N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
UN DISCO TI SALVERÀ LA VITA
PARTE IV – The number of the beast
di Andrea Bajocco
Dopo
la
semina
del
1980,
coincisa
con
l'album
d'esordio
Iron
Maiden,
il
tempo
della
raccolta
arriva
nel
1982
con
The
Number
of
the
Beast,
un
concio
in
chiave,
più
che
un
semplice
album
che
segnerà
il
momento
decisivo
della
carriera
degli
Iron
Maiden.
Complice,
a
parere
di
molti,
l’abbandono
del
frontman
Paul
Di
Anno
e
l’ingresso
al
suo
posto
nella
band
di
Bruce
Dickinson,
i
Maiden
riescono
finalmente
nel
tanto
agognato
salto
di
qualità.
Grazie
a
questo
album
regaleranno
ai
loro
estimatori
(e
non)
raffinati
pezzi
dalle
sonorità
marcatamente
più
heavy
rispetto
ai
precedenti
lavori.
The
Number
of
the
Beast
si
compone
di
sette
tracce:
la
prima,
Invaders,
ripercorre
i
momenti
della
sanguinosa
invasione
vichinga
in
Inghilterra.
La
successiva
Children
of
the
Damned
narra
di
sei
bambini
obbligati
a
lottare
per
la
loro
sopravvivenza
contro
la
razza
umana.
Arriviamo,
così,
alla
terza
traccia:
The
Prisoner,
ispirata
all'omonima
serie
TV
inglese,
dove
il
protagonista,
un
ex-agente
segreto
del
governo
britannico,
subito
dopo
le
dimissioni,
viene
imprigionato
in
un
piccolo
villaggio
in
una
località
ignota.
I
capi
del
villaggio
in
questione
cercheranno
di
carpire
le
ragioni
delle
sue
dimissioni.
Il
protagonista
viene
privato
di
ogni
diritto,
anche
del
nome:
tutti
si
rivolgono
a
lui
chiamandolo
“Numero
Sei”.
Per
tutta
la
durata
della
serie,
“Numero
Sei”
non
cederà
mai
ai
tentativi
dei
suoi
rapitori
di
piegare
la
sua
volontà,
tentando
più
volte
con
determinazione
sia
la
fuga,
sia
di
risolvere
i
segreti
che
lo
circondano.
La
quarta
track,
22,
Acacia
Avenue
è la
continuazione
del
brano
Charlotte
the
Harlot,
contenuto
nel
primo
album,
Iron
Maiden.
Il
titolo
prende
il
nome
dall’indirizzo
dove
la
prostituta
Charlotte
teneva
i
suoi
incontri
con
i
clienti.
The
Number
of
the
Beast,
traccia
che
dà
il
nome
all’album,
altro
non
è
che
la
trasposizione
in
musica
di
un
incubo
avuto
proprio
dal
bassista
Steve
Harris.
Leggenda
– ma
neanche
più
di
tanto,
sembra
infatti
una
notizia
certa...
–
narra
che
il
breve
estratto
dall’Apocalisse
recitato
all’inizio
della
traccia
(“Woe
to
you
oh
earth
and
sea
for
the
Devil
sends
the
beast
with
wrath
because
he
knows
the
time
is
short.
Let
him
who
hath
understanding
reckon
the
number
of
the
beast
for
it
is a
human
number...
its
number
is
six
hundred
and
sixty
six...”), doveva essere inizialmente narrato dall'attore Vincent
Price.
Tuttavia,
a
causa
del
compenso
di
“non
meno
di
25.000
sterline”,
la
band
optò
per
un
bravo
imitatore
per
l'incisione
del
brano.
Arriviamo
così
ad
uno
dei
pezzi
più
famosi
e
rappresentativi
dei
Maiden:
Run
to
the
Hills,
brano
che
tratta
delle
battaglie
fra
inglesi
e
nativi
d'America
ai
tempi
della
colonizzazione
degli
Stati
Uniti.
Dulcis
in
fundo,
Hallowed
Be
Thy
Name.
È un
brano
carico
di
pathos
e di
angoscia,
che
sin
dalle
prime
note
riesce
nell’intento
di
far
immaginare
a
chi
l’ascolto
di
essere
chiuso
lì,
nella
cella,
con
il
condannato
a
morte
durante
le
ultime
ore
della
sua
vita
prima
dell’esecuzione.
Ma
non
c’è
rosa
senza
spine:
il
vastissimo
riscontro
positivo
ottenuto
dall’album
venne
macchiato
dalle
accuse
(non
nuove
nell’ambiente
heavy
metal)
di
satanismo,
tanto
che
addirittura
si
provò
a
boicottare
l’uscita
e la
diffusione
dell’album
stesso.
Ovviamente
critiche
di
questo
tipo,
dovute
con
tutta
probabilità
a un
approccio
a
tale
genere
e ai
Maiden
totalmente
superficiale
e
colmo
di
pregiudizi,
non
scalfirono
minimamente
Dickinson
e i
suoi:
partì
il
tour
che
li
vide
headliner
e
protagonisti
assoluti
in
diversi
paesi
europei,
tranne
negli
Stati
Uniti,
dove
aprirono
i
concerti
ai
Rainbow
di
Ronnie
James
Dio
e a
Ozzy
Osbourne.
Insomma,
chi
temeva
per
il
cambio
di
guardia
ha
ricevuto
una
bella
smentita:
l’arrivo
di
Bruce
ha
segnato
la
svolta
per
il
gruppo,
una
nuova
armonia
artistica
e
non
che
ha
permesso
ai
Maiden
di
salire
un
altro
imponente
gradino
verso
l’olimpo
del
successo
mondiale.