N. 6 - Giugno 2008
(XXXVII)
Sharia e diritto
La Gran Bretagna si rifiuta di adottare la legge islamica
di Stefano Crescenzi
L’adozione di alcuni aspetti della Sharia, in Gran
Bretagna, è inevitabile.
Furono queste le
parole dell’Arcivescovo di Canterbury, Rowan
Williams, durante l’apertura dell’anno giudiziario
alla Royal Court of Justice, avvenuta lo scorso
febbraio.
Parole che hanno sollevato moltissime critiche da
ogni parte degli schieramenti politici, e che hanno
destato clamore, soprattutto perché provengono dalla
massima carica della Chiesa anglicana. Secondo
l’Arcivescovo Williams, per risolvere alcuni
problemi di scollamento e di integrazione fra
determinate comunità (quelle musulmane nel caso di
specie) e il resto della società britannica, e
considerato che alcuni appartenenti a queste
comunità non si identificano con il sistema legale
britannico, adottare delle parti della legge
islamica essere una soluzione valida e percorribile.
Del resto, non sarebbe
una totale novità, considerato che già viene
applicato il “diritto religioso” per le comunità
ebraiche ortodosse o per i cattolici (come le
deroghe alla legge sulle adozioni).
Ovviamente, l’Arcivescovo non si riferiva
all’applicazione degli aspetti più estremisti e
radicali della Sharia, che peraltro nessuno vorrebbe
vedere applicati in Gran Bretagna, ma a quegli
aspetti, come il diritto di famiglia o la soluzione
di dispute civili, attraverso l’impiego di “corti
islamiche” alternative, ma non sostitutive, a quelle
britanniche, che potrebbero facilitare l’inserimento
sociale e la convinzione che il Paese rispetti
maggiormente la fede musulmana. Una sorta di
giurisdizione supplementare a quella ordinaria. È
questa l’idea anche di molti esponenti della società
civile e delle organizzazioni islamiche, che hanno
salutato con favore la proposta di Williams.
Ma il Governo Brown non era sulla medesima lunghezza
d’onda: ha difatti rifiutato la proposta, adducendo,
tra le motivazioni principali, il primato della
legge britannica e dei valori fondanti il sistema
giuridico della nazione. Della stessa opinione sono
stati molti esponenti sia della maggioranza che
dell’opposizione, inclusa l’esponente musulmana di
maggior spicco della Camera dei Lord, la baronessa
Warsi, la quale ha affermato che tutti i cittadini
britannici devono sottostare ad un’unica legge,
quella britannica, sviluppata dal Parlamento.
La questione, però, non è così semplice come sembra,
poiché non solo si contrappongono due “diritti”
differenti, ma si confrontano due visioni assai
lontane della dottrina giuridica. La legge che vige
in Gran Bretagna è ovviamente una legge creata
dall’uomo, con tutte le visioni filosofiche che
hanno contribuito nel corso dei secoli allo sviluppo
del diritto in Occidente.
Mentre la Sharia è un
diritto divino, una legge che trae origine e
applicazione dai testi sacri, è l’espressione dei
principi universali dell’Islam, l’eterna e assoluta
volontà di Dio per l’universo e per l’uomo in
particolare. La Sharia è una legge rivelata, ma non
esiste un codice unico che contenga delle
prescrizioni normative univoche e di universale
applicazione. Essa trae origine, per la sua
applicazione, dal Corano, dalla Sunna e dalla
“hadith” (letteralmente “tradizione”, raccolta in
opere scritte riguardanti la vita e le opere del
Profeta, che vengono utilizzate per la soluzione di
questioni di diritto e dottrina religiosa), non è un
sistema unico.
Questa pertanto non è
basata sulla volontà di un uomo, non è l’espressione
di una decisione umana, ma viene applicata e seguita
con la precisa convinzione che essa rappresenti il
volere di Dio.
Il problema quindi non è più prevedere delle deroghe
o delle eccezioni alla legge in rispetto del
sentimento religioso e della propria appartenenza
religiosa (come avviene già), creando delle
discriminazioni positive (maggiori tutele) ma è una
soluzione che attaccherebbe la visione unitaria ed
universalistica del diritto, in quanto strumento di
garanzia e di eguaglianza per tutti i cittadini,
necessario a definire il quadro entro cui una
società civile applica le sue regole.
Introducendo elementi
di diritto religioso, come la Sharia, si
rischierebbe di introdurre un sistema giuridico non
negoziabile, perché espressione della volontà di
Dio, al di fuori del controllo e della normazione
ordinaria, che creerebbe un precedente per altre
confessioni religiose, portando ad una
sovrapposizione di ordinamenti differenti, spesso
non conciliabili.
Per chiudere con le parole dell’Arcivescovo
Williams, di fronte ad una simile questione,
dovremmo pensare alla vera sostanza del diritto e
della legge, che visto in un’ottica meramente
positivistica e separata dalla sua dimensione
teoretica (religiosa), risulta essere sterile e
improduttivo; e per quanto possiamo tenere fuori
dalla nostra cultura illuministica la dimensione
religiosa, la teologia ci aspetta sempre dietro
l’angolo ad ogni dibattito che coinvolge i
fondamenti delle nostre società.
Ma se davvero, come si auspicano più parti, una
limitata applicazione della Sharia nel diritto
britannico potesse aumentare la tolleranza reciproca
e l’inserimento delle comunità islamiche nella
società inglese? Potrebbe essere veramente una
soluzione percorribile? Parcellizzare e frammentare
segmenti della società, potrebbe aiutare a salvarci
dalle spinte centrifughe alimentate dal sentimento
religioso? |