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N. 94 - Ottobre 2015 (CXXV)

LUCIO CORNELIO SILLA
DAGLI SCONTRI TRA FAZIONI ALLA DITTATURA

di Davide Galluzzi

 

Questo articolo può essere visto come il proseguimento di uno scritto precedente, il cui argomento riguardava la figura di Gaio Mario. Questa volta parliamo, invece, di Lucio Cornelio Silla, che di Mario fu rivale durante gli scontri tra fazioni.

 

Già qualcosa abbiamo accennato nel precedente articolo, accennando le origini della carriera di Silla ed i motivi che portarono alla sua prima marcia su Roma, quando il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo riuscì a togliergli il comando militare contro Mitridate VI a favore proprio di Mario. Da qui, dalla prima marcia su Roma di Silla, riprendiamo la nostra narrazione.

 

Presa la città con la forza e proscritti i suoi rivali, l’ottimate Silla fece approvare una importantissima “riforma”: qualsiasi proposta legislativa doveva essere approvata dal Senato prima di passare all’esame dell’assemblea popolare.

 

È evidente l’importanza ed il contenuto di questo provvedimento che, per molti versi, anticipa la futura attività legislativa sillana. Ad ogni modo, fatta approvare questa legge, Silla partì verso l’Oriente, dove infuriava la guerra contro Mitridate VI che, con la sua azione, aveva portato dalla sua parte diverse città greche. Giunte in Epiro nell’87 a.C. le truppe romane iniziarono ad infliggere diverse sconfitte (Atene, Cheronea, Orcomeno…) alle forze di Mitridate VI.

 

Nel frattempo la situazione a Roma, come già sappiamo, era tutt’altro che statica. Mario e Cinna, presa la città con la forza, furono eletti consoli. In questo ambito fu inviato un nuovo contingente militare in Oriente per sostituire quello sillano nella lotta contro il re del Ponto. La nuova armata, guidata da Caio Flavio Fimbria (subentrato al comando dopo aver assassinato Lucio Valerio Flacco), non si scontrò con Silla, ma si occupò solo di contrastare le truppe pontiche.

 

Tuttavia Silla ben sapeva che era più conveniente stipulare al più presto una pace con Mitridate, vista l’instabile situazione a Roma e vista la piega che stavano prendendo gli eventi. Fu così che, intavolate delle trattative, il futuro dittatore giunse, nell’85 a.C., alla firma della pace di Dardano, che vedeva, tra le sue clausole, il mantenimento del regno del Ponto, il pagamento di una indennità di guerra, la consegna della flotta e la restituzione di Bitinia e Cappadocia ai legittimi regnanti.

 

Questo primo trattato non stabilì la pace totale in Asia. Gli scontri tra truppe romane e pontiche continuarono per diversi anni, fino a che un intervento diretto di Silla non mise fine alle ostilità. Ad ogni modo una volta firmato il trattato di Dardano Silla riuscì ad incorporare l’armata inviata da Cinna in Oriente e, dopo aver ristabilito l’ordine in Grecia e in Asia con pugno di ferro, partì alla volta dell’Italia, sbarcando a Brindisi nell’83 a.C.

 

Ovviamente la fazione avversa non stette immobile e sfidò Silla sul campo di battaglia. Dopo due anni di lotta (durante i quali alle truppe sillane si aggiunsero le legioni reclutate da Cneo Pompeo), Lucio Cornelio Silla riuscì a prendere Roma. Subito venne il tempo delle proscrizioni, durate fino all’81 a.C., a causa delle quali la fazione mariana venne travolta.

 

Numerosi sostenitori di Mario furono trucidati, mentre diverse famiglie, proprio grazie alle proscrizioni, si impadronirono dei patrimoni confiscati, accumulando vaste ricchezze ed arrivando a posizioni di potere. Contemporaneamente diverse città fedeli a Mario furono punite con la confisca di terre assegnate ai veterani di Silla.

 

Nel frattempo, a Roma, il princeps senatus Flacco, nominato interrex a seguito della morte dei consoli, fece approvare una legge che nominava Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae. Una dittatura illimitata per la riorganizzazione dello Stato che, evidentemente, pareva non sopportare le novità introdotte negli ultimi anni.

 

A questo punto l’attività legislativa sillana fu votata a due obiettivi: la sanzione della supremazia del Senato e la distruzione del tribunato della plebe. Per fare questo il dittatore rinnovò il provvedimento preso in seguito alla prima marcia su Roma: le proposte di legge avrebbero dovuto essere approvate prima dal Senato e solo in seguito sottoposte all’approvazione popolare.

 

Contemporaneamente il numero di senatori fu alzato a seicento ed entrarono in Senato numerosi sostenitori di Silla, che andarono ad integrare i ranghi falcidiati dalle proscrizioni. I censori perdettero il potere di integrare le liste senatorie. Infatti fu deciso che l’entrata in Senato divenne automatica per coloro i quali ricoprivano la carica di questore (il cui numero fu aumentato fino alle venti unità), garantendo così un continuo afflusso di persone. Allo stesso tempo i tribunali permanenti tornarono ad essere assegnati ai soli senatori, eliminando da tale carica i cavalieri.

 

Con l’aumento del numero di tali tribunali si ebbe anche un aumento dei pretori, il cui numero salì ad otto. L’attività sillana andò ad investire anche il cursus honorum, con l’approvazione di una nuova regolamentazione alla successione delle cariche ed all’età minima prevista per assumerle.

 

Per quanto riguarda il tribunato Silla si decise a ridurne drasticamente i poteri, limitando il diritto di veto ed eliminando il diritto di proporre leggi. È da notare, inoltre, l’assunzione di un provvedimento secondo il quale chiunque avesse ricoperto la carica tribunizia non avrebbe più potuto accedere ad altre cariche pubbliche.

 

Conclusa questa vasta riforma dello Stato romano Silla decise di rinunciare alla carica di dittatore, ritirandosi a vita privata e morendo nel 78 a.C. La sua presenza e il suo operato avrebbero comunque segnato la via pubblica romana anche dopo diversi anni dalla sua morte e dalla distruzione dei suoi provvedimenti.



 

 

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