N. 93 - Settembre 2015
(CXXIV)
IL DIROTTAMENTO DELL’ACHILLE LAURO
BREVE STORIA DI UN’AZIONE ARMATA
di Filippo Petrocelli
Trent’anni dopo il dirottamento dell’Achille Lauro è un lontano ricordo. Tanto è passato da quel 7 ottobre 1985, quando un commando palestinese del Fronte per la Liberazione della Palestina (Flp), dirotta a largo delle coste egiziane l’enorme nave da crociera, acquistata negli anni Sessanta dall’ammiraglio Lauro e diventata col tempo fiore all’occhiello delle flotte da turismo nel Mediterraneo.
Sulla
nave
sono
presenti
221
passeggeri
perlopiù
americani
e
304
membri
dell’equipaggio
e il
dirottamento
diventa
un’azione
dal
grande
impatto
mediatico
mirata
a
provocare
la
liberazione
di
50
militanti
rivoluzionari
palestinesi
attraverso
lo
scambio
di
ostaggi.
Sono
lontani
gli
anni
in
cui
i
fedayn,
i
combattenti
palestinesi,
scelgono
come
tattica
il
dirottamento
dei
voli
di
linea,
perché
l’opzione
si è
rivelata
controproducente
non
solo
a
livello
di
opinione
pubblica
ma
anche
nello
stretto
calcolo
militare.
Il
gruppo
del
Flp
fa
capo
a
Muhammad
Zaydan,
nome
di
battaglia
Abu
Abbas,
già
membro
del
Fronte
popolare
per
la
liberazione
della
Palestina
–
Commando
generale
e
figura
di
primo
piano
della
resistenza
palestinese,
fazione
radicata
soprattutto
nei
campi
profughi
piuttosto
che
nei
Territori
occupati.
Il
movimento
nasce
sul
finire
degli
anni
Settanta
proprio
da
una
scissione
del
Fronte
popolare
per
la
liberazione
della
Palestina
–
Commando
generale
(Fplp-Cg),
gruppo
guidato
da
Ahmed
Jibril
e
schierato
notoriamente
su
posizioni
filo-siriane,
al
punto
da
essere
sospettato
di
essere
legato
ai
servizi
segreti
di
Damasco.
A
dividere
il
gruppo
diverse
vedute
sulla
guerra
civile
libanese
e
sul
ruolo
della
Siria
in
questo
conflitto,
così
come
divergenze
rispetto
all’Olp
–
Organizzazione
per
la
liberazione
della
Palestina
– da
cui
il
gruppo
di
Jibril
fuoriesce
già
nel
1974.
Tuttavia
all’interno
dell’Olp,
l’organizzazione
ombrello
dei
gruppi
della
resistenza
palestinese,
il
Flp
si
distingue
per
una
robusta
critica
all’operato
di
Arafat
e di
al-Fatah,
anche
se a
partire
dai
tardi
anni
Ottanta,
decide
di
seguire
la
via
del
negoziato
con
Israele
e
del
processo
di
pace.
Il
commando
che
colpisce
l’Achille
Lauro
è
composto
da
quattro
uomini:
Bassam
al-Askar,
Ahmad
Marrouf
al-Assadi,
Ibrahim
Fatayer
Abdelatif
e
Youssef
Majed
al-Molqi.
Il
piano
originale
mira
a
far
entrare
la
nave
in
un
porto
israeliano
per
compiere
un
attentato,
ma
fin
da
subito
i
fedayn
sono
costretti
a
modificare
i
piani,
perché
sospettano
di
essere
stati
scoperti
e
quindi
“bruciano
i
tempi”.
Imbarcati
a
Genova
con
documenti
falsi,
i
miliziani
iniziano
la
loro
azione
a
largo
delle
coste
egiziane,
prendendo
rapidamente
il
controllo
della
nave,
da
dove
comunque
parte
un
sos.
L’Achille
Lauro
batte
bandiera
italiana,
quindi
per
il
diritto
internazionale
è
l’Italia
a
dover
gestire
le
trattative.
Inizialmente
il
governo
italiano,
anche
sotto
la
pressione
degli
Stati
Uniti,
opta
per
una
soluzione
armata
inviando
in
una
base
di
Cipro,
50
uomini
delle
forze
speciali
(Comsubin
e
Colmoschin)
per
rispondere
al
dirottamento.
Successivamente
anche
grazie
alla
mediazione
di
Yasser
Arafat,
si
sceglie
per
la
via
diplomatica:
l’Olp
si
mostra
estranea
ai
fatti
e
propone
Abu
Abbas
come
mediatore,
insieme
a
Hani
El
Hassan,
uomo
di
fiducia
di
Arafat.
Abbas
convince
i
dirottatori
a
desistere
dall’azione
e
favorisce
il
loro
arrivo
in
Egitto
il 9
ottobre,
con
garanzia
di
un
salvacondotto.
Tuttavia
quando
viene
alla
luce
che
i
guerriglieri
hanno
ucciso
e
buttato
in
mare
un
cittadino
americano
di
origini
ebraiche
costretto
su
una
sedia
a
rotelle,
Leon
Klinghoffer,
gli
Stati
Uniti
tentano
l’opzione
armata
per
assicurare
alla
giustizia
statunitense
gli
assassini
di
un
loro
connazionale.
Inizia
così
la
crisi
di
Sigonella,
un
braccio
di
ferro,
non
solo
diplomatico
fra
Italia
e
Stati
Uniti,
fra
Ronald
Reagan
e
Bettino
Craxi,
che
diventa
la
più
grave
crisi
diplomatica
fra
due
paesi
alleati
dal
dopoguerra.
L’aereo
che
porta,
secondo
gli
accordi,
i
quattro
attentatori
più
Abbas
e
una
decina
di
militari
egiziani
dall’Egitto
a
Tunisi
(dove
ha
sede
l’Olp)
viene
agganciato
dai
caccia
statunitensi,
intercettato
e
costretto
ad
atterrare
nella
base
di
Sigonella
in
Sicilia.
Sono
minuti
convulsi
in
cui
la
linea
diretta
fra
Roma
e
Washington
diventa
bollente.
Reagan
si
aspetta
una
sottomissione
totale
del
governo
italiano
che
invece
non
arriva.
Craxi
usa
il
pugno
di
ferro
e
non
intende
tradire
la
parola
data:
la
base
viene
circondata
e
viene
impedito
il
blitz
della
Delta
Force,
le
forze
speciali
statunitensi.
La
Casa
Bianca
non
è
abituata
a
ricevere
dei
“no”,
così
come
l’Italia
non
è
mai
stata
capace
di
imporre
il
proprio
punto
di
vista.
Ma
in
quei
minuti
accade
l’inspiegabile.
Anche
all’interno
dell’esecutivo
italiano
ci
sono
divergenze:
c’è
chi
vorrebbe
accontentare
gli
americani,
come
i
repubblicani
e
chi
come
i
socialisti
e
una
parte
della
Democrazia
cristiana
invece
intende
perseguire
una
politica
più
autonoma.
Vince
la
seconda
opzione:
i
quattro
del
commando
vengono
trattenuti
dalla
giustizia
italiana,
mentre
per
Abu
Abbas,
diventato
il
primo
obiettivo
degli
americani,
si
decide
la
partenza
per
Belgrado
grazie
al
suo
passaporto
diplomatico.
Ma
questo
non
esclude
momenti
di
altissima
tensione
Usa-Italia
fra
il
10 e
l’11
agosto.
Il
12
dello
stesso
mese
l’aereo
con
a
bordo
Abu
Abbas
parte
per
la
Jugoslavia
segnando
l’epilogo
della
crisi
di
Sigonella.