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N. 83 - Novembre 2014 (CXIV)

UN DISCO TI SALVERÀ  LA VITA
PARTE III - unknown pleasures
di Andrea Bajocco

 

Non soltanto il disco d’esordio (datato 1979) dei Joy Division. Non soltanto una copertina che è a tutti gli effetti entrata nella Storia. Non soltanto l’inizio di uno stile musicale che ha segnato un punto di svolta nella musica britannica prima e mondiale poi. Unknown Pleasures è stato, ed è tuttora, molto di più. 

 

Il primo LP della band di Manchester è in breve tempo diventato una vera pietra miliare. Se la musica si potesse rappresentare come un arco tra passato e presente, Unknown Pleasures andrebbe a posizionarsi di diritto al posto del concio in chiave, quel mattoncino imprescindibile senza cui tutto crollerebbe. Senza cui, nel tempo, nulla sarebbe diventato quello che è oggi...

 

Facendo un passo indietro nel tempo, il progetto Joy Division nasce dall’idea di un trio di amici e dal loro amore per la musica punk. Spesso si ritrovavano infatti nei parterre dei club dove si esibivano gruppi quali Sex Pistols, Clash e, soprattutto, Buzzcocks.

 

Ed è proprio a questi ultimi che i futuri Joy Division, sotto il nome di Warsaw (scelto in onore di Warszawa, canzone strumentale di David Bowie) nel maggio del 1977 hanno aperto il concerto all’Electric Circus di Manchester. Di lì a poco i Warsaw, con l’aggiunta in pianta stabile di Stephen Morris alla batteria, pubblicano il primo EP, An Ideal for Living.  

 

Il quartetto aveva già una ben chiara identità. Riusciva a mescolare le sonorità del punk – ormai sempre più in decadenza – a quelle new wave di Bowie e dei Doors. In realtà il collante tra i due generi era soprattutto la voce bassa e rauca – a tratti sofferente – di Ian Curtis. Da questo nuovo modo di fare musica nascono i Joy Division, il cui nome è un chiaro riferimento alle baracche in cui le donne deportate venivano usate come prostitute dai soldati delle SS. La vita musicale della band sarà tanto effimera quanto incisiva e sconvolgente per la musica mondiale: soltanto due album (di cui il secondo, Closer, uscito postumo) e pochissime esibizioni dal vivo.

 

La folgorante carriera della band mancuniana inizia negli Strawberry Studios di Stockpor nel ’79 con quello che rimarrà il loro capolavoro: Unknown Pleasure. Per la copertina – divenuta una vera icona del Rock – è stato usato il negativo di un’immagine consigliata da Stephen Morris e tratta dal libro The Cambridge Encyclopedia of Astronomy che ritrae le pulsazioni elettromagnetiche della CP 1919, la prima pulsar mai scoperta. 

 

Unknown Pleasures è un disco che all’ascolto si presenta cupo, tetro, difficile... ma nel contempo è onirico, meraviglioso, sottocutaneo. Sembra triste, ma cela spunti di speranza, di ottimismo e di sfrontataggine... e quando la testina si abbassa e, incontrando il disco, ne incomincia a percorrere i solchi, la magia delle 10 tracce che vengono diffuse riporta a un’altra dimensione pregna di atmosfere che sembrano radicate in un’epoca passata. Si ha l’impressione di comprendere le difficoltà e le sofferenze che il giovane Ian Curtis provava nella fine degli anni ’70. 

 

Affetto, infatti, da un’epilessia fotosensibile che andava peggiorando, il frontman entrò nel vortice di una depressione cronica che lo porterà a neanche 24 anni al suicidio, condannando sì i Joy Division a una fine prematura, ma allo stesso tempo aprendo loro di fatto i cancelli dell’immortalità. 

 

La voce baritona di Curtis si mescola alla batteria claustrofobica e al basso nevrotico di Peter “Hooky” Hook per dar vita a Disorder, che non è soltanto la traccia d’apertura del disco e della storia dei Joy Division, ma è anche e soprattutto un avvertimento. I 4 di Manchester affidano ai suoi 3 minuti e 33 secondi la “mission” del gruppo. Quando la canzone, concludendosi, inizia a sfumare, gli ascoltatori hanno quel breve tempo prima che parta la successiva per realizzare, comprendere e apprezzare l’ambizioso progetto musicale dei Joy Division.  

 

Si prosegue con Day of the Lords che sembra un “ritorno al futuro” per via delle sonorità molto simili a quelle che saranno contenute in Closer. Con Candidate e Insight si entra in un’immaginaria stanza tetra e macabra il cui contesto è accompagnato da un’acustica cupa, quasi dark... 

 

In New Dawn Fades i giri di basso che si alternano velocemente a quelli di chitarra spalancano le porte di un vortice tagliente che entra profondamente nell’animo dell’ascoltatore. E ritornano le paure e le frustrazioni di Ian Curtis, uomo e poeta già maturo nonostante la giovane età. 

 

La doppietta che segue è composta da She’s Lost Control e Shadowplay, tra le più famose e amate tracce dell’album. 

 

La prima, costituita per lo più di pochi accordi, crea nuovamente le lugubri atmosfere che mancavano nella canzone precedente attraverso un giusto mix tra goth e new wave. Non si sa chi sia effettivamente la “lei” di cui si parla; forse è la stessa che, attraverso il ripetitivo “[...] waiting for you” Ian ammette di aspettare, quasi fosse sull’orlo di un precipizio, nei quasi 4 minuti di Shadowplay. Di quest’ultima, anni dopo, i The Killers faranno una cover molto ben riuscita usata per la colonna sonora di Control, film biografico di Anton Corbijn incentrato sulla vita di Ian Curtis. 

 

Senza mezzi termini, i Joy Division si schierano contro l’ipocrisia religiosa in Wilderness in cui esce fuori la parte punk del gruppo... almeno per quanto riguarda lo spirito. Le musicalità punk della band si esprimeranno soltanto con la canzone successiva, Interzone, che funge come classica chiusura del cerchio. Un cerchio che si riapre e si richiude immediatamente con I Remember Nothing, lenta conclusione di un capolavoro che a 35 anni dalla prima pubblicazione rimane di un’attualità disarmante.



 

 

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