[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

189 / SETTEMBRE 2023 (CCXX)


contemporanea

Principesse di ieri e di oggi
LE DONNE E GLI STEREOTIPI MASSMEDIATICI
di Ilaria D’Alessio

 

Negli anni Quaranta la rivista inglese Punch introdusse il termine di “cartoon”. Ciò che si rappresentava erano disegni caricaturali e umoristici per parodiare i cartoni e gli affreschi del nuovo Palazzo di Westminster. Sebbene l’animazione fosse stata già creata prima degli anni Quaranta del Novecento, solo più tardi, grazie a Walter Elias Disney, ideatore della più conosciuta multinazionale statunitense Walt Disney, si ebbe il boom di questo tipo di rappresentazione.

 

I cartoni della Disney trasmettono molti messaggi importanti come la solidarietà e l’ottimismo, contornati molto spesso da un lieto fine. Uno dei finali trattati è quello in cui si vede una donna e un uomo che finalmente possono vivere “felici e contenti”. Nel 1937 uscì il primo film d’animazione: Biancaneve e i sette nani, nel 1950 Cenerentola e nel 1959 La bella addormentata nel bosco. Chi di noi non è cresciuto guardando almeno solo uno di questi tre cartoni?

 

La risposta molto probabilmente sarà: nessuno. Sebbene la Disney ne abbia fatto dei classici conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo, il ricalco delle vecchie fiabe è molto evidente, in maniera particolare, nelle figure rappresentate dalle principesse. Biancaneve, Cenerentola e la bella addormentata nel bosco (Aurora), rappresentano donne passive, donne dedite unicamente alla casa e subordinate alla figura dell’uomo.

 

In tutte e tre le animazioni, le principesse si salveranno e potranno vivere “felici e contente” solo quando farà il suo ingresso il principe azzurro. Quindi si può vedere come già da piccolissimi i bambini e le bambine vengono canalizzati verso il proprio ruolo che si rifletterà nella società una volta diventati adulti. Nasce spontanea una domanda: non è possibile vivere felici e contenti pur ritrovandosi da sole?

 

Nelle personalità delle principesse degli anni Ottanta e Novanta si nega la precedente figura passiva per lasciare spazio a quella invece più ribelle e forte. Nel 1989 la Disney presenta un altro film d’animazione, La Sirenetta. Questo film d’animazione è basato su una fiaba del 1837 di uno scrittore danese, Hans Christian Andersen. La figura della principessa Ariel messa a confronto con le principesse prima citate è un po’ diversa poiché romperà gli schemi tradizionali e le regole marine imposte dal re dei mari, cioè suo padre.

 

Ariel andrà contro il volere del padre pur di vedere, osservare ed esplorare cosa c’è oltre la vita marina. La sete di conoscenza di Ariel viene considerata dannosa e a tratti anche pericolosa, ma Ariel è una ragazza combattiva e testarda proseguirà le sue ricerche e alla fine sposerà il principe Eric, un principe terrestre, di cui si era innamorata. Anche in questa animazione la Disney ricrea il dolce lieto fine del “vissero felici e contenti”, ma nonostante ciò si può osservare quanto sia cambiata la figura della principessa di quegli anni.

 

Nel 1992 la Disney produce un altro tra i classici più conosciuti al mondo: Aladdin. Anche in questo film d’animazione la figura della principessa nega gli schemi delle principesse passive e inette. La principessa Jasmine rifiuta la vita nell’oro e nel lusso del palazzo, vuole sentirsi libera di scegliere ciò che è meglio per lei e rifiuta di sposare i principi che si presentano per chiederla in sposa. Emblematica è la frase che Jasmine pronuncerà davanti al padre e al suo ultimo contendente: «Non sono un trofeo da vincere». Jasmine si innamorerà di un ragazzo, Aladdin, proveniente da un’estrazione sociale totalmente differente dalla sua.

 

Sia ne La Sirenetta che in Aladdin, non sarà l’uomo a trovare la sua amata, ma viceversa. La figura di queste due principesse risulta decisamente attiva e soprattutto artefice del proprio destino.

 

Nel 1995 esce Pocahontas, l’unico personaggio a non avere un lieto fine, che si sacrifica per salvare il proprio popolo dall’invasione degli inglesi. Pocahontas sceglierà autonomamente di rimanere e sostenere il suo popolo invece di seguire l’uomo che ama. Il film è il primo lungometraggio d’animazione Disney ispirato a un fatto veramente accaduto.

 

Le eroine che compariranno nel ventunesimo secolo non potevano che non essere ancora più forti e determinate, lontane dalle classiche principesse in attesa del loro principe azzurro. Ormai le vere protagoniste sono loro! Ognuna di loro deciderà autonomamente la propria sorte.

 

In La Principessa e il Ranocchio del 2009, Tiana è la prima principessa nera in un film Disney, questo suscita entusiasmo, ma anche numerose proteste da parte della comunità razzista americana. Sebbene la Walt Disney abbia ricevuto numerose denunce, questo non ha ostacolato l’entusiasmo delle bambine che finalmente avevano anche loro una principessa da prendere come riferimento.

 

La comunicazione di massa è un sistema in grado produrre dei messaggi indirizzati a tutti. Prima che i mass media si sviluppassero a livello globale, la famiglia e la scuola rappresentavano le prime e uniche agenzie di socializzazione per i bambini. Nel ventunesimo secolo ormai i bambini crescono e sviluppano le loro idee e personalità con questo nuovo tipo di socializzazione primaria.

 

È possibile osservare come già nelle televendite promozionali ci sia una chiara distinzione tra i giocattoli dei bambini e quelli delle bambine. I giocattoli per le bambine sono oggetti che in realtà celano dietro un significato più profondo: le bambole, le piccole cucine, i carrozzini, le macchine per cucire, rappresentano il loro futuro ruolo di madri e donne di casa. Nelle pubblicità anche le musiche utilizzate sono differenti: mentre in quelle dei bambini si evince una musica forte, vittoriosa, accompagnata spesso dalla una voce aggressiva del commentatore, quelle delle donne vengono presentate in maniera soave, tranquille, contornate da colori chiari e delicati.

 

Crescendo la situazione non cambia, la figura della donna si sdoppia: in una rappresenta sempre la brava donna di casa dedita alla pulizia, alla cura e al sostentamento della propria famiglia, tipico delle pubblicità della Mulino Bianco, e nell’altra invece in cui a fare da protagonista è la loro sessualità. La donna nei messaggi pubblicitari viene spesso annullata come persona. Il suo corpo viene utilizzato per persuadere attraverso la sua sensualità e lo sguardo ammiccante di chi la osserva. In questo modo si passa da donna come soggetto pubblicitario a donna come oggetto pubblicitario.

 

Principalmente si tratta di “super” donne, quelle perfette, quelle senza un difetto, senza un brufolo, smagliatura o cellulite, sembrano degli angeli scesi in terra. La bellezza e la perfezione diventano spesso per chi le osserva un obiettivo da raggiungere il più presto possibile. Le donne non si sentono più a loro agio con il proprio corpo, si sentono inadeguate e insicure. Questo causa spesso disturbi alimentari tra le più giovani, che pur di assomigliare anche solo minimamente a quelle finte dee finiscono per ammalarsi.

 

Ed ecco quindi come anche in questo contesto è possibile evidenziare una forte discriminazione tra i due sessi: l’uomo viene rappresentato in maniera attiva e padrone nel mood in cui viene inserito, mentre la donna è relegata in un ruolo passivo, in cui le decisioni spettano alla figura maschile.

 

Se pur sembri del tutto normale nell’immaginario collettivo, il ruolo della donna è ancora fortemente plasmato, questo ha determinato una significativa discriminazione. Gli stereotipi di donna rappresentati all’interno dei messaggi pubblicitari hanno sempre rispecchiato la figura della donna nella società del tempo. Siamo passati nel corso di un secolo dalla cartellonistica dell’Ottocento, in cui venivano rappresentate donne eleganti e raffinate, anni in cui le donne lottavano per i loro riconoscimenti, agli anni Novanta del Novecento, in cui la donna è diventata la donna oggetto degli advertising che tutt’oggi ci viene proposta.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]