attualità
IL CASO
DMITRIEV E LE FOSSE COMUNI IN KARELIA
MEMORIE DI TERRORE STALINIANO
di Leila Tavi
Jurij Alekseevič Dmitriev (Юрий
Алексеевич Дмитриев) potrebbe essere una
delle malinconiche figure della graphic
novel ВЫ-ЖИВШИЕ (Vy-živšie,
Sopravvissuti) che il Музей истории
ГУЛАГА (Muzej istorii GULAGA), il Museo
della storia del GULAG di Mosca ha
pubblicato a marzo del 2019 per far
conoscere ai giovani le dimenticate
storie di coloro che durante il Terrore
staliniano sono divenuti ombre nei
GULAG.
Dmitriev ha dedicato una vita a ridare
dignità e un nome a migliaia di vittime
delle persecuzioni politiche degli anni
Trenta in Unione Sovietica. Difensore
dei diritti umani e direttore di una
delle sedi dell’Associazione Memorial
che si trova nella regione russa al
confine con la Finlandia, la Карелия
(Karelija, Carelia), Dmitriev rischia
una condanna di quasi venti anni di
carcere per un’accusa di pedofilia.
Già incriminato per pedo-pornografia
alla fine del 2016, per alcune foto
della figlia adottiva minorenne Наташа
(Natašja) ritrovate nel suo computer e
che lo storico ha dichiarato essere una
documentazione di come l’anoressia
stesse consumando la ragazza, è stato
assolto dall’accusa nell’aprile 2018 dal
tribunale di Петрозаводск
(Petrozavodsk), dopo aver scontato parte
della pena in carcere e parte agli
arresti domiciliari.
Due mesi dopo, nel giugno del 2018, la
Corte Suprema della Carelia ha annullato
il verdetto del tribunale di
Petrozavodsk e ordinato un secondo
processo, così Dmitriev è stato di nuovo
arrestato. Gli autori del blog THE
DMITRIEV AFFAIR, insieme a varie
altre iniziative a supporto dello
storico russo, sta facendo opera di
sensibilizzazione affinché l’opinione
pubblica e la stampa estera siano
informati del fatto che l’arresto di
Dmitriev non sia un caso isolato e che i
capi di imputazione potrebbero essere,
proprio come nei processi farsa del
periodo staliniano, un modo tenere
all’oscuro il popolo russo riguardo a un
doloroso passato.
Prima di essere processato nel 2016,
Dmitriev stava lavorando all’ultima
stesura di un libro frutto di nove anni
di ricerche, allo scopo di togliere
dall’oblio i nomi di 64.000 cittadini e
cittadine sovietiche che furono
deportati in Carelia da diverse parti
dell’URSS e furono rinchiusi nei GULAG.
Tra il 1931 e il 1933 tali detenuti
furono impiegati in massa nella
costruzione di un canale che avrebbe
messo in collegamento il mar Baltico con
il mar Bianco, il Беломорско-Балтийский
канал (Belomorsko-Baltijskij kanal),
intitolato, in occasione
dell'inaugurazione avvenuta il 2 agosto
1933, proprio a Stalin. Molti perirono
di stenti durante i lavori per
l’apertura del canale. Grazie al lavoro
di ricerca di Dmitriev siamo venuti a
conoscenza del fatto che oltre un terzo
degli attuali residenti in Carelia
discende dai deportati arrivati in massa
in Carelia da varie regioni periferiche
dell’Unione Sovietica e detenuti nei
GULAG, costretti ai lavori forzati.
Alla fine degli anni Novanta del secolo
scorso, una delle principali indagini di
ricerca effettuate da Dmitriev ha
portato alla scoperta di due siti,
Сандармо́х (Sandarmoh), una zona
boschiva vicino a Медвежьего́рск
(Medvežegorsk), capoluogo della Carelia,
e Кра́сный Бор (Krasnyj Bor), una
cittadina nei pressi di San Pietroburgo.
In quei luoghi Dmietriev ha rinvenuto
due fosse comuni dove sono stati gettati
i corpi di migliaia di vittime di
esecuzioni di massa avvenute tra il 1937
e il 1938. Si tratta, per la precisione,
di oltre 9500 persone di cinquanta
nazionalità differenti. Grazie a questa
importantissima scoperta di Dmitriev,
dal 1998, ogni 5 agosto dell’anno, si
commemorano a Sandarmokh e a Krasnyj
Bor, divenuti santuari della memoria, le
vittime delle repressioni.
Un altro eminente storico russo è stato
arrestato in circostanze poco chiare:
Сергей Колтырин (Sergej Koltyrin), ex
direttore del Медвежьегорский районный
музей (Medvež’egorskij rayonnyj muzej),
il museo distrettuale di Medvežegorsk,
ha subito lo stesso trattamento di
Dmitriev. L’arresto per lui è giunto nel
maggio del 2019, con la stessa accusa di
pedofilia e, malato di cancro, è morto a
maggio di questo anno nell’ospedale
della prigione. Come per Dmitriev, la
procura ha invalidato la sentenza del
tribunale di Medvežegorsk, che il 6
marzo 2020 ha ordinato il rilascio di
Koltyrin, considerate le sue gravissime
condizioni di salute, così da
permettergli di rivedere i suoi parenti
prima di morire, ma i procuratori hanno
presentato ricorso contro la decisione
del giudice e Koltyrin è deceduto prima
che il ricorso potesse essere annullato.
In Russia le pratiche culturali della
memoria sono decisamente inadeguate, se
confrontate con i milioni di vittime
causati dalle persecuzioni politiche
d’epoca sovietica. Come Alexander Etkind
spiega nel suo saggio Post-Soviet
Hauntology: Cultural Memory of the
Soviet Terror, mentre i Paesi
dell’Europa occidentale vivono nel
costante ricordo delle vittime delle
deportazioni, in una sorta di “mnemonic
age” o “memory fest”, in Russia
l’“amnesia” totale avvolge i fatti
storici relativi alle vittime delle
Grandi Purghe. Sicuramente
un’autocelebrazione della potenza
sovietica senza macchia e senza paura
serve a rinforzare l’attuale
establishment politico, ma l’amnesia è
solo a livello istituzionale,
considerato che i sondaggi sociologici
hanno dimostrato come i russi ancora
oggi non abbiano dimenticato il terrore
sovietico. Anche se l’interpretazione
che viene fornita di questo terrore
differisce a seconda della zona della
Russia e dello status sociale, in questa
sorta di memoria collettiva è racchiusa
una tangibile solidarietà tra differenti
comunità e generazioni.
La cultura
post-sovietica ha rielaborato la memoria
del terrore sovietico, in una terra,
come ricorda Etkind, dove milioni di
persone non sono state sepolte e dove i
morti ritornano come “non morti” nei
romanzi, nei film e in altre forme di
espressione culturale che riflettono,
plasmano e possiedono la memoria delle
persone. |