice e nota a tutti: torturare,
uccidere e incarcerare responsabili
sindacali, leader di movimenti contadini
e difensori dei diritti umani crea un
rapporto sociale di forze favorevole al
capitale e al famoso "clima degli
affari". La Colombia, in questo, è un
caso da manuale con la sua "facciata di
regime costituzionale che nasconde una
società militarizzata", per riprendere
la formula di Alfredo Vasquez Carrizoza,
presidente del comitato permanente dei
diritti umani colombiano. La Colombia è
molto ricca, ma la maggioranza della sua
popolazione è molto povera; è un paese
dove la terra costituisce un enorme
problema, non perché sia un bene scarso,
ma perché è nelle mani di un gruppo
ristretto di persone, visto che ancora
oggi deve essere attuata la riforma
agraria varata nel 1961.
Nazisti ospitati negli Usa E questo per
un motivo molto semplice: il paese è
governato dai proprietari terrieri a da
un esercito al loro servizio. E' stata
l'amministrazione Kennedy a creare
l'attuale sistema. Tutto è partito da
una decisione del 1962 che si sarebbe
rivelata di capitale importanza per i
paesi dell'emisfero. Agli eserciti
latinoamericani fu assegnata una nuova
missione: difendere non più il
continente, ma la "sicurezza interna",
termine in codice che significa guerra
contro la popolazione.
Le forze armate cambiarono
immediatamente obiettivi, tipo di
addestramento e armamento. E si
lanciarono in una repressione senza
precedenti in un paese la cui storia era
già ricca di episodi di sangue. Qualche
anno dopo, Charles Maechling, alto
funzionario americano responsabile dei
programmi antiguerriglia
dell'amministrazione Kennedy e, per un
breve periodo, dell'amministrazione
Johnson, ha descritto bene ciò che
avvenne: con la decisione del 1962, si è
passati dalla semplice tolleranza verso
"la rapacità e la crudeltà dei militari
latino-americani" a una "complicità
diretta" con gli ufficiali che
utilizzavano "i metodi delle truppe di
sterminio di Heinrich Himmler". Non
avrebbe potuto esprimersi meglio: nel
libro Instruments of Statecraft, Michael
McClintock spiega come, dopo il 1945,
specialisti nazisti furono ospitati
negli Stati uniti e utilizzati come
consulenti nella redazione di manuali di
addestramento destinati alle unità
anti-guerriglia.
Gli intellettuali dell'entourage di John
Kennedy usavano un lessico particolare
per inquadrare il problema. Nel 1965, il
segretario alla difesa, Robert McNamara,
spiegò al consigliere per la sicurezza
nazionale del presidente, McGeorge Bundy,
che agli ufficiali latinoamericani il
Pentagono aveva insegnato "a riconoscere
gli obiettivi degli Stati uniti e a
provare simpatia verso di loro". Questo
era un punto essenziale, continuava,
perché "nell'ambiente culturale
latinoamericano" i militari devono
essere pronti a "scalzare dal potere i
dirigenti che, a loro avviso, tengono un
comportamento pregiudizievole per il
benessere della nazione". Senz'altro,
McNamara pensava al colpo di stato del
1964 contro il regime costituzionale del
Brasile che ha inaugurato lunghi anni di
torture, omicidi e altre manifestazioni
del terrorismo di stato.
In Brasile scoppiò anche il "miracolo
economico", come aveva correttamente
previsto l'ambasciatore americano,
Lincoln Gordon, per il quale il putsch
dei generali era "una grande vittoria
per il mondo libero", tale da "creare un
clima più favorevole agli investimenti
privati". Gli investitori stranieri e
una minuscola frazione della società
brasiliana hanno avuto ottime ragioni
per felicitarsi del cambiamento e la
stampa economica non ha trovato
all'epoca aggettivi abbastanza
lusinghieri per descriverlo.
L'incredibile lusso in cui vivevano i
privilegiati poteva far dimenticare la
miseria nella quale languiva gran parte
della popolazione. Ma non è forse questo
il significato del termine tecnico
"miracolo economico"? Il massacro di
Trujillo Anche il Messico ha vissuto il
suo "miracolo economico" fino al 19
dicembre 1994, giorno in cui è scoppiata
la "bolla" finanziaria. Come sempre, il
contribuente americano è stato invitato
a difendere i ricchi dai rigori del
mercato.
In Colombia, il ministro della difesa ha
dichiarato un giorno, in un eccesso di
franchezza, che l'apparato del terrore
di stato era destinato a combattere "una
guerra totale nei settori politico,
economico e sociale". Ufficialmente, il
suo compito era quello di combattere le
bande di guerriglieri. Nel 1987, un alto
grado dell'esercito ha fatto anche lui
una rivelazione: "Il vero pericolo", ha
riconosciuto, risiede in "quello che gli
insorti chiamano guerra politica e
psicologica", la guerra che ha
l'obiettivo di "controllare il ceto
popolare" e di "manipolare le masse".
Tra vent'anni, disporremo di maggiori
elementi sulla "dottrina colombiana", ma
ce ne possiamo già fare un'idea leggendo
il rapporto ufficiale sullo spaventoso
massacro del villaggio di Trujillo,
perpetrato da esercito e polizia nel
marzo 1990, che costò la vita a trenta
contadini sospettati di avere avuto
contatti con la guerriglia.
Grazie all'ostinazione
dell'organizzazione Giustizia e Pace (Justicia
y Paz) la tragedia di Trujillo è finita
sul tavolo di un procuratore. Ma nei
quattro anni successivi, sono stati
commessi circa 350 massacri come quello
di Trujillo, quasi tutti rimasti
impuniti. Il presidente colombiano
dell'epoca, Cesar Gaviria diventato in
seguito Segretario generale
dell'Organizzazione degli stati
americani ha dato prova della sua
rettitudine morale "facendo per quattro
anni il sordo" di fronte alle
innumerevoli richieste di indagine, ci
hanno detto a Giustizia e Pace. Si deve
almeno riconoscere al suo successore,
Ernesto Samper, il merito di avere
ammesso le responsabilità del governo
colombiano per le atrocità di cui furono
vittima i suoi concittadini.
Dietro a questi fatti, c'è la guerra al
narcotraffico, almeno così ci dicono.
Alla fine degli anni 70, la Colombia è
diventata un grande esportatore di
cocaina. Perché? Perché i contadini
latinoamericani producono più coca di
quella che serve per il loro uso
personale? La spiegazione si trova nelle
politiche imposte ai paesi del Sud;
Diversamente dai ricchi stati
occidentali, essi sono stati obbligati
ad aprire i loro mercati, soprattutto
alle esportazioni agricole americane
sovvenzionate che spiazzano le
produzioni nazionali. Gli agricoltori
del Sud sono invitati a trasformarsi in
"produttori razionali", secondo i
precetti dell'economia moderna, e dunque
a produrre anche loro per
l'esportazione. E proprio perché sono
razionali si sono concentrati sulle
coltivazioni coca, marijuana che
fruttano di più. Ma esistono anche altre
cause. Nel 1988, ad esempio, gli Stati
uniti hanno costretto i produttori di
caffé a denunciare un accordo che
manteneva il corso della materia prima a
un livello ragionevole. Il prezzo del
caffè, principale bene esportato dalla
Colombia, è precipitato del 40%. Quando
i redditi crollano fino a questo punto e
i bambini soffrono la fame, non c'è da
meravigliarsi se i produttori di caffè
vengono attratti dalle prospettive di
guadagno che offre il mercato
nordamericano della droga: le politiche
neoliberiste imposte al terzo mondo sono
state una delle prime cause dell'aumento
del traffico. C'è poi il ruolo di
repressione del consumo di stupefacenti
svolto dalla politica americana: essa ha
convinto molti consumatori di marijuana,
una sostanza relativamente inoffensiva,
a passare alle droghe pesanti, come la
cocaina.
Così, la Colombia ha smesso di produrre
marijuana, per concentrarsi sulla
cocaina, molto più redditizia e facile
da trasportare.
Ma, quando si parla di traffico di
droga, si deve sollevare anche un'altra
questione, quella del ruolo delle
banche. Secondo uno studio
dell'Organizzazione per la cooperazione
e lo sviluppo economico (Ocse) i
proventi del traffico su scala mondiale
ammonterebbero a 500 miliardi di dollari
all'anno, la metà dei quali transitano
per i canali del sistema finanziario
americano. La Colombia, secondo l'Ocse,
trattiene soltanto il 2% o 3% della
torta, circa 6 miliardi di dollari.
Questi dati hanno spinto un membro della
Commissione andina dei giuristi e
dell'Associazione latinoamericana per i
diritti dell'uomo, a scrivere sul
quotidiano messicano Excelsior, che il
"big business" della droga è concentrato
in prevalenza a nord del Rio Grande.
Una conferma viene dall'industria
chimica americana. Nel 1989, nei sei
mesi precedenti l'annuncio della guerra
alla droga in Colombia, la polizia ha
scoperto più di 5,5 milioni di litri di
prodotti chimici, utilizzati per la
produzione di cocaina, molti dei quali
portavano il marchio di grandi società
statunitensi.
La Cia aveva segnalato in un rapporto
che le esportazioni americane di
prodotti chimici erano di gran lunga
superiori ai bisogni leciti della
Colombia. Parallelamente, il servizio di
ricerca del Congresso americano è giunto
alla conclusione che più del 90% delle
sostanze chimiche utilizzate per la
produzione di droga provenivano dagli
Stati uniti. Se la guerra alla droga
avesse come obiettivo soltanto la droga,
si aprirebbe un filone di inchieste
molto promettente.
I conti tornano Ma E' noto che, fuori
dalle frontiere americane, questa
"guerra" serve da paravento ad azioni di
repressione della guerriglia e offre
sbocchi commerciali non trascurabili
alle industrie di armamenti. A casa
propria, invece, viene utilizzata come
pretesto per mettere sotto chiave una
parte della popolazione.
In una società che si impoverisce ogni
giorno di più, in cui le forze di
sicurezza non praticano (ancora) la
pulizia etnica, si devono trovare altri
strumenti per risolvere il problema dei
cittadini privati dei diritti umani
perché non contribuiscono alla creazione
di profitto. La loro incarcerazione è
del tutto logica, in quanto permette un
rilancio di tipo keynesiano
dell'economia (leggere, a pag. 11,
l'articolo di Eduardo Galeano).
Buona parte dei detenuti non ha commesso
reati di sangue.
Prendete il caso della cocaina. La droga
preferita nei ghetti è il crack e il suo
possesso comporta sanzioni severissime.
Nei quartieri residenziali bianchi,
invece, si è più portati per la polvere
bianca, la cui detenzione è punita meno
duramente.
Tipico esempio di legislazione di
classe. E tutto questo spiega perché la
percentuale della popolazione carceraria
è decisamente più alta negli Stati uniti
che negli altri paesi sviluppati e
perché essa dovrebbe crescere ancora.
I conti tornano. E' quanto mi scriveva
una attivista colombiana per i diritti
dell'uomo, Cecilia Zaraté-Laun. Anche se
la sua era una lettera privata, ho
pensato che fosse opportuno citarne
alcuni passaggi: "Sono convinta che i
conti tornano, perché il vero
responsabile è il sistema economico. E'
molto importante che i cittadini
americani si sforzino di collegare i
problemi degli altri alla propria
realtà, a cominciare dalla politica
estera. Prendiamo il caso della droga. I
figli di una madre povera che, in
Colombia, non hanno nessuna prospettiva
perché la società li ha abbandonati,
sono costretti a diventare manovalanza
criminale oppure a lavorare nei
laboratori dove si produce cocaina.
L'altra possibilità è quella di
arruolarsi negli squadroni della morte.
Si trovano nella stessa situazione dei
figli di una madre povera americana,
che, per vivere, devono vendere cocaina
all'angolo della strada o fare da palo
agli spacciatori. La sola differenza è
che gli uni parlano spagnolo e gli altri
inglese. Ma vivono la medesima
tragedia".
Cecilia Zarate-Laun ha ragione. E la
tragedia nei nostri due paesi è resa
ancora più grande da politiche sociali
funzionali a questo sistema. Se
scegliamo di non fare niente per
cambiare le cose, non sarà difficile
immaginare quale futuro ci attende.
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