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N. 40 - Aprile 2011 (LXXI)

sulla CONDIZIONE DELLA DONNA IN TUNISIA

IL CODICE DELLO STATUTO PERSONALE
di Francesca Zamboni

 

L’emancipazione della donna, per quanto concerne i paesi arabo-musulmani, è un argomento che sembrerebbe mettere a disposizione una vasta gamma di strumenti volti all’approfondimento di questo aspetto sociale; strumenti che derivano principalmente dai precetti coranici.

 

Tuttavia, essi divengono insufficienti nel momento in cui si decide di affrontare un caso specifico come la Tunisia che, dal punto di vista della ricerca italiana, non offre molto materiale sulla questione. A parte infatti qualche breve saggio, la condizione della donna in Tunisia non è mai stata affrontata in modo particolareggiato.

 

Per cui per poter approfondire la materia, è stato necessario fare riferimento alla bibliografia francese e direttamente al Codice dello Statuto Personale, che rappresenta il punto di arrivo di un processo straordinario e in continua evoluzione.

 

Si è inteso descrivere il processo di emancipazione femminile avviato dal Presidente Bourguiba, mostrando certezze e contraddizioni tipiche di un paese, che ancora oggi è sempre dicotomicamente diviso tra ciò che teoricamente si propone di realizzare e quello che praticamente viene invece attuato.

 

La Tunisia, tra i paesi arabo-musulmani, è senz’altro il paese che perlomeno ha tentato non tanto di cambiare, ma di modificare aspetti sociali difficilmente trattabili, a causa del forte legame con la sfera religiosa.

 

Infatti Bourguiba, nonostante i tentativi di secolarizzazione, si è dovuto spesso fermare di fronte ad aspetti fortemente ancorati ai precetti coranici, piegandosi alle pressioni degli islamisti, che non avrebbero mai permesso un totale cambiamento delle tradizioni tunisine.

 

È sufficiente leggere il CSP per comprendere tutto ciò, poiché si tratta di un Codice che racchiude la realtà sociale della Tunisia, mostrando i traguardi raggiunti o meno, sia da Bourguiba che da Ben Ali.

 

L’impossibilità di riformare la successione, la filiazione e il matrimonio misto è la dimostrazione di quanto sia difficile ottenere totalmente l’emancipazione della donna, testimoniando la sopravvivenza della discriminazione femminile.

 

Ben Ali, con le riforme degli anni Novanta, ha tentato, come il suo predecessore, di dare una nuova forma alla struttura familiare tunisina, rivalutando la figura della donna, sia nel ruolo di coniuge che di madre.

 

Grazie ai suoi tentativi di modernizzazione, ispirati sempre ai principi del CSP, le associazioni femminili hanno potuto nuovamente prendere vigore fino ad essere riconosciute legalmente. Tuttavia la donna non trova ancora risposta alle sue richieste di emancipazione.

 

Quella tunisina è fondamentalmente una realtà anacronistica che, se all’inizio sembrava poter essere superata sull’onda entusiasmante dell’indipendenza, dall’altro è tornata a legarsi nuovamente ai vecchi dettami religiosi, che alla fine vincono sempre su qualsiasi tentativo di valorizzare la donna.

 

Tutti i progressi raggiunti sono stati possibili grazie allo strumento dell’ijtihad, ovvero l’interpretazione, che, con sottile abilità, è riuscita ad eludere l’aspetto religioso, permettendole comunque di restare la forza motrice del pensiero tunisino con la possibilità tuttavia di essere ancora modificato, quando non fosse sufficientemente capace di concretizzare le richieste di una società cresciuta dopo il colonialismo. Viceversa, là dove l’interpretazione non sia sufficiente per risolvere casi giuridici particolari, sarà il precetto religioso a colmare la lacuna.

 

Ecco il motivo per cui la Tunisia ha assunto questo aspetto bipolare: una sorta di immagine speculare che ha dipinto il paese di ambiguità, donandogli tuttavia una particolare originalità che lo ha distinto dalla cultura degli altri paesi arabo-musulmani.



 

 

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