[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

185 / MAGGIO 2023 (CCXVI)


contemporanea

SULL’ACCESSO ALL’ISTRUZIONE DELLE DONNE
STORIA DI UN DIRITTO TARDIVO

di Ilaria D’Alessio

 

L’accesso all’istruzione ha svolto un ruolo fondamentale nel permettere alle donne l’entrata a molte professioni. Solo nel XIX secolo le università europee ammettono le loro prime studentesse. Ben prima delle donne europee, sono state le donne americane ad accedere all’università, nel 1900 si contano 5.000 laureate mentre in Francia, nel 1914 sono meno di 600 le donne che hanno ottenuto la laurea.

 

Nonostante tutto però l’esercizio della professione resta difficile da raggiungere. In Italia, bisogna attendere il 1930 perché Cecilia Dentice sia nominata professoressa di liceo a Cagliari, primo caso nel Paese. Quattro anni prima nel 1926, un decreto del regime fascista aveva escluso le donne dagli insegnamenti di greco, latino, storia e filosofia. Solo dopo la seconda guerra mondiale, le donne si avviano in maniera graduale a dominare il settore dell’insegnamento, anche in campo medico si assiste a un’importante femminilizzazione della professione.

 

Gli Stati Uniti hanno il primato per la frequenza femminile nelle università. Questo spiega, chiaramente, il progresso delle donne americane sul piano professionale. Nel 1964 il 40% delle donne americane aveva il diploma di primo grado superiore e l’80% lavorava nel settore terziario. Per questo motivo oggi in America hanno donne negli affari, nell’istituzione giudiziaria, nel campo letterario, medico e nell’insegnamento.

 

Oggi tuttavia esistono delle diseguaglianze fondamentali, a livello globale, tra donne e uomini nel sistema universitario e professionale. Per questo motivo la Commissione Europea è impegnata nel raggiungimento della parità di genere attraverso la collaborazione tra gli Stati membri, per il conseguimento degli obiettivi comunitari di crescita sociale e occupazionale. Per quanto riguarda l’istruzione e la ricerca, la Commissione ha fissato alcuni obiettivi:

 

L’eliminazione degli stereotipi di genere nell’istruzione, nella formazione e nella cultura: le donne e gli uomini seguono spesso percorsi educativi e formativi tradizionali e “convenzionali”, che portano le donne a posti di lavoro meno valutati e remunerati”;

 

“Con particolare riferimento al mondo accademico e della ricerca, la Commissione ritiene che la partecipazione delle donne possa contribuire ad aumentare l’innovazione, la qualità e la competitività della ricerca scientifica e industriale e va dunque incoraggiata. Sono state avviate a tal fine ricerche mirate sulla dimensione di genere volte a verificare l’integrazione della dimensione di genere e la partecipazione delle donne al Consiglio europeo sulla ricerca e promuovendo l’accesso delle donne a carriere tecniche e scientifiche”.

Lavoro e maternità

 

Com’è possibile chiedere a una donna di dover scegliere tra un lavoro o un figlio? 

 

Uno dei motivi che da sempre limita le donne nelle attività professionali è la nascita dei figli. Nel ‘900 non era ancora stata creata una normativa in grado di tutelare la neomamma. Per questo motivo, i titolari non erano dovuti ad assumerle dopo qualche mese dalla nascita del proprio figlio, né tanto meno erano retribuite, anzi, questo avvenimento costringeva le donne a interrompere la carriera lavorativa e questo causava la perdita del posto di lavoro. Anche in questo caso i congedi per la maternità alle lavoratrici sono stati introdotti in tutte le professioni, a passo di lumaca.

 

Tra il 1910 e il 1911, in Francia le maestre e le impiegate furono le prime a ottenere i congedi di due mesi retribuiti.  Solo più tardi, nel 1945 tutte le lavoratrici dipendenti ottennero quattordici settimane retribuite con la metà del salario base.

Alla fine della prima guerra mondiale venne introdotto il sistema degli assegni familiari a ogni donna che avesse due figli. Questo sistema venne poi esteso in tutti i paesi dell’Europa occidentale.

 

Le donne tra famiglia e lavoro

 

La famiglia è il primo ambiente sociale in cui il singolo individuo è inserito. È proprio da qui si definiscono e si formano i ruoli sessuali. Nel Medioevo la famiglia era un’unità produttiva agricolo-artigianale, con la rivoluzione industriale si attua il processo di divisione del lavoro.

 

Il ruolo della donna in epoca industriale è collocato unicamente alla sfera privata, domestica. L’unico compito della donna è quello di prendersi cura della famiglia e di mettere al mondo dei figli, di sostenere e accudire i lavoratori, cioè i propri mariti. Come era già avvenuto durante la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale crea nuovi posti di lavoro. Mentre i propri mariti sono al fronte, le donne sono impegnate a lavorare. Al termine del conflitto,le donne furono rilegate nuovamente alla sfera domestica.

 

Se è vero che nelle donne nasce un senso di colpa associato all’impossibilità di seguire passo dopo passo la crescita dei propri figli, negli anni Settanta le prime a opporsi al modello di donna di casa furono proprio le donne americane e italiane. In quegli anni grazie alla sempre più diffusa istruzione, e alla necessità di manodopera, alle donne fu permesso di ritornare nel mondo del lavoro.

 

Un altro problema associato al nucleo familiare è la divisione dei ruoli all’interno della famiglia. Si riteneva infatti che solo le donne dovessero prendersi cura della casa e dell’educazione dei figli, mentre l’uomo era unicamente incaricato del sostentamento economico. Anche in questo caso, nello stesso periodo, le donne si impegnarono per eliminare questa divisione dei ruoli. Le innovazioni tecnologiche hanno ridotto di gran lunga il tempo nella cura della casa. Le mansioni domestiche si basavano principalmente sul lavoro manuale, dagli anni Settanta in poi invece gli elettrodomestici hanno contribuito ad alleggerire di molto il lavoro delle casalinghe.

 

Gli elettrodomestici resero tutto più semplice e incentivarono la collaborazione degli uomini nelle faccende domestiche. Nel XX secolo uno dei fenomeni rilevati, per quanto riguarda il lavoro femminile, fu proprio la comparsa nel mondo del lavoro di donne sposate appartenenti alle classi medie.

 

Nonostante l’affermazione femminile, le famiglie continuarono a essere patriarcali, cioè gestite e controllate prettamente dall’uomo. La figura della donna indipendente era un qualcosa del tutto irritante agli occhi dell’uomo di quel tempo.  Nello stesso periodo, alla discriminazione di genere si aggiunse la discriminazione razziale. Gli stipendi delle donne nere, infatti erano nettamente inferiori rispetto a quelli delle donne bianche e allo stesso tempo gli stipendi delle donne bianche erano inferiori a quelli degli uomini. Nonostante i bassi profitti sembra ormai chiaro alle donne che il lavoro è una condizione a cui proprio non vogliono rinunciare, sia per la loro indipendenza economica che per la loro crescita personale.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]