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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

I diritti dell’uomo
Parte I - Le tappe fondamentali della tutela dei diritti umani

di Laura Ballerini

 

La tutela dei diritti umani è chiaramente un elemento fondamentale per la vita di ogni individuo e per la salute del suo stato. Tuttavia, questa importanza riservata al valore della vita umana può considerarsi appena nata.

 

La prima forma di protezione dei diritti umani, come oggi li intendiamo, risale infatti al 1945, con la Carta di San Francisco: con questo documento viene creata l’organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che si basa appunto su tre pilastri quali il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, la cooperazione allo sviluppo e la tutela dei diritti umani. In seguito, con l’Agenda for Peace del ‘92, il primo e il terzo pilastro vennero considerati interdipendenti, ovvero l’esistenza del primo avrebbe garantito il terzo.

 

Prima di questo momento, invece, l’individuo era considerato semplicemente oggetto del potere sovrano dello stato, e quest’ultimo legiferava in materia di diritti. Tra questi, gli Stati Uniti d’America si posero all’avanguardia con una costituzione che garantiva la libertà di pensiero, di religione, di parola e di riunione, tutelando il diritto alla vita e alla ricerca della felicità.

 

Successivamente, nel 1789, i rivoluzionari francesi cercarono di garantirsi anch’essi i diritti fondamentali all’eguaglianza, alla presunzione d’innocenza, alla libertà di espressione e associazione, con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

 

Questi due precedenti aprirono la porta verso costituzioni più garanti nei confronti dei diritti, ma, fino al 1945, il fenomeno non varcò la soglia nazionale.

 

Un altro elemento fondamentale alla costruzione di una protezione internazionale dei diritti dell’uomo fu l’esito disastroso della seconda guerra mondiale. Mentre gli stati ricostruivano le proprie macerie, riecheggiava il discorso del passato presidente U.S.A F.D. Roosvelt (1933-45), che parlava delle quattro libertà fondamentali: di credo, di coscienza, dalla paura, dal bisogno.

 

Dopo la sua nascita (1945), l’Organizzazione per le Nazioni Unite promosse la redazione del primo documento per la tutela della persona umana, stilato nel 1948: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (D.U.D.U).

 

Quest’ultima costituisce il primo catalogo per la tutela internazionale dei diritti umani e si compone di un preambolo e di un corpo di trenta articoli. Nel primo vengono elencati gli scopi, le motivazioni e le cause storiche che hanno condotto alla sua stesura; i trenta articoli, invece, sono suddivisi in quelli inerenti i diritti civili e politici e in quelli riguardo i diritti sociali economici e culturali.

 

Il difetto di questo documento, però, fu il fatto che non ebbe valore vincolante per gli stati: per quanto ne influenzò notevolmente le costituzioni, non aveva in sé niente che costituisse un obbligo al rispetto del suo contenuto.

 

Le successive tappe della tutela dei diritti umani si svolsero passo per passo. Sempre nel ‘48 si tenne la convezione sul genocidio, che venne per la prima volta definito come la persecuzione di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso tramite l’eliminazione dei suoi membri; il testo venne adottato dall’Assemblea generale per cercare di fornire i mezzi per punire i responsabili di questo crimine.

 

L’anno successivo invece si tennero a Ginevra quattro convenzioni sui conflitti armati. Il testo, approvato dall’Assemblea generale, venne proposto dalla Croce Rossa, e costituisce la base del diritto internazionale umanitario. Il documento cercava di migliorare il trattamento dei prigionieri di guerra, dei feriti, e di proteggere i civili. Al testo vennero annessi poi vari protocolli aggiuntivi, tra i quali uno nel 2001 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati non nazionali.

 

 In particolare, l’articolo 3 invita le parti belligeranti a trattare con umanità le parti escluse dal conflitto (gli arresi, i civili) e definiva vietate ogni forma di assassinio, tortura, mutilazione, la cattura di ostaggi e le esecuzioni attuate senza previo consenso di un tribunale regolarmente costituito. La violazione di queste convenzioni è considerato un crimine di guerra.

 

Nel ‘51, invece, è la volta della convenzione sui rifugiati politici. Si decise di conferire lo status di rifugiato a chi non si vedesse garantiti i diritti umani fondamentali nello stato di appartenenza. Questa condizione di assenza di protezione determina l’acquisizione di due diritti: il primo è quello di chiedere asilo politico, il secondo è quello di non essere respinti dallo stato a cui si fa richiesta (non-refoulement, nessuna estradizione). Attualmente la questione è gestita dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati politici (UNHCR).

 

Il passo successivo avvenne nel ‘66, quando vennero conclusi i patti sui diritti umani entrati poi in vigore nel 1976. Questi ultimi di fatto scorporavano la D.U.D.U. in due categorie di diritto, rispecchianti la divisione in blocchi causata dalla guerra fredda: questa volta, però, con carattere vincolante tra le parti.

 

Le potenze occidentali spinsero per l’inserimento dei diritti civili e politici, chiamati “di prima generazione”, considerati “operativi”, poiché di fatto già previsti dalle costituzioni degli stati. Questi comprendono il diritto alla vita, a non subire maltrattamenti, alla dignità, alla libertà di circolazione, a essere sottoposti a equo processo e alle libertà di associazione, credo, pensiero, stampa, espressione.

 

Le potenze sovietiche, invece, proposero l’inserimento dei diritti sociali, economici e culturali, chiamati “di seconda generazione” (anche se contemporanei a quelli di prima), definiti “promozionali”, la cui applicazione era cioè da promuovere. Questi ineriscono il diritto al lavoro, a giuste condizioni di lavoro, a un sindacato, all’istruzione, a partecipare alla vita culturale del proprio paese.

 

Vi sono anche i diritti di terza generazione, che non sono individuali come gli altri due, bensì collettivi: il diritto alla pace, alla sviluppo e a un ambiente sano e pulito. In seguito, conclusa la guerra fredda e la divisione in due blocchi, i diritti sanciti dai patti del ‘66 vennero definiti interdipendenti con l’atto finale della conferenza di Vienna del ‘93.



 

 

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