contemporanea
Principesse di ieri e di oggi
LE DONNE E GLI STEREOTIPI MASSMEDIATICI
di
Ilaria D’Alessio
Negli anni Quaranta la rivista inglese Punch
introdusse il termine di “cartoon”. Ciò che si
rappresentava erano disegni caricaturali e
umoristici per parodiare i cartoni e gli affreschi
del nuovo Palazzo di Westminster. Sebbene
l’animazione fosse stata già creata prima degli anni
Quaranta del Novecento, solo più tardi, grazie a
Walter Elias Disney, ideatore della più conosciuta
multinazionale statunitense Walt Disney, si ebbe il
boom di questo tipo di rappresentazione.
I cartoni della Disney trasmettono molti messaggi
importanti come la solidarietà e l’ottimismo,
contornati molto spesso da un lieto fine. Uno dei
finali trattati è quello in cui si vede una donna e
un uomo che finalmente possono vivere “felici e
contenti”. Nel 1937 uscì il primo film d’animazione:
Biancaneve e i sette nani, nel 1950
Cenerentola e nel 1959 La bella addormentata
nel bosco. Chi di noi non è cresciuto guardando
almeno solo uno di questi tre cartoni?
La risposta molto probabilmente sarà: nessuno.
Sebbene la Disney ne abbia fatto dei classici
conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo, il
ricalco delle vecchie fiabe è molto evidente, in
maniera particolare, nelle figure rappresentate
dalle principesse. Biancaneve, Cenerentola e la
bella addormentata nel bosco (Aurora), rappresentano
donne passive, donne dedite unicamente alla casa e
subordinate alla figura dell’uomo.
In tutte e tre le animazioni, le principesse si
salveranno e potranno vivere “felici e contente”
solo quando farà il suo ingresso il principe
azzurro. Quindi si può vedere come già da
piccolissimi i bambini e le bambine vengono
canalizzati verso il proprio ruolo che si rifletterà
nella società una volta diventati adulti. Nasce
spontanea una domanda: non è possibile vivere felici
e contenti pur ritrovandosi da sole?
Nelle personalità delle principesse degli anni
Ottanta e Novanta si nega la precedente figura
passiva per lasciare spazio a quella invece più
ribelle e forte. Nel 1989 la Disney presenta un
altro film d’animazione, La Sirenetta. Questo
film d’animazione è basato su una fiaba del 1837 di
uno scrittore danese, Hans Christian Andersen. La
figura della principessa Ariel messa a confronto con
le principesse prima citate è un po’ diversa poiché
romperà gli schemi tradizionali e le regole marine
imposte dal re dei mari, cioè suo padre.
Ariel andrà contro il volere del padre pur di
vedere, osservare ed esplorare cosa c’è oltre la
vita marina. La sete di conoscenza di Ariel viene
considerata dannosa e a tratti anche pericolosa, ma
Ariel è una ragazza combattiva e testarda proseguirà
le sue ricerche e alla fine sposerà il principe
Eric, un principe terrestre, di cui si era
innamorata. Anche in questa animazione la Disney
ricrea il dolce lieto fine del “vissero felici e
contenti”, ma nonostante ciò si può osservare quanto
sia cambiata la figura della principessa di quegli
anni.
Nel 1992 la Disney produce un altro tra i classici
più conosciuti al mondo: Aladdin. Anche in
questo film d’animazione la figura della principessa
nega gli schemi delle principesse passive e inette.
La principessa Jasmine rifiuta la vita nell’oro e
nel lusso del palazzo, vuole sentirsi libera di
scegliere ciò che è meglio per lei e rifiuta di
sposare i principi che si presentano per chiederla
in sposa. Emblematica è la frase che Jasmine
pronuncerà davanti al padre e al suo ultimo
contendente: «Non sono un trofeo da vincere».
Jasmine si innamorerà di un ragazzo, Aladdin,
proveniente da un’estrazione sociale totalmente
differente dalla sua.
Sia ne La Sirenetta che in Aladdin,
non sarà l’uomo a trovare la sua amata, ma
viceversa. La figura di queste due principesse
risulta decisamente attiva e soprattutto artefice
del proprio destino.
Nel 1995 esce Pocahontas, l’unico personaggio
a non avere un lieto fine, che si sacrifica per
salvare il proprio popolo dall’invasione degli
inglesi. Pocahontas sceglierà autonomamente di
rimanere e sostenere il suo popolo invece di seguire
l’uomo che ama. Il film è il primo lungometraggio
d’animazione Disney ispirato a un fatto veramente
accaduto.
Le eroine che compariranno nel ventunesimo secolo
non potevano che non essere ancora più forti e
determinate, lontane dalle classiche principesse in
attesa del loro principe azzurro. Ormai le vere
protagoniste sono loro! Ognuna di loro deciderà
autonomamente la propria sorte.
In La Principessa e il Ranocchio del 2009,
Tiana è la prima principessa nera in un film Disney,
questo suscita entusiasmo, ma anche numerose
proteste da parte della comunità razzista americana.
Sebbene la Walt Disney abbia ricevuto numerose
denunce, questo non ha ostacolato l’entusiasmo delle
bambine che finalmente avevano anche loro una
principessa da prendere come riferimento.
La comunicazione di massa è un sistema in grado
produrre dei messaggi indirizzati a tutti. Prima che
i mass media si sviluppassero a livello globale, la
famiglia e la scuola rappresentavano le prime e
uniche agenzie di socializzazione per i bambini. Nel
ventunesimo secolo ormai i bambini crescono e
sviluppano le loro idee e personalità con questo
nuovo tipo di socializzazione primaria.
È possibile osservare come già nelle televendite
promozionali ci sia una chiara distinzione tra i
giocattoli dei bambini e quelli delle bambine. I
giocattoli per le bambine sono oggetti che in realtà
celano dietro un significato più profondo: le
bambole, le piccole cucine, i carrozzini, le
macchine per cucire, rappresentano il loro futuro
ruolo di madri e donne di casa. Nelle pubblicità
anche le musiche utilizzate sono differenti: mentre
in quelle dei bambini si evince una musica forte,
vittoriosa, accompagnata spesso dalla una voce
aggressiva del commentatore, quelle delle donne
vengono presentate in maniera soave, tranquille,
contornate da colori chiari e delicati.
Crescendo la situazione non cambia, la figura della
donna si sdoppia: in una rappresenta sempre la brava
donna di casa dedita alla pulizia, alla cura e al
sostentamento della propria famiglia, tipico delle
pubblicità della Mulino Bianco, e nell’altra invece
in cui a fare da protagonista è la loro sessualità.
La donna nei messaggi pubblicitari viene spesso
annullata come persona. Il suo corpo viene
utilizzato per persuadere attraverso la sua
sensualità e lo sguardo ammiccante di chi la
osserva. In questo modo si passa da donna come
soggetto pubblicitario a donna come oggetto
pubblicitario.
Principalmente si tratta di “super” donne, quelle
perfette, quelle senza un difetto, senza un brufolo,
smagliatura o cellulite, sembrano degli angeli scesi
in terra. La bellezza e la perfezione diventano
spesso per chi le osserva un obiettivo da
raggiungere il più presto possibile. Le donne non si
sentono più a loro agio con il proprio corpo, si
sentono inadeguate e insicure. Questo causa spesso
disturbi alimentari tra le più giovani, che pur di
assomigliare anche solo minimamente a quelle finte
dee finiscono per ammalarsi.
Ed ecco quindi come anche in questo contesto è
possibile evidenziare una forte discriminazione tra
i due sessi: l’uomo viene rappresentato in maniera
attiva e padrone nel mood in cui viene inserito,
mentre la donna è relegata in un ruolo passivo, in
cui le decisioni spettano alla figura maschile.
Se pur sembri del tutto normale nell’immaginario
collettivo, il ruolo della donna è ancora fortemente
plasmato, questo ha determinato una significativa
discriminazione. Gli stereotipi di donna
rappresentati all’interno dei messaggi pubblicitari
hanno sempre rispecchiato la figura della donna
nella società del tempo. Siamo passati nel corso di
un secolo dalla cartellonistica dell’Ottocento, in
cui venivano rappresentate donne eleganti e
raffinate, anni in cui le donne lottavano per i loro
riconoscimenti, agli anni Novanta del Novecento, in
cui la donna è diventata la donna oggetto degli
advertising che tutt’oggi ci viene proposta. |