[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 204 / DICEMBRE 2024 (CCXXXV)


filosofia & religione

SU Don Abbondio
Rappresentante del clero nella società del Seicento

di Federica Ambroso

 

I Promessi Sposi, il celeberrimo capolavoro di Alessandro Manzoni, è un romanzo universalmente apprezzato per il suo realismo e la sua capacità di indurre a riflettere, poiché descrive con precisione la società e il clima storico del Seicento, offrendoci una panoramica verosimile e particolareggiata anche del mondo degli umili, dei poveri, un mondo fino ad allora prescisso e ignorato.

 

Il mondo umano è l’incontrastato protagonista, con le sue idee, le sue domande, le sue passioni, i suoi limiti, i suoi turbamenti. I personaggi sono perfettamente inseriti nel contesto storico, e sono accuratamente descritti, sia fisicamente, sia caratterialmente.

 

Il primo personaggio che compare, nel primo capitolo del romanzo, è don Abbondio, un prete molto particolare. Ci viene presentato mentre cammina verso casa, recitando le abituali preghiere, e subito traspare quanto egli sia un uomo abitudinario (“era solito alzar sempre gli occhi dal libro”), tradizionalista, non avvezzo a novità e cambiamenti.

 

Manzoni ci spiega che egli “aveva ubbidito ai parenti, che lo vollero prete”; don Abbondio non è quindi un prete per vocazione o per scelta (si dice che “fece un rapido esame, se avesse peccato contro un qualche potente”: non sono i pensieri di un sacerdote), ma un uomo pavido, vile, docile, arrendevole, remissivo, che si sottomette a chiunque per amor di quieto vivere (perfino quando incontra i bravi si rivolge loro con un atteggiamento sottomesso, chiedendo “Cosa comanda?” e dichiarandosi “disposto sempre all’ubbidienza”), per evitare inutili problemi che possano turbare la sua monotona, ma pacifica, quotidianità.

 

Allora il clero era una classe che godeva di particolari privilegi, e “procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta”. Don Abbondio si è “rifugiato” nel sacerdozio perché si è accorto “d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”, ha capito che questo è l’unico modo per non essere sempre soggiogato e sopraffatto dalla società violenta e indomabile del tempo, non essendo egli nobile, né ricco, tantomeno coraggioso.

 

Purtroppo non ha però tenuto conto dei doveri che la sua carica gli impone, delle responsabilità che comporta, dei fini del suo ministero: annunciare la Parola di Dio, aiutare i più deboli, le vittime;  egli addirittura disprezza “que’ suoi confratelli che, a loro rischio, prendon le parti di un debole oppresso” e, dopo aver incontrato i bravi, se la prende con le vittime della situazione, in questo caso i giovani Renzo e Lucia, che con il loro matrimonio potrebbero turbare la sua routine (“Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, io non voglio andarne di mezzo”).

 

Don Abbondio cerca sempre di evitare i problemi, di scansarli (questo traspare anche dal suo comportamento: prosegue il suo cammino “buttando con un piede verso il muro i ciottoli che fanno inciampo nel sentiero”), o altrimenti, se ciò non è possibile, di affrettarli, per abbreviare la paura (“non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro”).

 

È neutrale in ogni situazione, non prende mai posizione e “se si trova assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, sta col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all’altro ch’egli non gli è volontariamente nemico”.

 

Anche don Abbondio è un uomo, e come tale “ha anche lui il suo po’ di fiele in corpo”, ma si sfoga con poche persone conosciute e fidate, che non potrebbero creargli problemi (quando ha voglia di rivelare a Perpetua la minaccia dei bravi, dice “Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire”). Critica solamente chi è incapace di ribellarsi, come gli sconfitti e i morti.

 

La sua vita è pervasa dal timore di incappare in dilemmi e intrighi; egli considera labirinti senza uscita tutti i piccoli problemi della quotidianità, che gli impediscono di condurre una vita sicura e libera dalle preoccupazioni.

 

Manzoni ci descrive quest’uomo in modo da poter capirlo, ma non giustificarlo del suo comportamento pusillanime; don Abbondio è un uomo che cerca di scappare dalla vita, dai problemi, dalle preoccupazioni, dai nodi che, inevitabilmente, vengono al pettine, restando chiuso nel suo mondo incolore, nella sua vita volontariamente piatta e scialba, nel suo velo di sottomissione che offusca una personalità paurosa di mostrarsi. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]