SU
Don Abbondio
Rappresentante del clero
nella società del Seicento
di Federica
Ambroso
I Promessi Sposi, il
celeberrimo capolavoro di Alessandro
Manzoni, è un romanzo universalmente
apprezzato per il suo realismo e la
sua capacità di indurre a
riflettere, poiché descrive con
precisione la società e il clima
storico del Seicento, offrendoci una
panoramica verosimile e
particolareggiata anche del mondo
degli umili, dei poveri, un mondo
fino ad allora prescisso e ignorato.
Il mondo umano è l’incontrastato
protagonista, con le sue idee, le
sue domande, le sue passioni, i suoi
limiti, i suoi turbamenti. I
personaggi sono perfettamente
inseriti nel contesto storico, e
sono accuratamente descritti, sia
fisicamente, sia caratterialmente.
Il primo personaggio che compare,
nel primo capitolo del romanzo, è
don Abbondio, un prete molto
particolare. Ci viene presentato
mentre cammina verso casa, recitando
le abituali preghiere, e subito
traspare quanto egli sia un uomo
abitudinario (“era solito alzar
sempre gli occhi dal libro”),
tradizionalista, non avvezzo a
novità e cambiamenti.
Manzoni ci spiega che egli “aveva
ubbidito ai parenti, che lo vollero
prete”; don Abbondio non è
quindi un prete per vocazione o per
scelta (si dice che “fece un
rapido esame, se avesse peccato
contro un qualche potente”: non
sono i pensieri di un sacerdote), ma
un uomo pavido, vile, docile,
arrendevole, remissivo, che si
sottomette a chiunque per amor di
quieto vivere (perfino quando
incontra i bravi si rivolge loro con
un atteggiamento sottomesso,
chiedendo “Cosa comanda?” e
dichiarandosi “disposto sempre
all’ubbidienza”), per evitare
inutili problemi che possano turbare
la sua monotona, ma pacifica,
quotidianità.
Allora il clero era una classe che
godeva di particolari privilegi, e
“procacciarsi di che vivere con
qualche agio, e mettersi in una
classe riverita e forte, gli eran
sembrate due ragioni più che
sufficienti per una tale scelta”.
Don Abbondio si è “rifugiato” nel
sacerdozio perché si è accorto
“d’essere, in quella società, come
un vaso di terra cotta, costretto a
viaggiare in compagnia di molti vasi
di ferro”, ha capito che questo è
l’unico modo per non essere sempre
soggiogato e sopraffatto dalla
società violenta e indomabile del
tempo, non essendo egli nobile, né
ricco, tantomeno coraggioso.
Purtroppo non ha però tenuto conto
dei doveri che la sua carica gli
impone, delle responsabilità che
comporta, dei fini del suo
ministero: annunciare la Parola di
Dio, aiutare i più deboli, le
vittime; egli addirittura disprezza
“que’ suoi confratelli che, a
loro rischio, prendon le parti di un
debole oppresso” e, dopo aver
incontrato i bravi, se la prende con
le vittime della situazione, in
questo caso i giovani Renzo e Lucia,
che con il loro matrimonio
potrebbero turbare la sua routine (“Figliuol
caro, se tu ti senti il bruciore
addosso, io non voglio andarne di
mezzo”).
Don Abbondio cerca sempre di evitare
i problemi, di scansarli (questo
traspare anche dal suo
comportamento: prosegue il suo
cammino “buttando con un piede
verso il muro i ciottoli che fanno
inciampo nel sentiero”), o
altrimenti, se ciò non è possibile,
di affrettarli, per abbreviare la
paura (“non potendo schivare il
pericolo, vi corse incontro”).
È neutrale in ogni situazione, non
prende mai posizione e “se si
trova assolutamente costretto a
prender parte tra due contendenti,
sta col più forte, sempre però alla
retroguardia, e procurando di far
vedere all’altro ch’egli non gli è
volontariamente nemico”.
Anche don Abbondio è un uomo, e come
tale “ha anche lui il suo po’ di
fiele in corpo”, ma si sfoga con
poche persone conosciute e fidate,
che non potrebbero creargli problemi
(quando ha voglia di rivelare a
Perpetua la minaccia dei bravi, dice
“Quando dico niente, o è niente,
o è cosa che non posso dire”).
Critica solamente chi è incapace di
ribellarsi, come gli sconfitti e i
morti.
La sua vita è pervasa dal timore di
incappare in dilemmi e intrighi;
egli considera labirinti senza
uscita tutti i piccoli problemi
della quotidianità, che gli
impediscono di condurre una vita
sicura e libera dalle
preoccupazioni.
Manzoni ci descrive quest’uomo in
modo da poter capirlo, ma non
giustificarlo del suo comportamento
pusillanime; don Abbondio è un uomo
che cerca di scappare dalla vita,
dai problemi, dalle preoccupazioni,
dai nodi che, inevitabilmente,
vengono al pettine, restando chiuso
nel suo mondo incolore, nella sua
vita volontariamente piatta e
scialba, nel suo velo di
sottomissione che offusca una
personalità paurosa di mostrarsi.