N. 55 - Luglio 2012
(LXXXVI)
Dino Campana
Storia di un poeta
di Mirko Riazzoli
Il
poeta
Carlo
Giuseppe
Campana,
detto
Dino,
nacque
il
20
agosto
1885
a
Marradi,
un
comune
in
provincia
di
Firenze
nella
Valle
del
Lamene
nell'Appennino
tosco-romagnolo
al
confine
con
la
Romagna.
Alla
sua
terra
natia
dedicò
in
seguito
un
suo
componimento:
Il
mattino
arride
sulle
cime
dei
monti.
In
alto
sulle
cuspidi
di
un
triangolo
desolato
si
illumina
il
castello,
più
alto
e
lontano.
Venere
passa
in
barroccio
accoccolata
per
la
strada
conventuale.
Il
fiume
si
snoda
per
la
valle:
rotto
e
ruggente
a
tratti
canta
e
riposa
in
larghi
specchi
d’azzurro:
e
più
veloce
trascorre
le
mura
nere
(una
cupola
rossa
ride
lontana
con
il
suo
leone)
e i
campanili
si
affollano
e
nel
nereggiare
inquieto
dei
tetti
al
sole
una
lunga
veranda
che
ha
messo
un
commento
variopinto
di
archi!
(Marradi,
Antica
Volta,
Specchio
Velato,
Canti
Orfici)
Il
padre
Giovanni
fu
prima
insegnante
di
scuola
elementare
per
poi
divenire
direttore
didattico
mentre
la
madre
Francesca
Luti
(detta
Fanny)
era
una
casalinga.
La
sua
casa
natale
era
in
via
Celestino
Bianchi,
nel
quartiere
nei
pressi
del
fiume
detto
l’Inferno:
verrà
poi
bombardata
e
distrutta
durante
la
seconda
guerra
mondiale.
Dino
visse
gran
parte
dei
suoi
giorni
marradesi
nella
casa
“Campana”
di
Via
Pescetti.
I
rapporti
con
la
madre
divennero
problematici
nell’anno
1888,
quando
nacque
suo
fratello
Manlio
(detto
Nini),
il
secondogenito
della
coppia,
come
testimonia
una
lettera
della
zia
del
poeta
Giovanna
Diletti
Campana.
“Dopo
la
nascita
di
Manlio,
il
Cocco”,
scrisse
Giovanna
Diletti
Campana,
“Dino
passò
in
seconda,
o
per
meglio
dire
in
terza
linea.
Ninni
(Manlio),
sempre
Ninni,
solo
Ninni”
(G.
Turchetta,
Dino
Campana:
biografia
di
un
poeta,
p.
25).
Frequentò
le
scuole
elementari
a
Marradi,
dopo
di
che
frequentò
la
terza,
quarta
e
quinta
ginnasio
presso
il
collegio
dei
Salesiani
di
Faenza
(Ravenna)
e
nel
1899-1900
sostenne
gli
esami
di
licenza
nel
locale
ginnasio-liceo
“E.
Torricelli”.
L'anno
successivo
divenne
allievo
di
prima
liceo
presso
lo
stesso
“Torriccelli”
e
cominciò
a
dare
i
primi
segni
di
quello
squilibrio
mentale
con
manifestazioni
di
aggressività
verso
la
madre
che
lo
affliggerà
fino
alla
morte.
Gli
studi
liceali
li
svolse
in
parte
a
Ravenna
presso
il
Liceo
“Torricelli”,
in
parte
a
Carmagnola
(Torino),
in
Piemonte,
presso
il
Regio
Liceo
“Baldessano”,
dove
conseguì
la
maturità
nel
luglio
del
1903.
Durante
questi
anni
il
rendimento
scolastico
divenne
incerto
e
saltuario.
Nella
sua
formazione
contò
molto
la
lettura
di
poeti
e
scrittori
moderni.
Lui
stesso
infatti
affermò:
“Leggevo
molto
qua
e
là.
Carducci
mi
piaceva
molto,
Pascoli,
D’Annunzio,
Poe
anche;
l’ho
letto
molto
Poe.
Dei
musicisti
ammiravo
molto
Beethoven,
Mozart,
Schumann.
Verdi
anche
mi
piace;
Spontini,
Rossini”.
Accanto
a
queste
passioni
si
interessò
anche
di
pittura.
Durante
questo
periodo
ebbe
a
che
fare
per
la
prima
volta,
secondo
una
sua
testimonianza
purtroppo
abbastanza
vaga,
con
la
giustizia:
sarebbe
stato
rinchiuso
per
un
mese
in
un
carcere
di
Parma,
probabilmente
durante
una
delle
pause
della
vita
di
collegio.
Il
motivo
è
ignoto,
ma è
probabile
che
la
motivazione
sia
riconducibile
a
una
di
quelle
che
nel
resto
della
sua
vita
gli
causarono
innumerevoli
problemi:
l'ubriachezza,
l'irascibilità
e lo
squilibrio
nervoso.
Dal
4
gennaio
al 4
agosto
1904,
a
diciannove
anni,
anticipando
di
due
anni
il
servizio
di
leva
Campana
entrò
nella
scuola
per
ufficiali
di
complemento
di
Ravenna
(40°
Reggimento
di
fanteria):
non
superò
però
l'esame
per
divenire
sergente
e
venne
espulso
per
“comprovata
inidoneità”
(G.
Turchetta,
Dino
Campana:
biografia
di
un
poeta,
p.
46).
Si
iscrisse
quindi
il
22
novembre
1905
il
primo
anno
della
facoltà
di
chimica
pura
presso
l'Università
di
Bologna,
per
passare
l'anno
seguente
alla
facoltà
di
chimica
farmaceutica
a
Firenze.
La
sua
presenza
a
Bologna
sarà
importante
per
la
sua
formazione
letteraria:
qui
infatti
frequentò
le
lezioni
della
facoltà
di
lettere
e
intrattenne
rapporti
di
amicizia
con
i
gruppi
di
goliardi
e
con
i
giovani
appassionati
di
letteratura.
Nel
1905,
durante
la
frequentazione
dell’università,
venne
regolarmente
chiamato
alle
armi
ma
rinviò
il
servizio
a
causa
degli
studi.
Nel
1906
venne
congedato
a
causa
della
sua
infermità
di
mente.
A
quest’anno
risale
appunto
una
lettera,
del
13
settembre,
inviata
al
prof.
A.
Bruglia,
direttore
del
manicomio
di
Imola,
dal
padre:
"Nel
1900
incominciò
[Dino
Campana]
a
dar
prova
di
impulsività
brutale,
morbosa,
in
famiglia
e
specialmente
con
la
mamma".
Nel
1905-1906
frequentò
chimica
farmaceutica
di
nuovo
a
Bologna,
nel
1906-1907
restò
a
Bologna,
ma
passando
di
nuovo
a
chimica
pura.
Nel
1906,
mentre
era
ancora
a
Bologna,
il
padre
lo
fece
visitare
dal
prof.
G.
Vitali
che
in
una
sua
lettera
inviata
a
Brugia
scrisse:
"Si
tratta
di
una
forma
psichica
a
base
di
esaltazione,
per
cui
si
rende
necessario
il
riposo
intellettuale,
l'isolamento
affettivo
e
morale,
e
l'uso
di
preparati
bromici.
Con
tali
si
otterranno
vantaggi;
ma
quali?
E
fino
a
qual
punto?"...
(G.
Turchetta,
Dino
Campana:
biografia
di
un
poeta,
p.
41)
Il 4
settembre
venne
ricoverato
nel
manicomio
di
Imola,
dove
restò
fino
al
31
ottobre,
quando
il
padre,
contro
il
parere
dei
sanitari,
decise
di
farlo
uscire.
Nei
mesi
successivi
Campana
migliorò,
ma
l'ombra
della
pazzia
e
della
demenza
non
lo
lascerà
mai
più.
Probabilmente
nel
1907,
trovandosi
un
giorno
alla
stazione
di
Bologna
fu
preso
da
un
improvviso
desiderio
di
partire
e,
infilatosi
in
un
treno,
raggiunse
con
pochi
soldi
Milano:
di
qui
attraverso
Domodossola
passò
in
Svizzera,
poi
in
Francia,
dove
arrivò
fino
a
Parigi.
Il
1908
fu
l'anno
dei
grandi
viaggi.
A
quella
data,
infatti,
va
fatto
risalire
(secondo
la
ricostruzione
fatta
da
G.
Gerola)
l'inizio
di
una
lunga
peregrinazione
di
cui
vi
sono
varie
testimonianze
nei
suoi
componimenti.
S'imbarcò
di
lì a
poco
a
Genova
e
raggiunse
Buenos
Aires.
Nei
mesi
successivi,
girovagando
quasi
sempre
a
piedi,
si
recò
a
Bahia
Blanca,
Montevideo,
Rosario,
Santa
Rosa
e
Mendoza.
Esercitò
nel
contempo
innumerevoli
mestieri
per
ottenere
abbastanza
da
mantenersi
e
continuare
la
peregrinazione:
il
suonatore
di
triangolo
nella
marina
argentina,
lo
sterratore,
il
garzone,
lo
stalliere,
il
portiere
in
un
circolo,
il
poliziotto
(ossia
"pompiere").
Di
questi
suoi
viaggi
si
trova
traccia
nei
componimenti
intitolati
appunto
Pampa
e
Genova.
Per
ritornare
in
Italia,
s'imbarcò
clandestinamente
su
una
nave
ma
venne
scoperto
e
dovette
così
lavorare
come
marinaio
per
pagare
la
traversata.
Giunse
ad
Odessa,
dove
la
nave
fece
un
lungo
scalo.
Campana
riprese
a
girovagare,
si
aggregò
ad
una
compagnia
di
bossiaki,
sorta
di
zingari,
con
i
quali
si
recò
in
varie
fiere
a
vendere
stelle
filanti.
Ripartito,
raggiunse
Anversa,
dove
visitò
diversi
musei
e
vide
il
quadro
da
cui
trarrà
ispirazione
per
Il
cappello
alla
Rembrandt.
A
causa
delle
sue
stravaganze,
venne
messo
in
prigione
a
Saint
Gilles
(Belgio)
e
poi
rinchiuso
nel
manicomio
di
Tournay
(dove
incontrò
la
figura
che
lo
ispirò
nella
stesura
de
Il
russo).
Rilasciato,
passò
a
Parigi
e di
lì
tornò
infine
a
Marradi,
dove
era
già
giunto
in
marzo,
quando
il
sindaco
comunica
al
procuratore
del
Re
la
notizia
di
aver
emesso
un’ordinanza
per
il
suo
ricovero.
Dal
ritorno
fin
verso
il
1912
continuò
a
condurre
un'esistenza
di
vagabondaggio
e di
inquietudine.
Dal
9
aprile
1909
fu
ricoverato
in
una
clinica
fiorentina
per
malattie
nervose
e
mentali,
da
cui
venne
dimesso
il
26
del
mese.
Nel
1910
compì
un
lungo
pellegrinaggio
a
piedi
da
Marradi
al
Monte
Falterona
e
alla
Verna
(Arezzo).
All'incirca
nello
stesso
periodo
si
trasferì,
pare
per
parecchi
mesi,
presso
un
contadino
delle
montagne
di
Marradi,
molto
probabilmente
alla
ricerca
di
una
pace
che
doveva
essere
propizia
alla
manifestazione
della
sua
poesia.
Fra
il
1911
e il
1912
rimise
insieme,
molto
probabilmente
in
più
riprese,
i
frutti
di
un'attività
poetica
che
doveva
aver
cominciato
intorno
ai
venti
anni.
I
suoi
primi
lavori
letterari
risalgono
infatti
a
quel
periodo,
per
la
precisione
al
1907:
si
tratta
di
quei
quarantatré
componimenti
che,
essendo
stati
trascritti
su
di
un
quaderno
scolastico
ritrovato
in
casa
sua
molti
anni
dopo
la
morte,
compongono
quella
sezione
delle
liriche
che
è
nota
sotto
il
nome
di
Quaderno.
I
suoi
esperimenti
poetici
raccolti
nel
Quaderno
vennero
poi
accantonati,
presumibilmente
nel
1912,
quando
iniziò
la
stesura
dei
Canti
Orfici.
L’8
dicembre
pubblicò
nel
foglio
goliardico
bolognese
Papiro
alcune
delle
sue
opere:
La
chimera,
Le
cafard
e
Dualismo.
A
metà
febbraio
del
1913
pubblicò
nel
Goliardo,
un
altro
foglio
universitario
bolognese,
Torre
rossa
-
Scorcio
(i
primi
otto
capoversi
de
La
notte).
In
questo
stesso
periodo
si
trasferì
presso
l'università
di
Genova,
ma
verso
la
primavera
s'imbarcò,
raggiunse
La
Spezia
e di
lì
la
Sardegna.
Verso
l'autunno
del
1913
la
composizione
della
raccolta
delle
sue
opere
doveva
essere
terminata.
Nel
dicembre
1913
Campana
si
recò
da
Marradi
a
Firenze
e si
presentò
a
Giovanni
Papini
(1881-1956)
e
Ardengo
Soffici
(1879-1964),
allora
direttori
di
Lacerba
(una
rivista
letteraria
fiorentina
per
avanguardie
fondata
il
1°
gennaio
1913)
per
avere
un
giudizio
sul
proprio
lavoro
letterario.
La
storia
dei
suoi
rapporti
con
l'ambiente
della
giovane
cultura
fiorentina
fu
alquanto
complessa
e
controversa.
Campana
consegnò
a
Papini
e
Soffici
il
manoscritto
de
II
più
lungo
giorno
(il
primo
titolo
dell’opera
Canti
Orfici)
che
Soffici,
in
un
trasloco,
smarrisce,
causando
la
furia
dell’autore
che
in
una
lettera
scrisse:
“Caro
Cecchi,
le
dò
parola
d'onore
che
le
dico
ora
pura
verità.
Non
so
come
fare
a
descrivere
quei
fiorentini.
Li
ho
mandati
a
sfidare
4
volte
in
due
anni
senza
risultato
[...]
Un
mese
fa
ho
scritto
a
Papini
che
andavo
a
Firenze
con
un
buon
coltello
per
lui
e mi
ha
risposto
gentilmente.
Volevo
bastonarlo
a
morte.
Se
provocava
un
processo
non
m'importava.
La
sua
vigliaccheria
risultava
evidente
[...]
Posso
provare
che
Papini
e
Soffici
sono
ladri
spie
venduti
e
vigliacchi
soprattutto.”
Anche
successivamente
non
dette
segni
di
essersi
ripreso
e
infatti
scrisse
“mi
decisi
a
riscriverlo,
giurando
di
vendicarmi
se
avevo
vita”.
Il
manoscritto
rappresenta
una
fase
di
avvicinamento
ai
Canti
Orfici
che
la
leggenda,
assecondata
dallo
stesso
poeta,
vuole
riscritti
a
memoria
anche
se
più
probabilmente
utilizzò
gli
appunti
e le
bozze
per
ricostruire
i
componimenti.
Dai
contatti
con
il
poeta
Vincenzo
Cardarelli
(1887-1959,
vero
nome
Nazareno
Cardarelli)
e il
critico
d’arte
e
letterario
Emilio
Cecchi
(1884-1966)
nacque
il
progetto
di
fondare
una
nuova
rivista,
Il
diario
della
nuova
Italia,
un
organo
di
"umanesimo
integrale",
"la
realtà
come
dimostrazione
dell'attuazione
dello
spirito",
capace
di
collocarsi
al
livello
europeo.
Nel
1914,
ultimata
la
stampa
della
prima
edizione
dei
Canti
Orfici,
l’autore
si
recò
a
Firenze
a
più
riprese,
vendendo
le
copie
per
le
strade
e ai
frequentatori
dei
caffè.
Nell'autunno
del
1914
componeva
il
Canto
proletario
italo-francese,
pubblicato
nel
novembre
'14
sul
foglio
goliardico
bolognese
Il
cannone
e
poi
nel
1916
sulla
rivista
La
Riviera
ligure
di
Mario
Novaro
(1868-1944).
A
dicembre
era
a
Torino,
da
dove
venne
rinviato
a
Marradi
dalla
polizia.
All'inizio
della
primavera
del
'15
ritornò
nuovamente
a
Torino
e
poi,
attraverso
Domodossola,
raggiunse
Ginevra
dove
lavorò,
come
operaio
straordinario,
presso
il
Comitato
delle
società
italiane
fino
al 6
maggio,
quando
fu
licenziato.
Rientrato
in
Italia,
ormai
scesa
in
guerra,
cercò
di
farsi
arruolare,
ma
venne
riformato
all’Ospedale
militare
di
Firenze.
Campana
accusò
il
colpo,
che
ufficialmente
lo
condannava
alla
sua
infermità:
nei
mesi
successivi
fu
preso
da
altri
malesseri
e da
una
crescente
irrequietezza.
Dopo
la
pubblicazione
dei
Canti,
continuò
a
scrivere:
Bastimento
in
viaggio,
Arabesco-Olimpia,
Toscanità.
Si
trasferì
nell’aprile
del
1916
a
Lastra
a
Signa,
presso
il
padre.
Qui
durante
l’estate
conobbe
la
scrittrice
Sibilla
Aleramo
(1876-1960,
vero
nome
Rina
Faccio).
Si
innamorarono,
anche
se i
loro
sentimenti
durarono
solo
fino
all’inverno
dell’anno
successivo:
ne
rimangono
testimonianze
nella
raccolta
delle
Lettere,
raccolte
e
pubblicate
a
cura
di
N.
Gallo
(Carteggio
con
Sibilla
Aleramo,
Vallecchi,
Firenze,
1973).
Conobbe
il
pittore
e
incisore
Giovanni
Costetti
(1874-1949)
per
il
quale
aveva
posato
nel
1913
per
un
ritratto
e fu
in
buoni
rapporti
con
Primo
Conti
(1900-1988),
di
cui
resta
una
piccola
corrispondenza
dell’aprile
1918
con
Raimondi
circa
il
ricovero
del
comune
amico
poeta
a
San
Salvi
(Firenze)
e
poi
a
Castelpulci
presso
Scandicci
(Firenze).
Il
12
gennaio
1918
fu
necessario
ricoverarlo
all'Istituto
fiorentino
di
osservazione
per
le
malattie
mentali.
Il
28
fu
trasferito
all'ospedale
psichiatrico
di
Castel
Pulci,
presso
Badia
a
Settimo,
da
cui
non
uscì
più.
Della
lunga
degenza
sappiamo
soprattutto
quanto
narrò
il
dottore
Emilio
Pariani,
il
suo
medico
curante
per
un
certo
periodo.
Pare
Campana
non
fosse
sempre
tranquillo,
alternasse
momenti
di
aggressività
e di
confusione
mentale.
"Fallacie
sensoriali
o
solo
rappresentative,
ossia
percepite
come
idee
immesse
da
altri,
generano
e
rafforzano
i
deliri".
Si
adattava
però
al
trattamento
riservato
ai
più
umili
fra
i
ricoverati,
mostrava
occasionalmente
di
conservare
coscienza
di
ciò
che
era
stato.
Nel
1928,
quando
apparve
una
nuova
edizione
dei
Canti
Orfici,
curata
dall'amico
e
poeta
Bino
Binazzi
(1878-1930),
rilevò
i
difetti
e le
modificazioni
apportate
rispetto
all’originale.
Nel
novembre
1931
manifestò
un
netto
miglioramento,
ma
la
speranza
del
ristabilimento
era
effimera
infatti
nel
febbraio
1932
ebbe
una
ricaduta.
Verso
la
fine
del
mese
fu
preso
da
una
forte
febbre,
originata
probabilmente
da
setticemia.
Morì
così
il
1°
marzo
1932.
Venne
dapprima
sepolto
nel
cimitero
di
S.
Colombano
a
Badia
a
Settimo
(Firenze).
In
seguito
all'invito
per
una
sistemazione
più
degna
lanciato
dallo
scrittore
Piero
Bargellini
(1897-
1980)
nel
1938
dalle
pagine
della
sua
rivista
Frontespizio
(1929-1940),
nel
1942
la
sua
salma
fu
collocata
nella
chiesa
del
paese
di
Marradi,
ai
piedi
del
campanile
romanico.
Dopo
le
distruzioni
della
seconda
guerra
mondiale,
fu
risistemata
sotto
il
pavimento
della
ricostruita
navata.
Nel
1946
venne
posta
anche
una
lapide
nella
navata
della
chiesa
con
il
suo
nome
e
l’indicazione
“Poeta”.
Il
20
agosto
1954
nel
suo
comune
natale
gli
venne
intestata
una
via
(R.
Jacobbi,
Invito
alla
lettura
di
Campana,
pag.30).
Come
rilevante
omaggio
al
poeta
si
può
citare
il
film
del
1985
che
il
regista
Luigi
Faccini
ha
dedicato
a
Campana
ed
intitolato
Inganni
(di
cui
assieme
a
Sergio
Vecchio
è
autore
sia
del
soggetto
che
della
sceneggiatura),
pellicola
che
ha
vinto
due
Nastri
d'argento
l'anno
successivo.
Nel
giugno
1914
Campana
a
Marradi,
grazie
a
quarantaquattro
sottoscrittori
ed
ai
suoi
amici,
in
particolare
Luigi
Bandini
(1892-1952)
che
effettuò
un
versamento
di
110
lire,
si
accordò
con
il
locale
tipografo
Bruno
Ravagli
per
la
stampa
dei
Canti
Orfici.
La
prima
pagina
della
prima
edizione
portava
nel
frontespizio
il
sottotitolo
in
tedesco
"Die
Tragödie
des
letzten
Germanen
in
Italien",
con
la
dedica
"A
Guglielmo
II
imperatore
dei
germani
l'autore
dedica".
Campana
vendette
lui
stesso
la
prima
edizione
nei
caffè
letterari
“Paskosvki”
e le
“Giubbe
Rosse”
a
Firenze,
e
“San
Pietro”
a
Bologna.
La
scelta
del
sottotitolo,
oltre
a
testimoniare
il
suo
essere
un
poliglotta
(conosceva
le
lingue
francese,
inglese,
tedesco
e
spagnolo
in
maniera
sistematica),
verrà
spiegata
in
una
sua
successiva
lettera
inviata
il
13
marzo
a
Cecchi
in
cui
scrisse:
Ora
io
dissi:
Die
tragödie
des
lezten
germanen
in
Italien,
mostrando
di
aver
nel
libro
conservato
la
purezza
del
germano
(ideale
non
reale)
che
è
stata
la
causa
della
loro
morte
in
Italia.
Ma
io
dicevo
ciò
in
senso
imperialistico
e
idealistico,
non
naturalistico.
(Cercavo
idealmente
una
patria
non
avendone).
Il
germano
preso
come
rappresentante
del
tipo
morale
superiore
(Dante
Leopardi
Segantini)".
Così
invocavo
giustizia
contro
la
brutalità
secolare
clericale...
(A.
Comi,
A.
Pontzen
(a
cura
di),
Italien
in
Deutschland
-
Deutschland
in
Italien,
p.
306).
L'opera
Canti
orfici,
raccolta
di
componimenti
poetici
portata
a
termine
nell’autunno
del
1913
in
una
prima
stesura
dal
titolo
Il
più
lungo
giorno,
comprende
ventidue
componimenti,
parte
in
prosa
(le
"novelle
poetiche"),
parte
in
poesia,
cui
vanno
aggiunti
altri
sei
componimenti,
inseriti
dal
Binazzi
nell'edizione
del
'28
e
definitivamente
portati
a
dieci
dal
Falqui
nella
sezione
della
raccolta
da
lui
intitolata
dei
Versi
sparsi.
Nel
1971
Valeria
Soffici,
figlia
di
Ardengo
Soffici,
ritrova
il
manoscritto
affidato
da
Campana
a
Papini
e
Soffici
e
ritenuto
perduto
da
quest’ultimo.
La
notizia
del
ritrovamento
venne
data
da
Mario
Luzi
il
17
giugno
1971
sul
“Corriere
della
Sera”
in
un
articolo
intitolato:
"Un
eccezionale
ritrovamento
fra
le
carte
di
Soffici.
Il
quaderno
di
Dino
Campana".
Il
documento
era
stato
trovato
mentre
venivano
riordinate
le
carte
di
Soffici,
morto
nel
1964,
nella
sua
casa
di
Poggio
a
Caiano.
La
versione
originale,
scritta
su
un
quadernetto
del
Settecento
in
carta
antica
filigranata,
era
ancora
intitolata
Il
più
lungo
giorno.
L’opera
venne
poi
venduta
all’asta
presso
Christies:
il
valore
stimato
era
tra
i
180.000
e i
200.000
euro
ma
alla
fine
l'opera
è
stata
venduta
per
€213,425.
Nel
1973
questo
libretto
fu
anche
pubblicato
in
edizione
anastatica
con
il
titolo
Il
più
lungo
giorno.
Riferimenti
bibliografici: