N. 12 - Maggio 2006
DOMUS
LIVIAE
La residenza
della moglie di Augusto
di
Sabrina Corarze
Prima che l’Area Palatina fosse interamente occupata dai
palazzi imperiali, su di essa sorgevano numerose case
private di illustri cittadini della tarda Repubblica,
ricordate dalle fonti ma difficilmente identificate.
Una di queste, detta “Casa di Livia” (fig.1, n.3), fu
scavata nel 1869 da Pietro Rosa su incarico di
Napoleone III.
Fig. 1
Situata sul Cermalus, confina a ovest con le
scalae Caci, a nord con
la
Domus Tiberiana, ad est col
la
Domus Flavia, mentre a sud una strada basolata la
separa dalla Domus Augusti.
L’attribuzione a Livia è stata dedotta in seguito al
rinvenimento di una fistula plumbea, ritrovata
nella galleria ad est della casa e conservata nel
tablinum, su cui era inciso il nome Iuliae Aug[ustae]
(CIL XV 7264). Esclusa l’ipotesi che si
tratti della casa in cui Livia abitò con il primo
marito, Tiberio Claudio Nerone, potrebbe trattarsi
dell’appartamento a lei riservato nella casa di
Augusto.
Secondo Svetonio (Svet., Aug), Augusto, dopo essere
stato già sposato con Clodia e Scribonia, sposò Livia
nel 38 a.C.; in questo periodo è probabile che
abitasse in quella che era stata precedentemente la
casa di Hortensius, da lui confiscata dopo la vittoria
di Filippi nel 40-41 a.C. In seguito alla battaglia di
Nauloco, conclusa nel 36 a.C., decise di ampliare la
sua dimora comprando (Vell. Pat.) o ricevendo dallo
stato alcune case preesistenti (tardo-repubblicane).
La casa di Livia, quindi, non era altro che la casa di un
illustre personaggio romano, Hortensius,
successivamente annessa al complesso augusteo.
L’edificio (fig.2), incassato nel tufo, si trova ad un
livello più basso rispetto al piano stradale e alla
terrazza su cui sorge il tempio della Magna Mater.
Il prospetto esterno in blocchi squadrati di tufo
l’accomuna alle case pompeiane ed ostiensi
tardo-repubblicane, ma si differenzia da queste per
una dislocazione su due distinti livelli dei locali di
rappresentanza e dei cubicoli dell’abitazione.
Il nucleo della casa è costituito da un atrium
quadrangolare su cui si aprono tre ambienti sul fondo
ed uno sulla destra, comunemente chiamati tablinum,
alae e triclinum ; questa sistemazione è
molto antica ed è la stessa che troviamo nel tempio
etrusco (Vitr. De Arch. 4, 7, 2), con profondo
pronaos e tre celle, e in alcune tombe arcaiche
di Cerveteri che rifletterebbero l’interno delle
abitazioni dell’epoca.
Inoltre il complesso delle tre stanze ricorre in un paio di
case rappresentate nella Forma Urbis severiana
e in alcune di età repubblicana scoperte ad Ostia. Non
risulta invece attestato a Pompei. Al piano superiore
si trovano i locali di servizio e tre cubicoli
destinati all’abitazione; c’è infine un cortile
posteriore.
Fig.
2
L’antico livello della soglia corrispondeva a quello
attuale, dato che poco sotto l’odierno piano di
calpestio è stato trovato il terreno vergine.
L’ingresso attuale, posto sul lato nord, avviene
tramite un vestibulum a piano inclinato, il cui
pavimento conserva ancora un mosaico nero su fondo
bianco. Si giunge ad un ipotetico cortile rettangolare
coperto da una tettoia sorretta da quattro colonne di
travertino, di cui sono state rinvenute solo le basi:
una è parzialmente conservata in sito, delle altre tre
si riconoscono le impronte di fondazione.
Questo ambiente, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere
l’originario atrium a cui si accedeva tramite
un ingresso principale situato sul lato est della
casa, mentre l’atrium attuale rappresenterebbe
l’originaria pars postica. Sappiamo infatti che
la casa per essere adattata ad una nuova funzione subì
delle modifiche, in seguito alle quali l’entrata
orientale fu chiusa e l’accesso a questa parte della
casa fu reso possibile attraverso un lungo corridoio.
In origine il tablinum costituiva l’elemento di
comunicazione tra le due parti.
Una scala, collocata tra atrium e triclinum,
raccordava il settore di rappresentanza a quello
abitativo. Gli ambienti situati a sud-ovest erano
chiusi da un muro in blocchi di tufo impostato su una
fondazione a sacco; sottoposto a continue spoliazioni,
oggi rimangono solo alcuni elementi in sito che ci
permettono di riconoscere l’originario livello esterno
su cui si impostava il primo filare dello spiccato. Lo
stesso sistema costruttivo, a blocchi di tufo, è
attestato per i lati occidentale, orientale e
meridionale della casa; per quanto concerne quello
settentrionale rimangono solo dei blocchi fuori posto.
A nord, ad ovest e a sud i limiti dell’edificio, oggi
visibili, sono quelli originari; ad est invece la casa
si allargava con un angolo acuto successivamente
rettificato. E’ stato comunque accertato che da questa
parte la casa non si estendeva oltre la fondazione S’.
Infatti dalla pianta si può vedere come il muro orientale
S’ sia la continuazione di quello nord-occidentale e
sud-occidentale P, di cui rappresenterebbe un
rifacimento o un ampliamento legato alla nuova
sistemazione data alla parte posteriore della casa con
la creazione di nuovi ambienti (9-13) sul lato
sud-occidentale. La successiva rettifica, eseguita
riutilizzando i blocchi del precedente ampliamento,
portò alla costruzione del muro P’.
La strada, limite sud della casa, è anteriore al nostro
edificio ed alle costruzioni a sud-ovest che ne hanno
rispettato i limiti; subì dei rifacimenti testimoniati
da resti di selciato trovati ad un livello più
profondo. La pendenza della strada, al contrario di
quella attuale, diminuiva procedendo verso est; la
carreggiata doveva essere larga circa due metri e
all’angolo sud-ovest doveva piegare dirigendosi verso
le scalae Caci. Attualmente si va restringendo
procedendo verso ovest. La cloaca sul lato
della strada appartiene alla sistemazione stradale.
Le case situate a sud-ovest, dall’altra parte della strada,
presentano la stessa tecnica costruttiva e stesso
aspetto esterno della casa di Livia, ma tra loro non
esiste alcun elemento di collegamento.
Si è tutti d’accordo nell’attribuire alla casa di Livia due
fasi. L’opus quasi reticulatum, realizzato con
parallelepipedi di tufo rosso legati con malta grigia,
è la tecnica costruttiva che caratterizza la prima
fase dell’edificio. Tale struttura, in base al
raffronto con strutture analoghe datate (Teatro di
Pompeo), si colloca nella prima metà del I secolo a.C.
(75-50
a.C.). A questa stessa fase appartengono le pitture
che decorano le alae, il tablinum ed il
triclinum (fig.3) e che costituiscono
uno dei più interessanti esempi di pittura di tardo
secondo stile (30 a.C. circa).
Fig.
3
Presentano delle innovazioni, come la prostasi al centro,
che le pongono in una fase più matura rispetto a
quelle dalla Villa di Boscoreale (NA) e della Villa dei
Misteri (Pompei). Si pensa che sia trascorso un lasso
di tempo tra la costruzione e la decorazione delle
pareti, presupponendo così che la casa rimase per
questo intervallo priva di affreschi. Ovunque si
notano finte architetture prospettiche, derivate dalle
scene teatrali, soggetti mitici, sfingi, divinità
alate, candelabri, ghirlande di frutta, fogliami,
scene di vita nilotica.
E’ questo il genere di pittura che Vitruvio (Vitr., De
Arch.) deprecava come espressione di tutto ciò che
“né esiste e né può esistere”. Anche l’apparato
musivo, collocato cronologicamente tra Cesare ed
Augusto, è ascrivibile all’impianto originario. I
pavimenti sono decorati da mosaici bianchi e neri a
piccole tessere, i cui schemi decorativi associano i
locali di rappresentanza ai cubicoli dell’abitazione
privata, evidenziandone la contemporaneità.
Tra i più belli è quello nel tablinum caratterizzato
da un motivo di meandro in bianco e nero molto
complesso, poiché i nastri sono riempiti di triangoli
a fondo bianco disposti a spina di pesce e alternati a
fasce a fondo bianco entro cui si dispongono
alternativamente losanghe e quadrati. Questo motivo si
ritrova nella casa di via Aventina e nella Villa di
Orazio a Vicenza. E’ visibile anche un tipo di mosaico
a tessellato geometrico, già documentato in età
sillana nella villa di via Nomentana, con campo nero
di tessere irregolari in ordito obliquo punteggiato di
tessere bianche più grandi.
Pavimenti più vicini per tipologia a quelli della casa di
Livia e associati a con muri in reticolato, si trovano
sotto l’Aula Isiaca, nell’atrium della
Villa di Livia a Prima Porta (Roma) e sotto il
Ludus Magnus. I mosaici delle soglie e dei
“tappeti” evidenziano il passaggio ai vari ambienti.
La seconda fase è caratterizzata da alcune modifiche
strutturali della casa, non più autosufficiente dopo
la chiusura dell’antico atrio, attribuibili al periodo
augusteo. Si nota l’impiego dell’opus reticulatum
che alterna parallelepipedi di tufo rosso e giallo
legati con malta rossiccia. Al piano inferiore viene
messa fuori uso la scala, ulteriori modifiche sono
attestate nel settore adiacente alla strada; la vasta
area retrostante le tre sale dipinte (alae e
tablinum) viene suddivisa in 28 cubicola,
distribuiti su due piani lungo tre lati e creati
mediante l’erezione di setti murari. Al centro di
quest’area si trova una costruzione in opera
cementizia di selce e travertino, attribuita
solitamente a Domiziano.
Secondo Lugli e Crema, i pilastri di travertino esistenti
lungo tre lati dell’area settentrionale (di cui solo
quello a nord-ovest non è visibile) testimonierebbero
l’esistenza di un originario quadriportico con
impluvium al centro. In realtà è stato accertato
che essi hanno esclusivamente funzione sostruttiva:
per Kahler si tratterebbe di un atrium (così
come si è soliti chiamarlo) sostenente un piano nobile
superiore, oggi scomparso, con sottostante
appartamento estivo identificabile con le tre sale
dipinte.
Ulteriori trasformazioni sono connesse alla sistemazione
edilizia che interessò l’area circostante. La casa fu
abbandonata in età poco posteriore a quella delle
famose decorazioni e, dato che lo scavo di Rosa ci ha
restituito la casa nelle condizioni in cui fu
abbandonata, è evidente che le pitture furono
distrutte già nell’antichità.
Esaminando un acquerello eseguito durante gli scavi di Rosa
si vede un muro (A) in opera laterizia, demolito
durante tale ricerca archeologica, parallelo alla
parete che separa l’ala destra dal tablinum.
Esiste un altro muro (B), costruito quando la casa era
già abbandonata, anch’esso in opera laterizia e
addossato alla parete di fondo dell’ala
sinistra, la cui costruzione causò la distruzione
delle pitture lì eseguite. L’acquerello mostra che i
due muri, A e B, erano identici e quindi coevi :
costruiti cioè nel medesimo tempo e per lo stesso
fine. Degli stessi pavimenti, strappati
nell’antichità, rimangono parti discontinue lungo le
pareti. La decorazione delle due pareti centrali, che
separano le alae dal tablinum, fu
interrotta dal vano delle due porte costruite per
collegare le due sale.
Tutti questi fatti ci testimoniano un momento in cui la
casa, tutta decorata, fu abbandonata : strappati i
mosaici, demoliti gli intonaci dipinti, furono
innalzati all’interno dell’edificio dei robusti muri
disorganici rispetto alla pianta della casa. Le nuove
strutture, non decorate per il fatto che non sarebbero
state in vista, servirono senz’altro per sostenere
edifici soprastanti che non conosciamo.
Dall’esame del muro B, databile alla prima metà del I
secolo dell’Impero ed antecedente all’età de Flavi,
possiamo datare il momento in cui la casa di Livia
diventò sotterranea, forse adibita a cantina, seguendo
lo stesso destino della casa dei Grifi e dell’Aula
Isiaca.
Le due fistule di età domizianea (CIL XV 7265) e
severiana (CIL XV 7285), rinvenute nella parte
posteriore dell’edificio, attestano che la casa
continuò ad esistere come nucleo destinato ai servizi
del palazzo, rimanendo quindi proprietà imperiale.
Il materiale rinvenuto durante gli ultimi scavi, eseguiti
nel 1953 da Gianfilippo Carettoni, è in prevalenza
tardo repubblicano: si tratta soprattutto di frammenti
di intonaco dipinto, ceramica campana e alcuni
frammenti di terra sigillata. Scarso risulta il
materiale tipicamente imperiale e tardo imperiale,
mentre le monete, il cui esemplare più recente è
cesariano, sono tutte repubblicane.
Appare evidente, sulla base degli elementi fin qui
esaminati, che la casa di Livia fu interessata da
vivaci attività edilizie fino al tardo periodo
repubblicano cui seguì un lungo periodo di stasi
riferibile all’età imperiale.
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