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N. 124 - Aprile 2018 (CLV)

Il Marocco e i ribelli Sahrawi

una partita mai chiusa
di Gian Marco Boellisi

 

Lo scorso 11 aprile 2018 è avvenuto in Algeria uno dei disastri aerei più catastrofici nella storia dell’aviazione mondiale. Un aereo militare decollato da Boufarik, a circa 30 km da Algeri, e diretto verso la base militare di Bechar si è schiantato prendendo fuoco subito dopo il decollo e uccidendo i 257 passeggeri al suo interno.

 

Non è la prima volta che incidenti simili capitano all’interno dei confini di Algeri, ma questo caso è sicuramente degno di nota per il suo esorbitante costo in vite umane. Tuttavia tra i morti dello schianto non vi sarebbe solo personale militare algerino.

 

Infatti secondo fonti ufficiali tra le vittime dell’incidente sarebbero caduti 26 combattenti del Fronte Polisario (abbreviazione di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), ovvero membri del popolo Sahrawi provenienti dal Sahara Occidentale e ancora oggi in aperta ribellione con il governo del Marocco.

 

C’è chi parla addirittura di 26 tra i più alti membri del Fronte, ma le voci non sono ancora confermate. Questo incidente potrebbe quindi incidere notevolmente sullo scacchiere regionale, influenzando non poco le scelte nei prossimi mesi dei governi di Algeri e Rabat.

 

Prima di proseguire tuttavia vale la pena soffermarsi sulla storia di questo movimento rivoluzionario e di come Algeria e Marocco si trovino su fronti contrapposti in questo importante scenario.

 

Il movimento viene fondato il 10 maggio 1973 da El Ouali Mustapha Sayed, ex membro del Partito Comunista del Marocco, con l’intenzione di avere l'indipendenza del Sahara Occidentale dall'occupazione militare congiunta della Spagna, del Marocco e della Mauritania.

 

Dal 1975 in poi il Fronte sceglie come base operativa Tindouf, in Algeria, e adotta tattiche di guerriglia oltre confine così da indebolire le forze di occupazione. Nello stesso anno l’ONU riconosce il Fronte ed anche il diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi.

 

Ciò dà l’impulso al fronte per dichiarare nel 1976 la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, riconosciuta da ben 76 stati nel mondo. Non essendo tuttavia un’entità statale completamente definita, ancora oggi la Repubblica ha sia un presidente che un governo in esilio.

 

Tra il 1976 e il 1979 Mauritania e Spagna firmano un accordo di pace con il Fronte, il quale concentra i propri sforzi contro Rabat. La guerriglia con il Marocco continua per almeno un altro decennio, fino ad arrivare all’armistizio del 6 settembre 1991 in cui le ostilità terminano e il cessate il fuoco viene ufficialmente monitorato da una missione ONU.

 

Nel corso degli anni Rabat ha edificato diversi muri in modo da isolare geograficamente la povera superficie desertica appartenente al popolo Sahrawi, minando abbondantemente l’intera area cuscinetto. Allo stesso modo il Fronte ha sempre goduto dell’appoggio di Algeria e Libia, i quali si sono sempre assicurati di approvvigionare armi e viveri per il sostentamento della ribellione.

 

A oggi la situazione è ancora altalenante, soggetta a tensioni continue da entrambi i lati con il governo di Rabat che non ha ancora cancellato il suo sogno di riportare all’ovile la provincia ribelle.

 

In perfetta concomitanza con l’incidente, il governo del Marocco non è rimasto con le mani in mano. Vi sarebbe in atto infatti un’importante mobilitazione militare delle truppe di terra di Rabat in seguito a presunte “violazioni estremamente gravi” da parte del Fronte dell’armistizio del 1991.

 

È da settimane che il consueto scambio di accuse tra le due parti si è intensificato rispetto al solito e ciò potrebbe voler mostrare come il governo centrale di Rabat stia premendo l’acceleratore verso il processo di riunificazione oppure di come le frange estreme del Fronte stiano sempre più assumendo il controllo sconfinando oltre il muro e destabilizzando le zone limitrofe. Quali delle due ipotesi sia la verità, come sempre accade in questi casi, non lo sapremo mai.

 

Un episodio degno di nota è avvenuto all’inizio di aprile, quando il ministro marocchino degli Affari Esteri Nasser Bourita si è recato al Palazzo di Vetro per avere un colloquio diretto con il Segretario delle Nazioni Unite e fornire così le prove delle presunte infrazioni del Fronte.

 

Cosa sia stato presentato non è dato saperlo, tuttavia le dichiarazioni del ministro Bourita hanno dell’inquietante. Egli sostiene infatti che qualora l’ONU non agisse in difesa dei confini marocchini Rabat considererà queste azioni destabilizzanti come un atto ostile verso il proprio territorio, agendo di conseguenza.

 

Tali affermazioni devono essere viste in un’ottica più ampia, essendo il Marocco perfettamente consapevole del supporto di Algeri verso il Fronte Polisario e quindi probabilmente indirizzando una possibile ritorsione anche contro uno stato sovrano oltre che contro un movimento indipendentista.

 

In conclusione, quello del Sahara Occidentale è un fronte ben lontano dalle telecamere della CNN che siamo abituati a vedere tutti i giorni nel notiziario serale. Tuttavia non va sottovalutata l’importanza di questo scenario, essendo esso inestricabilmente collegato all’intero panorama nord-africano.

 

L’incidente dell’11 aprile potrebbe essere un’occasione ghiotta per Rabat, la quale potrebbe vedere ora più che mai l’opportunità di assestare un colpo mortale al movimento indipendentista essendone la leadership profondamente indebolita.

 

Tuttavia sarebbe sciocco credere che il Marocco lasci fuori dai giochi Algeri, la quale per oltre 40 anni ha supportato il Fronte con armi ed equipaggiamenti. La soluzione ideale sarebbe che l’ONU facesse veramente quello per cui è stata creata, ovvero evitare lo scoppiare delle ostilità, anche quelle “di minore rilevanza mediatica”, e non di cercare di mettere le toppe solo dopo che queste siano esplose.

 

Un’ulteriore conflitto nel Sahara Occidentale, oggi, tra gli unici attori usciti indenni dalla stagione delle “Primavere”, non farebbe che gettare benzina su un fuoco che è stato lasciato ardere ormai da troppo tempo.



 

 

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