SULL’ACCESSO ALL’ISTRUZIONE DELLE
DONNE
STORIA DI UN DIRITTO TARDIVO
di Ilaria D’Alessio
L’accesso all’istruzione ha svolto
un ruolo fondamentale nel permettere
alle donne l’entrata a molte
professioni. Solo nel XIX secolo le
università europee ammettono le loro
prime studentesse. Ben prima delle
donne europee, sono state le donne
americane ad accedere
all’università, nel 1900 si contano
5.000 laureate mentre in Francia,
nel 1914 sono meno di 600 le donne
che hanno ottenuto la laurea.
Nonostante tutto però l’esercizio
della professione resta difficile da
raggiungere. In Italia, bisogna
attendere il 1930 perché Cecilia
Dentice sia nominata professoressa
di liceo a Cagliari, primo caso nel
Paese. Quattro anni prima nel 1926,
un decreto del regime fascista aveva
escluso le donne dagli insegnamenti
di greco, latino, storia e
filosofia. Solo dopo la seconda
guerra mondiale, le donne si avviano
in maniera graduale a dominare il
settore dell’insegnamento, anche in
campo medico si assiste a
un’importante femminilizzazione
della professione.
Gli
Stati Uniti hanno il primato per la
frequenza femminile nelle
università. Questo spiega,
chiaramente, il progresso delle
donne americane sul piano
professionale. Nel 1964 il 40% delle
donne americane aveva il diploma di
primo grado superiore e l’80%
lavorava nel settore terziario. Per
questo motivo oggi in America hanno
donne negli affari, nell’istituzione
giudiziaria, nel campo letterario,
medico e nell’insegnamento.
Oggi
tuttavia esistono delle
diseguaglianze fondamentali, a
livello globale, tra donne e uomini
nel sistema universitario e
professionale. Per questo motivo la
Commissione Europea è impegnata nel
raggiungimento della parità di
genere attraverso la collaborazione
tra gli Stati membri, per il
conseguimento degli obiettivi
comunitari di crescita sociale e
occupazionale. Per quanto riguarda
l’istruzione e la ricerca, la
Commissione ha fissato alcuni
obiettivi:
“L’eliminazione
degli stereotipi di genere
nell’istruzione, nella formazione e
nella cultura: le donne e gli uomini
seguono spesso percorsi educativi e
formativi tradizionali e
“convenzionali”, che portano le
donne a posti di lavoro meno
valutati e remunerati”;
“Con particolare riferimento al
mondo accademico e della ricerca, la
Commissione ritiene che la
partecipazione delle donne possa
contribuire ad aumentare
l’innovazione, la qualità e la
competitività della ricerca
scientifica e industriale e va
dunque incoraggiata. Sono state
avviate a tal fine ricerche mirate
sulla dimensione di genere volte a
verificare l’integrazione della
dimensione di genere e la
partecipazione delle donne al
Consiglio europeo sulla ricerca e
promuovendo l’accesso delle donne a
carriere tecniche e scientifiche”.
Lavoro
e maternità
Com’è
possibile chiedere a una donna di
dover scegliere tra un lavoro o un
figlio?
Uno
dei motivi che da sempre limita le
donne nelle attività professionali è
la nascita dei figli. Nel ‘900 non
era ancora stata creata una
normativa in grado di tutelare la
neomamma. Per questo motivo, i
titolari non erano dovuti ad
assumerle dopo qualche mese dalla
nascita del proprio figlio, né tanto
meno erano retribuite, anzi, questo
avvenimento costringeva le donne a
interrompere la carriera lavorativa
e questo causava la perdita del
posto di lavoro. Anche in questo
caso i congedi per la maternità alle
lavoratrici sono stati introdotti in
tutte le professioni, a passo di
lumaca.
Tra il
1910 e il 1911, in Francia le
maestre e le impiegate furono le
prime a ottenere i congedi di due
mesi retribuiti. Solo più tardi,
nel 1945 tutte le lavoratrici
dipendenti ottennero quattordici
settimane retribuite con la metà del
salario base.
Alla
fine della prima guerra mondiale
venne introdotto il sistema degli
assegni familiari a ogni donna che
avesse due figli. Questo sistema
venne poi esteso in tutti i paesi
dell’Europa occidentale.
Le donne tra famiglia e lavoro
La
famiglia è il primo ambiente sociale
in cui il singolo individuo è
inserito. È proprio da qui si
definiscono e si formano i ruoli
sessuali. Nel Medioevo la famiglia
era un’unità produttiva
agricolo-artigianale, con la
rivoluzione industriale si attua il
processo di divisione del lavoro.
Il
ruolo della donna in epoca
industriale è collocato unicamente
alla sfera privata, domestica.
L’unico compito della donna è quello
di prendersi cura della famiglia e
di mettere al mondo dei figli, di
sostenere e accudire i lavoratori,
cioè i propri mariti. Come era già
avvenuto durante la prima guerra
mondiale, la seconda guerra mondiale
crea nuovi posti di lavoro. Mentre i
propri mariti sono al fronte, le
donne sono impegnate a lavorare. Al
termine del conflitto,le donne
furono rilegate nuovamente alla
sfera domestica.
Se è
vero che nelle donne nasce un senso
di colpa associato all’impossibilità
di seguire passo dopo passo la
crescita dei propri figli, negli
anni Settanta le prime a opporsi al
modello di donna di casa furono
proprio le donne americane e
italiane. In quegli anni grazie alla
sempre più diffusa istruzione, e
alla necessità di manodopera, alle
donne fu permesso di ritornare nel
mondo del lavoro.
Un
altro problema associato al nucleo
familiare è la divisione dei ruoli
all’interno della famiglia. Si
riteneva infatti che solo le donne
dovessero prendersi cura della casa
e dell’educazione dei figli, mentre
l’uomo era unicamente incaricato del
sostentamento economico. Anche in
questo caso, nello stesso periodo,
le donne si impegnarono per
eliminare questa divisione dei
ruoli. Le innovazioni tecnologiche
hanno ridotto di gran lunga il tempo
nella cura della casa. Le mansioni
domestiche si basavano
principalmente sul lavoro manuale,
dagli anni Settanta in poi invece
gli elettrodomestici hanno
contribuito ad alleggerire di molto
il lavoro delle casalinghe.
Gli
elettrodomestici resero tutto più
semplice e incentivarono la
collaborazione degli uomini nelle
faccende domestiche. Nel XX secolo
uno dei fenomeni rilevati, per
quanto riguarda il lavoro femminile,
fu proprio la comparsa nel mondo del
lavoro di donne sposate appartenenti
alle classi medie.
Nonostante l’affermazione femminile,
le famiglie continuarono a essere
patriarcali, cioè gestite e
controllate prettamente dall’uomo.
La figura della donna indipendente
era un qualcosa del tutto irritante
agli occhi dell’uomo di quel tempo.
Nello stesso periodo, alla
discriminazione di genere si
aggiunse la discriminazione
razziale. Gli stipendi delle donne
nere, infatti erano nettamente
inferiori rispetto a quelli delle
donne bianche e allo stesso tempo
gli stipendi delle donne bianche
erano inferiori a quelli degli
uomini. Nonostante i bassi profitti
sembra ormai chiaro alle donne che
il lavoro è una condizione a cui
proprio non vogliono rinunciare, sia
per la loro indipendenza economica
che per la loro crescita personale.