[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


attualità

LE DONNE, la GUERRA
un Excursus sulle grandi condottiere di ieri e di oggi

di Leila Tavi

 

Donne guerriere. Le grandi condottiere che hanno cambiato la Storia è il titolo del nuovo saggio del giornalista e divulgatore storico Matteo Liberti per Newton Compton. Il corpo del volume è suddiviso in cinque parti che spaziano dalla mitologia all’epoca contemporanea e che narrano la vita e le gesta di oltre quaranta eroine. Il quinto capitolo è una vera e propria novità, perché analizza gruppi di combattenti donne.

 

 

 

Il libro affronta il tema delle donne e la guerra in maniera esaustiva, nel classico stile dell’autore, del quale è apprezzabile sia l’ampia e aggiornata bibliografia in lingua inglese e italiana utilizzata sia l’aver spaziato anche in culture lontane dalla nostra, rendendo giustizia a minoranze che non trovano largo spazio nelle storiografia contemporanea, come nel caso di Lozen (1840-1889), la guerriera-sciamana, indomita combattente della la tribù degli apache chiricahua per la resistenza contro i coloni bianchi.

 

Il volume sorprende per il modo in cui un autore maschile riesce a dar voce a storie di donne in un contesto bellico senza mai scivolare in stereotipi o in una trattazione di storia “minore”. Il fatto stesso che sia necessario parlare di “donne e guerra” sottolinea l’orientamento di genere del nostro concetto di guerra, eppure Matteo Liberti è riuscito a superare questo cliché e a dare ampio spazio alle donne come protagoniste in un campo, la storia militare, a lungo percepito come dominio degli uomini; un’impresa maschile in cui le donne sono state per lungo tempo, nella storiografia tradizionale, vittime e spettatrici, raramente protagoniste. A riprova di ciò, alcune delle protagoniste del libro vissute tra l’antichità e l’epoca moderna furono costrette a fingersi uomini per dimostrare il loro coraggio.

 

A partire da Hua Mulan (386 d.C.-436 d.C.), resa famosa dalla Disney, preoccupata per la cagionevole salute dell’anziano padre, ex valoroso condottiero richiamato come riservista nell’esercito cinese per far fronte ai continui attacchi da parte delle tribù nomadi e degli unni. Costei rispose alla chiamata al posto di suo padre, utilizzando il nome di suo fratello minore. C’è poi Alëna Arzamasskaja (in ligua erza: Эрзямассонь Олёна, in russo: Алёна Арзамасская), soprannominata la “Giovanna d’Arco di Russia”, una ragazza dallo spirito ribelle che nel 1670, dopo aver lasciato il convento, si travestì da uomo e guidò un esercito d’insorti nell’ambito d’una vasta rivolta di contadini cosacchi contro lo zar Alessio I Romanov, guidata da Stepan Timofeevič Razin, detto Sten’ka (Степан Тимофеевич Разин, Стенька, 1630-1671). Catturata dai soldati dello zar, fu arsa viva sul rogo.

 

L’autore, reduce dal saggio Storia segreta dei pirati (Newton Compton, 2021) ricorda anche le piratesse Mary Read (1690-1721) e Anne Bonny (1697-1782), una inglese e l’altra irlandese, che tra il 1718 e il 1720 scorrazzarono nel Mar dei Caraibi con il temutissimo pirata Calico Jack, indossando quasi sempre abiti da uomo. Anche tra gli ufficiali ci furono delle valorose donne che si dichiararono uomini per combattere, come Hannah Snell (1723-1792), che si arruolò sulla Nave di Sua Maestà Swallow a Portsmouth il 23 ottobre 1747 e che, comandata dal capitano Rosier, prese parte all’assedio di Pondicherry del 1748, o Francesca Antonia Scanagatta (1776-1864), alfiere e poi tenente dell’Esercito del Sacro Romano Impero, o ancora Nadežda Andreevna Durova (1783-1866), che combatté nella cavalleria russa durante le guerre napoleoniche. Tra le eroine costrette a dichiararsi uomini per prendere parte alla lotta per la libertà dei propri popoli ricordiamo inoltre Emilia Plater (1806-1831), che prese parte alla Rivolta di novembre del 1830, la storica ribellione volta a contrastare l’ingerenza russa in territorio polacco e lituano, e Antonia Masanello (1833-1862), che combatté al seguito di Giuseppe Garibaldi nella Spedizione dei Mille. Infine, è da segnalare Petra Herrera (1887-1916), che ha combattuto come soldato nelle truppe insurrezionali della Rivoluzione messicana e nota anche come “Pedro”, avendo appunto iniziato a combattere camuffata da uomo.

 

Tutte queste eroine hanno pagato le usanze sociali che per lungo tempo hanno relegato la donna a figura di contorno dell’uomo, dedita ai lavori domestici e all’educazione della prole, costringendole appunto ad assumere un’identità maschile per agire indisturbate. Chissà, però, quante di queste combattenti gli archivi e le fonti storiche non ci hanno rivelato nella loro vera identità, ben celata fino alla loro morte.

 

Indubbio è che a uno sguardo contemporaneo le donne guerriere assumono il fascino delle eroine della cultura pop, anche in chiave gender e, analizzando il ruolo della donna nei conflitti contemporanei, il libro di Matteo Liberti ci aiuta a comprendere che le donne in guerra non vanno considerate come anomalie storiche, nonostante le parole del noto storico militare statunitense John Keegan: “Warfare is... the one human activity from which women, with the most insignificant exceptions, have always and everywhere stood apart... women... do not fight. They rarely fight among themselves and they never, in any military sense, fight men. If warfare is as old as history and as universal as mankind, we must now enter the supremely important limitation that it is an entirely masculine activity”.

 

In realtà, le donne sono sempre andate in guerra: per vendicare o proteggere le loro famiglie, per difendere le loro case, le loro città, o le loro nazioni, o ancora per conquistare l’indipendenza da una potenza straniera, raramente per l’ambizione di voler espandere i confini del loro regno, come la monografia di Matteo Liberti dimostra. Pensiamo alle donne della Resistenza italiana o alle 800.000 donne che hanno combattuto per l’URSS durante la Seconda Guerra Mondiale. Va tra l’altro sottolineato come costoro, al loro ritorno nella società civile, siano state ostracizzate, oggetto di pregiudizi e relegate a figure di contorno della Grande Guerra Patriottica (Великая Отечественная война). Lo stesso destino, ci racconta Donne Guerriere, toccò alle Soldaderas o Adelitas, le guerriere della rivoluzione messicana all’inizio del XX secolo, che fino agli anni Settanta, seppur menzionate nei libri di storia o nei romanzi, vennero descritte come semplici cuoche, infermiere, lavandaie, sarte e, all’occorrenza, amanti passionali, oppure come conturbanti “icone sexy” della rivoluzione. 

 

Particolarmente precisa è la descrizione dei gruppi di donne combattenti nell’Unione Sovietica. L’autore ha tra l’altro analizzato il Battaglione femminile della morte (Женские батальоны смерти), sotto il cui nome furono raggruppate, a partire dal giugno del 1917, quindici distinte formazioni di sole donne volontarie, che agirono in modo eroico durante le fasi finali della Prima Guerra Mondiale per far fronte agli invasori austro-tedeschi. Oltre che a Mosca e a Pietrogrado, da maggio 1917, furono reclutate donne a Kiev e Saratov, mentre associazioni femminili e gruppi locali radunarono altri improvvisati raggruppamenti di volontarie a Poltava, Ekaterinburg, Tashkent, Baku, Vjatka, Minsk, Mogilëv, Perm’, Mariupol’, Saratov ed Ekaterinodar. Il numero delle volontarie crebbe a vista d’occhio, così, nell’agosto del 1917, fu convocato a Pietrogrado un “Congresso delle donne soldato” per coordinare la formazione di ulteriori unità sul resto del territorio. Il battaglione nacque su impulso di Marija Leont’evna Bočkarëva (Мари́я Лео́нтьевна Бочкарёва, 1889-1820), detta “Jaška”, che in russo è un suffisso (-я́шка) usato per formare sostantivi diminutivi da sostantivi e aggettivi, spesso indicando un oggetto di piccole dimensioni con una determinata qualità.

 

La proposta di Maria Bočkarëva fu sostenuta in un primo momento dal generale Aleksej Alekseevič Brusilov (Алексе́й Алексе́евич Бруси́лов, 1853-1926) e dal presidente della Duma Michail Vladimirovič Rodzjanko (Михаил Владимирович Родзянко, 1859-1924), venendo poi approvata dal ministro della Guerra Aleksandr Fëdorovič Kerenskij (Алекса́ндр Фёдорович Ке́ренский, 1881-1970). Il 1º Battaglione femminile della morte russo fu aggregato al 525º Reggimento Kiuruk-Darinskij (Кюрук-Даринский полк) e inviato al fronte nella zona di Smarhon’ (in bielorusso: Смарго́нь) ai primi di luglio 1917. Il 9 luglio il battaglione fu coinvolto nell’offensiva Kerenskij (conosciuta anche come offensiva di luglio o offensiva della Galizia), l’ultima lanciata dal governo provvisorio russo e terminata con una disfatta, contribuendo alla presa di potere dei bolscevichi. In quell’occasione, le donne di Maria Bočkarëva decisero di attaccare i nemici tedeschi anche senza il supporto dei colleghi uomini, prendendo nel corso dell’assalto tre linee di trincee nemiche. Il contrattacco fu pesante e le combattenti russe persero gran parte del terreno conquistato in modo valoroso. Maria Bočkarëva, dopo essere stata arrestata come controrivoluzionaria, emigrò negli Stati Uniti, dove, nel luglio del 1918, fu accolta con calore dal presidente americano Woodrow Wilson. Nell’estate dello stesso anno si recò in Gran Bretagna, per chiedere finanziamenti a Giorgio V per organizzare un’azione anti-bolscevica in Russia, e così, rientrata a Tomsk nella primavera 1919, tornò ad allestire una squadra militare femminile mettendosi a completa disposizione delle forze controrivoluzionarie. Il tentativo fallì e Maria fu rinchiusa per un lungo periodo in una prigione di Krasnojarsk (Красноя́рск), nella Siberia centrale, per essere poi fucilata il 16 maggio 1920, appena trentenne.

 

In totale, le donne russe che presero parte alla Prima Guerra Mondiale furono diverse migliaia, anche se non tutte parteciparono direttamente parte agli scontri. Di molte, peraltro, come sottolinea l’autore, non si conoscono i nomi. A ogni modo, è certo che nel corso della Prima Guerra Mondiale la Russia fu l’unico Stato a reclutare unità da combattimento interamente femminili, per le quali il conflitto costituì un’importante occasione di emancipazione.

 

Un bel paragrafo del volume è inoltre dedicato alle Streghe della Notte, le Nachthexen, nemiche giurate tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Si trattava delle le donne pilota del 588º Reggimento bombardamento notturno (Ночные Ведьмы), costituito in soli tre mesi, dopo l’invasione nazionalsocialista del territorio sovietico (Operazione Barbarossa). In seguito, nel 1943, il battaglione fu rinominato 46º Reggimento bombardamento leggero notturno delle guardie “Taman’“ (46-й гвардейский ночной бомбардировочный авиационный Таманский Краснознамённый и ордена Суворова полк). L’iniziativa fu questa volta di Marina Michajlovna Raskova (Марина Михайловна Раскова, 1912-1943), abile aviatrice con notevoli doti tattiche. Fu Stalin in persona ad appoggiare il progetto della creazione di un corpo di aviatrici. Le reclute, tutte tra i diciotto e i vent’anni, furono sottoposte a un duro allenamento di quattordici ore al giorno. Le aviatrici del reggimento eseguirono tra il 1941 e il 1945 oltre 23.000 missioni e sganciarono circa 3.000 tonnellate di bombe, confermandosi come l’unità femminile dell’Aviazione Sovietica con più medaglie e riconoscimenti al valore. Alcune delle donne pilota sopravvissero al conflitto, mentre altre caddero nel mezzo dell’azione, tra cui la stessa Marina Raskova, che il 4 gennaio 1943 si schiantò, a causa di una tempesta di neve, contro alcune scogliere a picco sul fiume Volga, a nord di Stalingrado. molto probabilmente nel tentativo di raggiungere come rinforzo i compagni nella famosa e lunga battaglia di Stalingrado (Сталинградская битва), culminata proprio il 10 gennaio 1943 nell’Operazione Anello (Операция Кoльцo), con l’Armata Rossa che sferrò l’offensiva piegando la resistenza delle forze tedesche della 6ª Armata della Wehrmacht (accerchiate dal 24 novembre 1942 in una grande sacca tra il Volga e il Don). Tale vittoria sovietica segnò una decisiva svolta politico-militare sul Fronte orientale.

 

Nello specifico, Matteo Liberti sottolinea come le caratteristiche degli aerei utilizzati dalle Streghe della Notte, costruiti negli anni Venti e considerati sorpassati e lenti, permisero alle aviatrici russe di operare indisturbate di notte nei cieli:

 

Gli aeroplani più utilizzati dalle aviatrici russe per agire nottetempo erano dei Polikarpov Po-2, uno storico modello realizzato in legno e tela che era stato sviluppato dagli ingegneri sovietici negli anni Venti, ma che era ormai giudicato del tutto superato, offrendo prestazioni limitate sia in termini di numero di bombe trasportabili, sia di comunicazione (mancando di apparecchiature radio) e sia per quel che concerneva appunto la velocità, che arrivava a stento a sfiorare i 150 km/h (limite inferiore a quello di una qualsiasi automobile moderna). Nondimeno, proprio la lentezza dei Polikarpov Po-2 – che non furono comunque gli unici aerei a disposizione delle aviatrici formate da Marina Raskova – fece sì che essi risultassero notevolmente maneggevoli, silenziosi e in grado di volare a basse quote, tutti elementi che ne rendevano difficile l’intercettazione da parte dei nemici. Non a caso, era consuetudine che, prima di essere colpiti, i tedeschi udissero soltanto un leggero e inquietante fruscio (paragonato da molti, tanto per rimanere in tema, al sibilo della scopa cavalcata da una strega), senza accorgersi di nulla finché le bombe non esplodevano su di loro”.

 

Un’altra protagonista sovietica della Seconda Guerra Mondiale citata da Matteo Liberti è Marija Vasil’evna Oktjabr’skaja (Мари́я Васи́льевна Октя́брьская, 1902-1944), che per vendicare il marito morto in battaglia, con un passato vissuto tra i carri armati, perché aveva affiancato il suo consorte, appassionandosi di quei veicoli bellici, fu ricordata dalla storia per le sue gesta temerarie. Vendette tutti i suoi beni per acquistare un carro armato modello “T-34”, che donò all’esercito sovietico, a patto che fosse lei a guidarlo e che recasse la scritta scritta “Боевая подруга” (fidanzata combattente). Inviò una lettera direttamente a Stalin per fare la sua proposta, che fu accolta immediatamente. Dopo un periodo di addestramento iniziato nel maggio del 1943, nell’autunno del 1943 Marija Oktjabr’skaja iniziò a combattere con ardore, senza mai risparmiarsi e guadagnandosi la nomina a sergente. Morì nel mese di gennaio 1944, in un ospedale di Smolensk (Смоленск), dopo due mesi in coma, per le conseguenze di una scheggia di granata che la colpì alla testa durante un combattimento a Vitebesk (in bielorussia: Віцебск). Altro omaggio che Liberti fa alle militari sovietiche è a Ljudmila Michajlovna Pavličenko (Людмила Михайловна Павличенко, 1916-1947), una delle duemila donne cecchino sovietiche, delle quali soltanto cinquecento sopravvissero alla guerra.

 

Soprannominata “Леди Смерть”, ovvero “lady morte”, dai suoi nemici, Ljudmila era infallibile, grazie al suo lungo addestramento fin da adolescente al tiro a segno. L’8 agosto 1941, a venticinque anni, iniziò la carriera da cecchina con l’uccisione di due nemici. Nei successivi due mesi, difese la città di Odessa, assediata dai soldati tedeschi, tra i quali oltre duecento avversari perirono per mano di Ljudmila Pavličenko, che ottenne in rapido tempo una promozione a sergente. Odessa cadde il 16 ottobre 1941. Si sposò con Alexej Kitsenko (Алексей Киценко), che morì dopo pochi mesi in battaglia. La giovane vedova fu trasferita a Sebastopoli (Севасто́поль), che fu presa di nuovo dalla forze tedesche, con l’aiuto di soldati italiani e romeni. Ljudmila Pavličenko non soltanto uccise di nuovo centinaia di invasori, ma addestrò molte squadre di reclute. La sua nomea di infallibile tiratrice arrivò anche agli alleati, tanto che, nel 1942 fu invitata negli Usa per una visita di propaganda (prima sovietica a essere ricevuta da un presidente degli Stati Uniti). Le sue gesta in tempi recenti sono state ricordate dal film Resistance: La battaglia di Sebastopoli (titolo originale Битва за Севастополь), uscito nel 2015, per la regia di Sergej Evren’evič Mokrickij (Сергей Евгеньевич Мокрицкий), di origini ucraine. 

 

Nel complesso, il saggio riporta alla luce storie di un gran numero di donne che, pur spesso ricordate nei loro Paesi d’origine come eroine nazionali, non sono studiate a livello internazionale, almeno non come si converrebbe. Matteo Liberti toglie però dall’ombra della storia queste donne guerriere, in uniforme o nei panni di civili, che hanno combattuto per loro volere o che sono state soltanto costrette a difendersi, riuscendo nel tentativo di restituire dignità a una serie di figure le cui vicende sono appunto state spesso trascurate dai principali manuali di storia. E che in Donne guerriere ritrovano invece una voce autentica, sfatando in alcuni casi, false leggende, come per le Amazzoni, la cui mutilazione della mammella destra per poter imbracciare meglio l’arco è un’invenzione letteraria di matrice greca. Lodevoli, infine, i continui riferimenti all’attualità, ai conflitti contemporanei, in cui, come sottolinea l’autore, la presenza delle donne non rappresenta più un’eccezione, ma una triste realtà, in una società in cui, a prescindere dalle questioni di genere, non riusciamo ancora a considerare la guerra come un’esecrabile “eccezione”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]