N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
POTERE femminile NELL’ANTICA ROMA
Le donne della dinastia dei Severi
di Miro Gabriele
Meno
famose
di
altre
donne
romane
(Lucrezia,
Cornelia,
Messalina),
o di
regine
come
Cleopatra,
le
donne
della
famiglia
imperiale
dei
Severi
hanno
rivestito
nella
storia
della
città
un
importanza
pari,
se
non
superiore,
a
tutte
le
altre.
Il
periodo
in
cui
vissero,
fra
II e
III
secolo
d.C.,
fu
un’epoca
di
grandi
cambiamenti
e di
sensibilità
nuove,
e
anche
di
un
marcato
“femminismo”
all’interno
della
società.
La
condizione
femminile,
ben
supportata
dalle
riforme
“liberali”
di
Augusto,
raggiunse
in
quegli
anni
livelli
di
autonomia
mai
raggiunti
prima,
superiori
a
quelli
di
molte
altre
epoche,
anche
moderne.
Fu
il
momento
migliore
per
lo
status
sociale
della
donna
nel
mondo
antico
(soprattutto
per
i
ceti
più
elevati),
prima
che
il
cristianesimo
diffondesse
la
nuova
morale,
che
non
privilegiava
certamente
il
genere
femminile.
Su
iniziativa
di
una
di
esse,
Giulia
Soemia,
fu
perfino
istituito
un
“senatino”
femminile
(senaculum)
che
ebbe
sede
sul
Quirinale.
Venne
data
veste
giuridica
a
una
precedente
assemblea
di
donne
di
rango
senatorio,
il
“senaculum”
aveva
facoltà
di
intervenire
sui
rapporti
fra
le
donne
di
alto
ceto,
e
sul
loro
status.
Nei
casi
di
matrimoni
“misti”,
ad
esempio,
poteva
opporsi
a
eventuali
perdite
della
nobiltà
per
unioni
con
uomini
di
ceto
inferiore.
Tale
assemblea
ebbe
fortuna
anche
dopo
la
scomparsa
della
dinastia
severiana:
fu
più
tardi
confermata
dall’imperatore
Aureliano
(270
d.C.).
Le
donne
della
dinastia
dei
Severi
incarnarono
in
pieno
lo
spirito
del
tempo,
interessandosi
al
mondo
della
cultura,
al
diritto,
alla
filosofia,
e
alla
religione,
con
un’attenzione
particolare
ai
culti
monoteistici
provenienti
dall’oriente
(culto
del
sole,
mitraismo),
compreso
il
cristianesimo.
Ebbero
in
pari
grado
intelligenza
e
ambizione,
e le
esercitarono
con
estrema
libertà
fino
a
raggiungere
anche,
per
un
uso
troppo
disinvolto,
gli
esiti
più
rovinosi.
La
famiglia
severiana
restò
al
potere
dal
193
al
235
d.C.,
e
negli
ultimi
vent’anni
furono
le
sue
donne
le
vere
padrone
dello
stato
imponendo,
ad
esercito
e
senato,
figli
e
nipoti
come
imperatori
e
governando
al
loro
posto,
data
la
giovane
età
e la
scarsa
affidabilità
di
essi.
Di
origine
siriana,
condivisero
tutte
il
nomen
Giulia
(Giulia
Domna,
Giulia
Mesa,
Giulia
Soemia,
Giulia
Mamea),
e
quasi
tutte
anche
la
medesima
tragica
sorte,
prese
negli
ingranaggi
di
un’epoca
che,
per
la
grande
instabilità
dell’elemento
militare
su
cui
era
fondato
il
potere,
facilmente
elevava
ai
massimi
gradi,
e
altrettanto
facilmente
faceva
ricadere
in
basso.
La
capostipite,
la
“matriarca”,
fu
Giulia
Domna.
Era
nata
ad
Emesa
in
Siria
intorno
al
158
d.C.,
figlia
di
Giulio
Bassiano,
sacerdote
del
dio
solare
El
Gabal,
adorato
nel
santuario
di
Emesa
sotto
forma
di
una
pietra
nera,
un
meteorite
probabilmente,
che
aveva
l’aspetto
di
un
grande
fallo.
Giulia
Domna
sposò
il
futuro
imperatore
Settimio
Severo
(originario
di
Leptis
in
Africa,
salito
poi
al
potere
nel
193
d.C.)
come
seconda
moglie,
ed
ebbe
da
lui
due
figli:
Caracalla
e
Geta.
Donna
colta
e
affascinante,
come
tutte
le
sue
discendenti,
si
interessò
di
filosofia,
circondandosi
di
intellettuali
quali
Filostrato,
Galeno
e
Diogene
Laerzio.
Sensibile
alla
crisi
spirituale
del
tempo,
fu
la
prima
a
favorire
tendenze
sincretistiche
in
campo
religioso,
e il
rinnovamento
dei
valori
etici
pagani
in
un
senso
più
spirituale
ed
intimistico,
in
opposizione,
ma
non
violenta,
al
cristianesimo.
L’atteggiamento
documenta
il
tramonto
del
paganesimo
greco-romano
nella
sua
concezione
classica
e
tradizionale.
La
nuova
mentalità
ai
vertici
dello
stato
rifletteva
del
resto
un
sentimento
comune,
diffuso
anche
nei
ceti
popolari,
che
trovavano
ormai
risposte
più
adeguate
ai
problemi
dell’esistenza,
nei
culti
monoteistici
e
fideistici
d’oriente:
mitraismo,
cristianesimo,
culto
di
Iside.
Anche
la
concezione
della
sovranità
imperiale
si
arricchì
di
sfumature
religiose,
che
preludevano
ai
futuri
mutamenti
in
senso
autocratico.
Alla
morte
di
Settimio
Severo
(nel
211
d.C.
in
Britannia,
dove
era
andato
a
fronteggiare
i
Caledoni
che
dal
nord,
l’odierna
Scozia,
invadevano
la
provincia),
Giulia
Domna
cercò
di
mantenere
l’accordo
tra
i
figli
Caracalla
e
Geta,
che
erano
stati
associati
nell’impero
per
volere
del
padre,
ma
Geta
fu
fatto
uccidere
per
ordine
del
fratello.
Il
nuovo
imperatore,
dai
modi
dispotici
e
stravaganti,
ebbe
comunque
il
merito
di
emanare
la
Constitutio
Antoniniana
del
212
d.C.
che
concedeva
la
cittadinanza
romana
a
tutti
i
sudditi
liberi
dell’impero,
sancendo
in
tal
modo
la
parificazione
definitiva
delle
province
all’Italia.
Poi,
dopo
la
fine
violenta
anche
di
Caracalla
(217
d.C.),
assassinato
in
oriente
dai
suoi
stessi
ufficiali,
Giulia
Domna
si
lasciò
morire
di
inedia.
Giulia
Mesa,
la
sorella
minore
di
Domna,
aveva
sposato
Giulio
Avito,
un
siriano
di
rango
consolare,
ed
aveva
avuto,
diversamente
dalla
sorella,
due
bambine:
Giulia
Soemia
(futura
madre
di
Elagabalo)
e
Giulia
Mamea
(futura
madre
di
Severo
Alessandro);
per
una
tragica
simmetria
della
sorte
anch’esse,
come
i
due
maschi
di
Domna,
finirono
assassinate.
Nel
218
d.C.
Mesa
fu
artefice,
insieme
alla
figlia
maggiore
Soemia,
della
congiura
contro
Macrino
che
l’anno
prima
aveva
abbattuto
Caracalla
con
una
rivolta
militare,
favorendo
l’ascesa
al
trono
del
nipote
quattordicenne
Elagabalo.
In
seguito
gli
associò,
d’accordo
con
l’altra
figlia
Mamea,
il
cugino
Severo
Alessandro,
un
bambino
di
tredici
anni,
più
gradito
all’esercito
perché
non
compromesso
con
le
stranezze
orientali
di
Elagabalo
e
della
corte.
Fu
un
atto
teso
a
salvare
la
dinastia,
ma
provocò
uno
scontro
all’interno
della
famiglia
fra
le
due
figlie
Soemia
e
Mamea.
I
pretoriani
stanchi
di
Elagabalo
e
Soemia,
li
uccisero
entrambi
(222
d.C.)
confermando
al
potere
il
solo
Severo
Alessandro.
Giulia
Mesa
visse
ancora
per
un
anno.
Giulia
Soemia,
la
figlia
maggiore
di
Giulia
Mesa,
nacque
anche
lei
in
Siria
divenendo
poi
moglie
di
Sesto
Vario,
e
generando
Vario
Avito
Bassiano,
chiamato
in
seguito
Elagabalo.
Furono
lei
e
sua
madre
Mesa,
dopo
la
rivolta
di
Macrino,
a
far
credere
ai
soldati
che
Elagabalo
fosse
il
figlio
naturale
di
Caracalla,
riuscendo
ad
imporlo
come
imperatore.
Soemia
fu
una
donna
di
grande
bellezza,
raffigurata
come
Afrodite
e
adorata
come
la
dea
Hera.
Fu
la
prima
donna
ad
essere
ammessa
nella
Curia,
e fu
presidente
del
primo
senato
femminile.
Suo
figlio
Avito
Bassiano,
educato
secondo
le
tradizioni
siriane,
aveva
ereditato
la
carica
di
sacerdote
del
dio
solare
El
Gabal
(da
cui
il
nome
Elagabalo),
carica
che
era
stata
del
nonno
di
Soemia.
La
pietra
sacra
venne
trasportata
dalla
Siria
e fu
collocata
in
un
tempio
dedicato
al
dio
sole
sul
Palatino.
Ma
le
tendenze
orientali
della
corte,
la
visione
assolutistica
del
potere
e le
continue
insidie
ordite
da
Elagabalo
contro
il
cugino
Severo
Alessandro,
esasperarono
alla
fine
i
militari:
Giulia
Soemia
e il
figlio,
come
s’è
detto,
furono
trucidati
a
Roma
nel
222
d.C.
La
sorella
minore
di
Soemia,
Giulia
Mamea,
sposò
Gessio
Marciano,
un
altro
nativo
della
Siria,
e ne
ebbe
un
figlio:
Alessiano,
che
regnerà
col
nome
di
Severo
Alessandro.
Cercò
di
educarlo
tenendolo
lontano
dalla
vita
scandalosa
e
dai
costumi
orientali
del
cugino
Elagabalo
e di
Soemia.
Severo
Alessandro
divenne
imperatore
unico
a
sedici
anni
nel
222
d.C.
e
Giulia
Mamea
resse
l’impero
dietro
le
quinte,
come
già
avevano
fatto
con
Elagabalo
sua
sorella
e
sua
madre.
Insieme
al
figlio,
fu
di
sentimenti
filocristiani,
considerando
il
cristianesimo
alla
pari
degli
altri
culti
orientali.
Severo
Alessandro
trasformò
il
tempio
del
sole
sul
Palatino,
accogliendovi
i
simboli
delle
altre
religioni,
vi
erano
custodite
anche
le
immagini
di
Abramo
e di
Gesù.
Fra
i
vari
atti
di
governo
Giulia
Mamea
fece
nominare
il
giurista
Ulpiano
prefetto
del
pretorio,
confermando
quell’attenzione
al
buon
diritto
tipica
di
tutta
la
dinastia.
L’esercito
però,
scontento
per
il
cattivo
andamento
delle
campagne
militari
contro
i
persiani
Sasanidi
e
contro
i
Germani,
la
accusava
di
orgoglio
e di
avidità,
attribuendo
al
suo
eccessivo
potere
le
debolezze
dell’imperatore.
Fu
così
che
durante
una
campagna
in
Germania
i
militari,
esasperati
dal
fatto
che
l’imperatore
avesse
comprato
la
pace
con
il
denaro,
assassinarono
Mamea
e
suo
figlio
vicino
Magonza,
nel
235
d.C.
Con
la
morte
di
Giulia
Mamea
e
dell’imperatore
Severo
Alessandro
termina
la
dinastia
dei
Severi.
È un
momento
di
grande
crisi
per
lo
stato
romano,
sale
al
trono
il
capo
delle
reclute
dell’esercito:
Massimino,
un
trace,
prima
persona
di
origine
barbarica
ad
accedere
alla
carica
imperiale.
Si
apre
un
cinquantennio
di
continua
instabilità,
caratterizzato
da
violente
lotte
all’interno
dell’esercito
per
la
conquista
del
potere.
È il
periodo
della
cosiddetta
anarchia
militare,
che
terminerà
solo
con
l’ascesa
al
trono
di
Diocleziano,
imperatore
di
origine
illirica,
autore
di
una
grande
riforma
istituzionale.